È sbagliato presentare fede ed evoluzionismo come concetti antitetici: perché non accettare, per esempio, che la «polvere» usata dal Creatore per formare l’uomo indichi un primate?
di Alessandro Finazzi Agrò
« La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio » . Questa frase della lettera di san Paolo ai Romani (8,19- 21) è suggestivamente evocatrice di un futuro che coinvolgerà non solo i ' figli di Dio' ma anche ogni altro essere e ogni realtà del Creato. È questa una prospettiva del tutto antitetica rispetto alle previsioni di dissoluzione della materia nel nulla cosmico cui l’aumento indefinito dell’entropia, cioè del disordine che si accompagna ad ogni trasformazione spontanea, dovrebbe inesorabilmente condurre l’intero universo. Ed è appunto il contrasto tra ordine e disordine, caos e cosmo, casualità e finalità, l’eterna battaglia ideologica che contrappone i credenti agli scettici fin dall’antichità. Il fluire del tempo ha soltanto cambiato il terreno e gli argomenti dello scontro, ma ciò che maggiormente caratterizza il dibattito oggi è la sproporzione delle forze nei due schieramenti. Infatti mentre il fronte degli agnostici è relativamente compatto, agguerrito ideologicamente e padrone della gran parte dei mezzi di comunicazione, il fronte religioso è frammentato, spesso ignorante delle proprie e delle altrui ragioni, oppure timoroso di non apparire sufficientemente moderno o comunque di non saper corrispondere ai cambiamenti sempre più rapidi delle condizioni sociali.
Fin dai tempi di Democrito, « che il mondo a caso pone», e della sua teoria atomistica, una radicale concezione materialistica del mondo e della sua realtà è stata presente nel pensiero scientifico, ma circolante solo in ristretti ambiti intellettuali. Tale situazione si è protratta più o meno immutata nel mondo occidentale fino al diciottesimo secolo, quando l’interesse per le scienze ha cominciato a coinvolgere strati sempre più numerosi della popolazione.
Ben presto la divaricazione tra realtà rivelate, e tramandate tramite le Scritture, e teorie scientifiche si è fatta sempre più ampia, a partire dalla dimostrazione dell’eliocentrismo da parte di Copernico e Galileo. Il processo a Galileo, brandito oggi come un’arma dal fronte scientista per dimostrare un presunto atteggiamento oscurantista, arrogante e prevaricatore della Chiesa, si svolse in realtà in modo assai diverso da quanto la vulgata riporti.
Il secolo dei Lumi segna il crinale della rottura definitiva tra scientismo e religioni: i grandi fisici e matematici del ’700 poco alla volta, e taluno a malincuore, cominciano a minare le basi dell’interpretazione letterale della Bibbia e del racconto della creazione. La frattura si fa definitiva tra la fine del ’ 700 e l’inizio dell’ 800 con le grandi scoperte della chimica e con la Rivoluzione francese che deifica la Ragione contrapponendola alla Fede. Nell’ 800 le dottrine materialistiche si affermano in tutta Europa promettendo una nuova stagione di progresso, uguaglianza e felicità per tutti: si propongono « le magnifiche sorti e progressive » per cui l’uomo è arbitro e fine di ogni cosa.
Il ’ 900 si è caratterizzato per il grande balzo in avanti della fisica e delle sue applicazioni tecnologiche, anche le più terribili come le armi atomiche. I capisaldi della fisica classica sono scossi dalla introduzione della fisica quantistica e dalle sue conse- guenze logiche come il principio di indeterminazione portato fino al celebre paradosso del gatto di Schrödinger che sarebbe contemporaneamente vivo e morto. Ma proprio il più grande protagonista della rivoluzione concettuale della fisica, Albert Einstein, ebreo credente, affermava: « Dio non gioca a dadi » , non potendo accettare che l’Universo si sia formato per una serie di eventi casuali.
Ancora nell’Ottocento però fu avanzata la teoria che più di ogni altra è alla base della odierna visione antropologica, cioè quella propugnata da Charles Darwin, al ritorno del suo famoso viaggio alle isole Galapagos: la teoria dell’evoluzione delle specie. Questa teoria, benché abbia subito e stia subendo innumerevoli modifiche, è quella che più incide sull’attuale visione del mondo: l’uomo non è più l’essere creato da Dio a sua immagine e somiglianza, ma solo una delle possibili ramificazioni dell’albero evolutivo, e neanche, come pure aveva pensato Darwin, la più perfetta.
Non vi è dubbio che le conseguenze più radicali di tale teoria siano alla base di molte delle manifestazioni odierne, dalla sottovalutazione della vita umana all’integralismo animalista; bisogna però affermare con forza che la teoria della evoluzione non è per sé in contrasto con le religioni positive, ma solo con un’interpretazione letterale dei testi sacri. Paradossalmente i migliori alleati dei darwinisti più accesi come Richard Dawkins sono proprio i sostenitori acritici della lettera delle Scritture. È bene peraltro sottolineare che la teoria dell’evoluzione, sostenuta oggi da molte evidenze sperimentali, è pur sempre una teoria e, come tutte le teorie scientifiche, non solo può, ma deve, essere discussa per vagliarne continuamente la validità: questa stessa teoria è oggi assai diversa dalla sua formulazione originale. Inoltre, i più recenti tentativi di spiegare il profondo divario esistente tra l’uomo e il suo più prossimo essere vivente, lo scimpanzé, cercando in esso i prodromi dei comportamenti umani – del pensiero complesso, del linguaggio, della morale – danno risultati assai discutibili, come riconosciuto anche dai più convinti sostenitori del darwinismo. Intanto continua la caccia ai reperti fossili per stabilire se e come nel passato si sia giunti al supposto processo evolutivo della ominazione: se cioè sia possibile trovare un continuum di specie tra i grandi primati e l’uomo. Perché non accettare che la 'polvere' usata da Dio per formare l’uomo, come descritto nella Genesi, possa indicare un primate? È il soffio divino a stabilire un solco invalicabile tra noi e gli altri esseri viventi, che però proprio a causa delle somiglianze morfologiche e biochimiche dobbiamo trattare con rispetto nell’ambito di una ecologia cristiana come insegna Benedetto XVI.
Fin dai tempi di Democrito, « che il mondo a caso pone», e della sua teoria atomistica, una radicale concezione materialistica del mondo e della sua realtà è stata presente nel pensiero scientifico, ma circolante solo in ristretti ambiti intellettuali. Tale situazione si è protratta più o meno immutata nel mondo occidentale fino al diciottesimo secolo, quando l’interesse per le scienze ha cominciato a coinvolgere strati sempre più numerosi della popolazione.
Ben presto la divaricazione tra realtà rivelate, e tramandate tramite le Scritture, e teorie scientifiche si è fatta sempre più ampia, a partire dalla dimostrazione dell’eliocentrismo da parte di Copernico e Galileo. Il processo a Galileo, brandito oggi come un’arma dal fronte scientista per dimostrare un presunto atteggiamento oscurantista, arrogante e prevaricatore della Chiesa, si svolse in realtà in modo assai diverso da quanto la vulgata riporti.
Il secolo dei Lumi segna il crinale della rottura definitiva tra scientismo e religioni: i grandi fisici e matematici del ’700 poco alla volta, e taluno a malincuore, cominciano a minare le basi dell’interpretazione letterale della Bibbia e del racconto della creazione. La frattura si fa definitiva tra la fine del ’ 700 e l’inizio dell’ 800 con le grandi scoperte della chimica e con la Rivoluzione francese che deifica la Ragione contrapponendola alla Fede. Nell’ 800 le dottrine materialistiche si affermano in tutta Europa promettendo una nuova stagione di progresso, uguaglianza e felicità per tutti: si propongono « le magnifiche sorti e progressive » per cui l’uomo è arbitro e fine di ogni cosa.
Il ’ 900 si è caratterizzato per il grande balzo in avanti della fisica e delle sue applicazioni tecnologiche, anche le più terribili come le armi atomiche. I capisaldi della fisica classica sono scossi dalla introduzione della fisica quantistica e dalle sue conse- guenze logiche come il principio di indeterminazione portato fino al celebre paradosso del gatto di Schrödinger che sarebbe contemporaneamente vivo e morto. Ma proprio il più grande protagonista della rivoluzione concettuale della fisica, Albert Einstein, ebreo credente, affermava: « Dio non gioca a dadi » , non potendo accettare che l’Universo si sia formato per una serie di eventi casuali.
Ancora nell’Ottocento però fu avanzata la teoria che più di ogni altra è alla base della odierna visione antropologica, cioè quella propugnata da Charles Darwin, al ritorno del suo famoso viaggio alle isole Galapagos: la teoria dell’evoluzione delle specie. Questa teoria, benché abbia subito e stia subendo innumerevoli modifiche, è quella che più incide sull’attuale visione del mondo: l’uomo non è più l’essere creato da Dio a sua immagine e somiglianza, ma solo una delle possibili ramificazioni dell’albero evolutivo, e neanche, come pure aveva pensato Darwin, la più perfetta.
Non vi è dubbio che le conseguenze più radicali di tale teoria siano alla base di molte delle manifestazioni odierne, dalla sottovalutazione della vita umana all’integralismo animalista; bisogna però affermare con forza che la teoria della evoluzione non è per sé in contrasto con le religioni positive, ma solo con un’interpretazione letterale dei testi sacri. Paradossalmente i migliori alleati dei darwinisti più accesi come Richard Dawkins sono proprio i sostenitori acritici della lettera delle Scritture. È bene peraltro sottolineare che la teoria dell’evoluzione, sostenuta oggi da molte evidenze sperimentali, è pur sempre una teoria e, come tutte le teorie scientifiche, non solo può, ma deve, essere discussa per vagliarne continuamente la validità: questa stessa teoria è oggi assai diversa dalla sua formulazione originale. Inoltre, i più recenti tentativi di spiegare il profondo divario esistente tra l’uomo e il suo più prossimo essere vivente, lo scimpanzé, cercando in esso i prodromi dei comportamenti umani – del pensiero complesso, del linguaggio, della morale – danno risultati assai discutibili, come riconosciuto anche dai più convinti sostenitori del darwinismo. Intanto continua la caccia ai reperti fossili per stabilire se e come nel passato si sia giunti al supposto processo evolutivo della ominazione: se cioè sia possibile trovare un continuum di specie tra i grandi primati e l’uomo. Perché non accettare che la 'polvere' usata da Dio per formare l’uomo, come descritto nella Genesi, possa indicare un primate? È il soffio divino a stabilire un solco invalicabile tra noi e gli altri esseri viventi, che però proprio a causa delle somiglianze morfologiche e biochimiche dobbiamo trattare con rispetto nell’ambito di una ecologia cristiana come insegna Benedetto XVI.
«Avvenire» del 2 luglio 2009
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