È morta ieri a Milano la scrittrice che più di tutti ha contribuito a far conoscere la narrativa Usa in Italia. Aveva 92 anni
di Fulvio Panzeri
Se ne è andata, all’età di novantadue anni (li aveva compiuti lo scorso luglio), una donna che è diventata 'un mito' per quanto riguarda la scoperta della letteratura americana in Italia, Fernanda Pivano, scrittrice a tutto tondo, dall’esercizio critico che spesso lasciava spazio ad un ritratto in cui dialogava con gli autori amati, tanto che alcuni dei suoi libri sono delle 'autobiografie in pubblico', che registrano l’immediatezza, la spontaneità, il guizzo dell’anima dei suoi tanti incontri, in una vita letteraria tutta, è il caso di dirlo, 'on the road', scegliendo vari compagni di viaggio, anche nella cultura italiana, si pensi alla sua amicizia con Pier Vittorio Tondelli e con Fabrizio De Andrè, e con gli altri amici cantautori. E’ stata anche traduttrice, oltre che scrittrice di romanzi e di una lunga e appassionante autobiografia (il dattiloscritto del secondo volume è stato consegnato dalla Pivano, da poche settimane, alla casa editrice Bompiani), sempre sorretta da un profondo senso della moralità, quello che lei stessa ha lapidariamente indicato in un appunto scritto l’11 settembre 2001, dopo il crollo delle Torri Gemelle: «Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perché ho lavorato settanta anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue». Un principio fondamentale che ha guidato la sua storia di donna e di intellettuale, che non si sono mai scisse, anzi lei non appariva come una figura accademica, ma ha sempre preferito il campo aperto della della scoperta e dell’incontro, di un rapporto 'ideale' con gli scrittori che proponeva, dei quali sapeva raccontare l’anima, mettendola in relazione con i cambiamenti della società americana, che percepiva, conosceva a fondo e sapeva raccontare ai suoi lettori. Nata a Genova il 18 luglio 1917, si trasferisce da adolescente con la famiglia a Torino. Nel 1941 si laurea in lettere con una tesi in letteratura americana sul Melville di Moby Dick. Nel 1943 pubblica per Einaudi la sua prima traduzione, quella della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters, lavoro che segna l’inizio della carriera letteraria sotto la guida di Cesare Pavese, già suo professore al liceo. E indica già in questa straordinaria scelta un fiuto critico che la contrassegnerà da sempre. Il 1948 è un anno che segna un incontro determinante nella vita della Pivano. A Cortina incontra Ernest Hemingway e la legherà al grande scrittore un intenso rapporto sia letterario, sia amicale, tanto che già nel 1949 Mondadori Addio alle armi, da lei tradotto. E’ l’inizio di una collaborazione che la porterà a curare le traduzioni dell’intera opera di Hemingway, intensificando anche il rapporto d’amicizia con lo scrittore americano, del quale sarà più volte ospite in Italia, a Cuba e negli Stati Uniti. E dopo Hemingway è la volta di un altro 'grande' americano: Francis Scott Fitzgerald, di cui traduce dal 1949 al ’54, sempre per Mondadori, i romanzi più significativi da Tenera è la notte a Il grande Gatsby, fino a Belli e dannati. Il 1959 è un’altra data cruciale: appare in Italia la sua prefazione a Sulla strada di Jack Kerouac, per la Mondadori. E’ l’inizio del suo incontro con la Beat Generation, delle Poesie degli ultimi americani da Feltrinelli, della traduzione e cura di Jukebox all’idrogeno di Allen Ginsberg. Lei stessa, nella breve autobiografia, in terza persona, che ha scritto per il suo sito ufficiale, dice di sé, riferendosi al primo viaggio americano: «Immediatamente scopre un mondo, di sogni, ideali, valori, che non si stancherà più di celebrare: dal pacifismo di Norman Mailer, maestro riconosciuto della narrativa americana, amato e contemporaneamente odiato dalla beat generation degli anni sessanta, che a lui e al suo antiimperialismo si rifece, all’esempio di inesausta sete di nuovo e di autenticità del mito vivente Ernest Hemingway. Dai guru della beat generation Ginsberg, Kerouac, Corso, Ferlinghetti, uomini che in nome di un’idea di ritorno all’essenzialità dell’Uomo, in contrasto con i pregiudizi del consumismo capitalistico, hanno vissuto e scritto senza distinguere fra arte e vita, a Don DeLillo e ai minimalisti. Un nuovo viaggio americano, insomma, fra le contraddizioni e le speranze segrete di quel grande, osannato e temuto paese che è, da sempre, l’America».
«Avvenire» del 19 agosto 2009
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