di Sabino Acquaviva
La psicanalisi? Un tempo, fino a pochi anni or sono, un evento culturale di particolare rilievo. Freud era al centro di ogni discorso che trattava i problemi del sesso, dei rapporti di coppia, dello sviluppo del bambino con la relativa serie di complessi. Io assistevo stupefatto alla riduzione di ogni problema a una questione in qualche modo legata al sesso.
Questa ubriacatura culturale, non scientifica, ha dominato il secolo passato ed ha alimentato ormai antiche battaglie contro la religione, la società civile, il sistema politico allora dominante. Non era quasi possibile ascoltare una conferenza destinata ai problemi dell’essere umano senza sentire parlare di Freud, di Jung, di Adler, o dei loro allievi. Quasi sempre Freud veniva collegato a Marx, guardando a un progetto di rivoluzione sessuale e sociale insieme. Inoltre, «psicanalisti» si dichiaravano individui di ogni tipo. E si tendeva spesso a improvvisarsi terapeuti, mescolando malattia mentale, problemi sociali, rapporti di coppia, e via dicendo. Si pubblicarono ponderosi trattati, talvolta di successo, in cui il buon senso (o il cattivo senso) si mescolavano alla filosofia, all’antropologia culturale, alla sociologia. Il tutto condito con l’etichetta psicanalitica, possibilmente controfirmata da Marx. Nella psicanalisi c’era qualcosa di valido, a cominciare dal dialogo con i malati, ma tutto era malamente condito con altro, persino con la politica. Chi apparteneva alla mia generazione non poteva contestare il «freudismo» senza essere accusato di essere conservatore, di difendere il passato, eccetera. Una serie di luoghi comuni dominava il mercato delle idee e della cultura. Era bandita una seria analisi sperimentale e scientifica. Ma forse già vent’anni or sono la situazione cominciò a cambiare.
Come psicanalisi e marxismo (culturale) erano cresciute insieme, insieme andarono in crisi. I problemi della psiche tornarono ad essere studiati con gli strumenti della psicologia sperimentale, della biologia, della genetica. Il cambiamento avveniva all’interno della rivoluzione culturale alle soglie di questa nuova civiltà che sta nascendo. Il colloquio con i malati smette di essere la filosofia del mondo e diventa uno strumento terapeutico.
Indubbiamente la psicanalisi ha avuto una sua funzione, eliminando scorie culturali e complessi tipici di una società troppo antica, ma ha invaso lo spazio del privato in una maniera talora devastante. Ha demolito ogni cosa, ma come se usasse una clava, incapace di distinguere, di salvare quanto andava salvato e distruggere quanto andava distrutto. Ma allora, e in conclusione, il bilancio di quello che chiamerei il secolo della psicanalisi è positivo o negativo? Difficile rispondere. Infatti, da un lato liberò la società da lacci e laccioli ereditati dal passato, da un altro indubbiamente rallentò la ricerca scientifica e sperimentale, disorientando validi e capaci studiosi. Inoltre, favorì e sollecitò la diffusione di interpretazioni psicanalitiche di fenomeni che si potevano spiegare in ben altro modo. Ma ormai molta acqua è passata sotto i ponti. In un mondo così lontano dall’ubriacatura psicanalitica del XX secolo, la psicanalisi conserva un posto più ristretto, anche perché ormai priva dei grandiosi significati simbolici di un tempo.
Questa ubriacatura culturale, non scientifica, ha dominato il secolo passato ed ha alimentato ormai antiche battaglie contro la religione, la società civile, il sistema politico allora dominante. Non era quasi possibile ascoltare una conferenza destinata ai problemi dell’essere umano senza sentire parlare di Freud, di Jung, di Adler, o dei loro allievi. Quasi sempre Freud veniva collegato a Marx, guardando a un progetto di rivoluzione sessuale e sociale insieme. Inoltre, «psicanalisti» si dichiaravano individui di ogni tipo. E si tendeva spesso a improvvisarsi terapeuti, mescolando malattia mentale, problemi sociali, rapporti di coppia, e via dicendo. Si pubblicarono ponderosi trattati, talvolta di successo, in cui il buon senso (o il cattivo senso) si mescolavano alla filosofia, all’antropologia culturale, alla sociologia. Il tutto condito con l’etichetta psicanalitica, possibilmente controfirmata da Marx. Nella psicanalisi c’era qualcosa di valido, a cominciare dal dialogo con i malati, ma tutto era malamente condito con altro, persino con la politica. Chi apparteneva alla mia generazione non poteva contestare il «freudismo» senza essere accusato di essere conservatore, di difendere il passato, eccetera. Una serie di luoghi comuni dominava il mercato delle idee e della cultura. Era bandita una seria analisi sperimentale e scientifica. Ma forse già vent’anni or sono la situazione cominciò a cambiare.
Come psicanalisi e marxismo (culturale) erano cresciute insieme, insieme andarono in crisi. I problemi della psiche tornarono ad essere studiati con gli strumenti della psicologia sperimentale, della biologia, della genetica. Il cambiamento avveniva all’interno della rivoluzione culturale alle soglie di questa nuova civiltà che sta nascendo. Il colloquio con i malati smette di essere la filosofia del mondo e diventa uno strumento terapeutico.
Indubbiamente la psicanalisi ha avuto una sua funzione, eliminando scorie culturali e complessi tipici di una società troppo antica, ma ha invaso lo spazio del privato in una maniera talora devastante. Ha demolito ogni cosa, ma come se usasse una clava, incapace di distinguere, di salvare quanto andava salvato e distruggere quanto andava distrutto. Ma allora, e in conclusione, il bilancio di quello che chiamerei il secolo della psicanalisi è positivo o negativo? Difficile rispondere. Infatti, da un lato liberò la società da lacci e laccioli ereditati dal passato, da un altro indubbiamente rallentò la ricerca scientifica e sperimentale, disorientando validi e capaci studiosi. Inoltre, favorì e sollecitò la diffusione di interpretazioni psicanalitiche di fenomeni che si potevano spiegare in ben altro modo. Ma ormai molta acqua è passata sotto i ponti. In un mondo così lontano dall’ubriacatura psicanalitica del XX secolo, la psicanalisi conserva un posto più ristretto, anche perché ormai priva dei grandiosi significati simbolici di un tempo.
« Avvenire » del 7 luglio 2009
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