La diffidenza crescente verso i grandi sistemi avrebbe lasciato il campo sgombro per un ritorno alla questione della ' saggezza' personale, così determinante già nel pensiero greco. È stato proprio Hadot a porsi fra i primi il problema della compatibilità fra le opere stoiche e il cristianesimo, cercando di trovare negli ' esercizi spirituali' di sant’Ignazio di Loyola una sorta di possibile passerella.
Foucault, invece, interpreta il pensiero stoico soprattutto come una sorta di ' etica dell’autopossesso'. Secondo l’autorevole mensile gesuita Ètudes, che ha dedicato anch’essa un approfondimento al 'gusto per gli stoici' e al dilagare della moda neo-stoicista, il rischio implicito della vulgata diffusa da Foucault è quello di « incoraggiare l’uomo ad abbandonare il mondo alla sua violenza e al suo caos» .
Insomma, si spalancherebbe la porta del disimpegno sociale e dell’indifferenza. Si confluirebbe così, nonostante riferimenti culturali tanto ' nobili', nei sentimenti individualistici più diffusi della società dei consumi. Per la filosofa Nathalie SarthouLajus, autrice dell’articolo sulla rivista cattolica francese, la concentrazione sul sé dello stoicismo è difficilmente compatibile con l’etica cristiana, nonostante una tradizione ormai lunga di tentativi in questo senso. Altri osservatori hanno sottolineato come la moda degli stoici abbia raggiunto un picco nei media in concomitanza del lungo ed aspro dibattito francese sulla ' fine della vita'.
Organizzazioni pro-eutanasia come l’Associazione per il diritto a morire nella dignità hanno presto rivendicato la propria concezione 'stoica'. E in questi casi, l’interpretazione dei pensatori antichi ha finito per scadere quasi sempre in pura ideologia. Un’altra 'interpretazione' dello stoicismo per molti aspetti aberrante si osserva anche nelle opere sulle cosiddette 'tecniche di sviluppo personale'. Anche per via di queste derive, l’attuale infatuazione francese per gli stoici resta un fenomeno (almeno sociale) probabilmente da non sottovalutare. Già tante volte, in passato, l’ideologia ha pescato i propri riferimenti filosofici molto indietro nei secoli.
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Reale: «Sempre meglio degli antidepressivi»
Di Edoardo Castagna
Questa volta la Francia arriva un po’ in ritardo. In Italia la 'riscoperta' degli stoici è un dato acquisito già da diversi anni: lo testimonia senza esitazione il filosofo Giovanni Reale, che insieme al suo allievo Roberto Radice ha curato la pubblicazione – con testo a fronte – dell’intero
corpus stoico: «Proprio in questo istante il mio tavolo è ingombro del materiale su Epitteto che uscirà nei prossimi mesi per Bompiani, ultima fatica che completerà l’insieme dei testi stoici, dai frammenti greci ai classici latini».
Perché tanto interesse?
«Perché la filosofia oggi attraversa la più grande crisi che abbia mai avuto. Crisi che deriva dal tentativo di creare una simbiosi tra il metodo delle scienze naturali e quello proprio della filosofia. Una grande confusione: un conto è la scienza particolare, un altro è la domanda – metafisica – che investe ogni particolare. Applicare i metodi del particolare ai problemi dell’universale porta a un vicolo cieco; dopo la 'distruzione' della metafisica e dei problemi della trascendenza, la filosofia si è ritrovata povera di contenuti e ha cercato di investire tutte le sue energie nell’elaborazione di una metodologia, dalla logica alla filosofia del linguaggio. I problemi etici e di valori sembrano ormai al di fuori delle sue competenze: il che non può che scontentare. L’interesse per lo stoicismo costituisce una risposta a questa crisi della filosofia contemporanea».
Quali sono i contenuti dello stoicismo in grado di parlare all’uomo di oggi?
«Per gli stoici la filosofia era la scienza e l’arte del vivere: se vuoi, dicevano, tu puoi essere felice. Era così per il ricchissimo Seneca e per l’imperatore Marco Aurelio, ma anche per lo schiavo Epitteto.
Una filosofia per la totalità dell’uomo, quindi, che mostrava come via per la felicità la conoscenza del mondo, la conoscenza di se stessi e la conoscenza di ciò che è in proprio potere e di ciò che non lo è.
Dove sei, chi sei, che cosa puoi (e non puoi) fare: se sai questo, non puoi non essere felice. Dai Pensieri di Marco Aurelio, scritti non per la pubblicazione ma per la propria meditazione: 'Al mattino mi alzo per compiere il mio mestiere di uomo'. Proprio quanto che è stato dimenticato da gran parte degli uomini di oggi».
Un ritorno alla centralità dell’uomo, quindi?
«Gli stoici ci ricordano che quel che conta non sono mai le cose, ma le persone e come queste si rapportano alle cose. Epitteto scriveva – lui, uno schiavo –: 'Se vuoi, sei libero. Ma nessuno che sia nell’errore è libero'. Lo stoicismo è una terapia: come gli antidepressivi, soltanto che cura le cause e non gli effetti. Non stupisce che oggi attiri tanto».
E non c’è il rischio di ridurre lo stoicismo a regolette da 'manuale per vivere meglio'?
«Chiaramente così non avrebbe più nulla a che fare con la filosofia; negli stoici troviamo filoni d’oro, non un catechismo».
Però torna anche la secolare questione della compatibilità dello stoicismo con il cristianesimo...
«Ma il cristianesimo trascende tutto! E poi bisogna sempre ricordare che gli stessi Padri della Chiesa hanno tratto molto dagli stoici, perché erano consapevoli che la verità si può manifestare, in frammenti, anche al di fuori della Rivelazione. D’altra parte, Seneca, Epitteto e Marco Aurelio erano tutti e tre religiosi – Epitteto scriveva che 'l’uomo è una particella di Dio' –; certo, l’unica vera medicina, quella globale, è Cristo. Parafrasando san Paolo, chi ha fede può dire di poter mangiare tutto».
"Avvenire" del 16 luglio 2009
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