Lanciando campagne su preservativi e pillole i medici sembrano essersi arresi alla scissione tra sessualità e affetti Ai genitori il compito di riprendere le redini
di Domenico Delle Foglie
«L’educazione sessuale è come quella fisica, una materia scolastica per restare in salute. Per un corretto stile di vita non bere, non fumare, non drogarti, fai movimento, cura l’alimentazione e utilizza sempre metodi contraccettivi sicuri, pillola e preservativo » .
Non possiamo sapere quanti genitori dotati di semplice buon senso ( quelli che una volta si sarebbe detto « hanno la testa sul collo » ) e che abbiano a cuore il futuro e la crescita equilibrata dei propri figli sottoscriverebbero l’affermazione che vi riproponiamo.
Noi dubitiamo che, messa così, possano essere in tanti, salvo doverci arrendere a quella banalizzazione dilagante che vuole tutti i genitori disattenti e pronti a scaricare su altri soggetti (insegnanti in primis) la funzione educativa. Ma di sicuro la tentazione potrebbe essere forte: un problema in meno, tante domande scomode a cui si potrebbe non rispondere, alcuni dialoghi in meno da impostare e tante occasioni di dissenso dribblate. Ma alla fine i genitori potranno sentirsi a posto con la propria coscienza, dopo aver affidato alla scuola il compito di spiegare la sessualità ai propri figli? Davvero sicuri che quell’approccio a dir poco banalizzante sia la chiave giusta per impostare un dialogo anche con il più difficile degli adolescenti? Dubitare è lecito, soprattutto perché in quella frase che riassume la posizione ufficiale della Sigo ( Società italiana di ginecologia) c’è la dichiarazione di resa culturale ( e se volete persino spirituale) di un’intera generazione di tecnici e professionisti che, al di là del politicamente corretto che è lo stigma culturale di quella proposizione, ha operato una precisa scelta culturale: la separazione fra la sessualità e l’affettività, il disancoraggio definitivo della sessualità da una dimensione antropologica relazionale.
Naturalmente sappiamo bene che questa nostra posizione è attaccabile, perché questi nostri interlocutori, compresi quelli che hanno deciso di installare i distributori automatici di preservativi nelle scuole della provincia di Roma, non hanno mai pronunciato parole chiare sotto il profilo antropologico. Perché loro sono dei tecnici, anzi molti sono medici, dunque perché spiegare dove va a parare la loro proposta? Perché assumersi l’onere di chiarire che la loro è una resa, senza condizioni, a comportamenti solo presuntivamente diffusi? A cominciare dalla sessualità precoce, rispetto alla quale non si esprime il minimo giudizio, rifugiandosi in un farisaico rispetto della libertà individuale. Ma perché chiedere a ragazzi e ragazze di non bere, non fumare, non drogarsi e poi suggerire l’idea che comunque l’attività sessuale possa essere libera, senza alcun vincolo relazionale, di maturità e di affettività? Che tanto serve solo 'proteggersi' adeguatamente? Queste domande, almeno, richiederebbero risposte oneste e disinteressate. Ma le immaginiamo già: non ci sono vincoli all’attività sessuale come espressione della libertà individuale. Ne siete davvero sicuri?
E se solo immaginiamo che questo possa essere il contenuto di un insegnamento scolastico, in cui tutto vada in direzione di una conoscenza meccanica del proprio corpo e delle proprie funzioni biologiche, accompagnato dal sottinteso che tutto è possibile solo che lo si voglia e che gli altri lo facciano, allora davvero no grazie.
Tutto questo richiede una forte presa in carico da parte delle famiglie.
Sostiene Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, che « un tema simile deve far parte dell’educazione alla responsabilità e all’affettività e che al massimo bisogna aiutare i genitori a educare, dato che questo è un compito al quale non possono abdicare » . Aiutare e potenziare il ruolo della famiglia quindi, « perché – ha dichiarato il sottosegretario – tutte le ricadute negative sui ragazzi, dal bullismo alle violenze, sono dovute all’indebolimento della famiglia, grandissima risorsa e prima agenzia educativa che per fortuna in Italia ancora regge » .
Finalmente una parola incoraggiante sulle famiglie italiane. Ai ginecologi non sorge il dubbio che se in Italia abbiamo il minor numero di gravidanze di minorenni in Europa, forse è merito semplicemente delle famiglie italiane? E forse anche di una condivisione di fondo di quell’antropologia di cui il mondo cattolico, nelle sue mille declinazioni, si fa portatore? Un’antropologia che sposa la sessualità e la indirizza, partendo da due pilastri: il rapporto tra sessualità e genitorialità, la complementarietà della differenza sessuale come modo per la sua realizzazione. Ovvero l’essere maschio e femmina che vivono la sessualità con ottimismo e gioia, secondo i tempi della propria maturazione personale e di coppia, e che non escludono dal proprio orizzonte la genitorialità.
Siamo certi che questo possa essere il contenuto di un futuro insegnamento pubblico? Viste le premesse ne dubitiamo fortemente. Non solo per questo, ma soprattutto perché riteniamo spetti ai genitori offrire ai figli l’orizzonte umano entro il quale inscrivere la dimensione sessuale come una delle principali manifestazioni dell’essere persona, sarà meglio che si lasci a loro l’onere di parlarne con gli adolescenti. Di sicuro non sarà un preservativo in più o in meno a dare le risposte ai giovani figli di uomini e donne liberi. Liberi non solo di mettere al mondo i figli, ma anche di educarli all’amore e alla sessualità responsabile che sa riconoscere sempre nel partner una persona. Vi sembra che un’ora di educazione sessuale a scuola possa garantirlo e rassicurare tanti genitori preoccupati?
Non possiamo sapere quanti genitori dotati di semplice buon senso ( quelli che una volta si sarebbe detto « hanno la testa sul collo » ) e che abbiano a cuore il futuro e la crescita equilibrata dei propri figli sottoscriverebbero l’affermazione che vi riproponiamo.
Noi dubitiamo che, messa così, possano essere in tanti, salvo doverci arrendere a quella banalizzazione dilagante che vuole tutti i genitori disattenti e pronti a scaricare su altri soggetti (insegnanti in primis) la funzione educativa. Ma di sicuro la tentazione potrebbe essere forte: un problema in meno, tante domande scomode a cui si potrebbe non rispondere, alcuni dialoghi in meno da impostare e tante occasioni di dissenso dribblate. Ma alla fine i genitori potranno sentirsi a posto con la propria coscienza, dopo aver affidato alla scuola il compito di spiegare la sessualità ai propri figli? Davvero sicuri che quell’approccio a dir poco banalizzante sia la chiave giusta per impostare un dialogo anche con il più difficile degli adolescenti? Dubitare è lecito, soprattutto perché in quella frase che riassume la posizione ufficiale della Sigo ( Società italiana di ginecologia) c’è la dichiarazione di resa culturale ( e se volete persino spirituale) di un’intera generazione di tecnici e professionisti che, al di là del politicamente corretto che è lo stigma culturale di quella proposizione, ha operato una precisa scelta culturale: la separazione fra la sessualità e l’affettività, il disancoraggio definitivo della sessualità da una dimensione antropologica relazionale.
Naturalmente sappiamo bene che questa nostra posizione è attaccabile, perché questi nostri interlocutori, compresi quelli che hanno deciso di installare i distributori automatici di preservativi nelle scuole della provincia di Roma, non hanno mai pronunciato parole chiare sotto il profilo antropologico. Perché loro sono dei tecnici, anzi molti sono medici, dunque perché spiegare dove va a parare la loro proposta? Perché assumersi l’onere di chiarire che la loro è una resa, senza condizioni, a comportamenti solo presuntivamente diffusi? A cominciare dalla sessualità precoce, rispetto alla quale non si esprime il minimo giudizio, rifugiandosi in un farisaico rispetto della libertà individuale. Ma perché chiedere a ragazzi e ragazze di non bere, non fumare, non drogarsi e poi suggerire l’idea che comunque l’attività sessuale possa essere libera, senza alcun vincolo relazionale, di maturità e di affettività? Che tanto serve solo 'proteggersi' adeguatamente? Queste domande, almeno, richiederebbero risposte oneste e disinteressate. Ma le immaginiamo già: non ci sono vincoli all’attività sessuale come espressione della libertà individuale. Ne siete davvero sicuri?
E se solo immaginiamo che questo possa essere il contenuto di un insegnamento scolastico, in cui tutto vada in direzione di una conoscenza meccanica del proprio corpo e delle proprie funzioni biologiche, accompagnato dal sottinteso che tutto è possibile solo che lo si voglia e che gli altri lo facciano, allora davvero no grazie.
Tutto questo richiede una forte presa in carico da parte delle famiglie.
Sostiene Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, che « un tema simile deve far parte dell’educazione alla responsabilità e all’affettività e che al massimo bisogna aiutare i genitori a educare, dato che questo è un compito al quale non possono abdicare » . Aiutare e potenziare il ruolo della famiglia quindi, « perché – ha dichiarato il sottosegretario – tutte le ricadute negative sui ragazzi, dal bullismo alle violenze, sono dovute all’indebolimento della famiglia, grandissima risorsa e prima agenzia educativa che per fortuna in Italia ancora regge » .
Finalmente una parola incoraggiante sulle famiglie italiane. Ai ginecologi non sorge il dubbio che se in Italia abbiamo il minor numero di gravidanze di minorenni in Europa, forse è merito semplicemente delle famiglie italiane? E forse anche di una condivisione di fondo di quell’antropologia di cui il mondo cattolico, nelle sue mille declinazioni, si fa portatore? Un’antropologia che sposa la sessualità e la indirizza, partendo da due pilastri: il rapporto tra sessualità e genitorialità, la complementarietà della differenza sessuale come modo per la sua realizzazione. Ovvero l’essere maschio e femmina che vivono la sessualità con ottimismo e gioia, secondo i tempi della propria maturazione personale e di coppia, e che non escludono dal proprio orizzonte la genitorialità.
Siamo certi che questo possa essere il contenuto di un futuro insegnamento pubblico? Viste le premesse ne dubitiamo fortemente. Non solo per questo, ma soprattutto perché riteniamo spetti ai genitori offrire ai figli l’orizzonte umano entro il quale inscrivere la dimensione sessuale come una delle principali manifestazioni dell’essere persona, sarà meglio che si lasci a loro l’onere di parlarne con gli adolescenti. Di sicuro non sarà un preservativo in più o in meno a dare le risposte ai giovani figli di uomini e donne liberi. Liberi non solo di mettere al mondo i figli, ma anche di educarli all’amore e alla sessualità responsabile che sa riconoscere sempre nel partner una persona. Vi sembra che un’ora di educazione sessuale a scuola possa garantirlo e rassicurare tanti genitori preoccupati?
“Avvenire” del 9 luglio 2009
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