di Gianni Cardinale
Gli studiosi e gli appassionati del tema hanno un nuovo strumento per meglio valutare il capitolo forse più delicato nella storia dei rapporti tra scienza e fede. Nella sala stampa vaticana è stata, infatti, presentata ieri una nuova edizione de I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (1611-1741). Il corposo volume (quasi seicento pagine) è stato curato dal vescovo barnabita Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio segreto vaticano, che curò anche la prima edizione del 1984. Il presule, nell’illustrare l’opera ai giornalisti, ha spiegato quali sono gli aspetti innovativi di questa edizione, «più sicura e più completa». Più sicura per una «maggiore fedeltà agli atti originali del processo», attraverso una minuziosa rilettura «rigo per rigo, maiuscola per maiuscola»; più completa perché vi sono stati inseriti una ventina di nuovi documenti ritrovati negli archivi dell’ex Sant’Uffizio dopo il 1984. Il volume è poi corredato da un’ampia introduzione in cui Pagano ripercorre tutte le tappe che dal 1611 al 1633 condussero al celebre processo. Ogni singolo documento è preceduto da una accurata nota critica. Pagano quindi ha fatto notare che il volume contiene per la prima volta le notazioni storiche e biografiche di tutti i personaggi coinvolti (l’unico non ancora identificato – ha aggiunto il presule – risulta essere il padre gesuita dalle cui prediche a Santa Maria Novella scaturì la prima denuncia contro Galilei). Pagano ha voluto poi ribadire la scientificità dell’opera che non vuole essere «apologetica», né vuole dare spazio a «fantasticherie» storiografiche. E ha rimarcato come Galilei abbia voluto sempre essere un figlio della Chiesa: rifiutò i doni che una potenza protestante come l’Olanda voleva fargli e «morì da buon cattolico, anche se purtroppo da penitente perché il Papa [Urbano VIII, ndr ] non volle togliergli le penitenze che gli erano state imposte», un gesto quest’ultimo, ha poi aggiunto Pagano, caratterizzato da «troppa severità verso questo vecchio prossimo alla morte». Il prefetto dell’Archivio vaticano ha inoltre notato come Galilei, «che non conosceva bene la Curia romana», abbia irrimediabilmente compromesso la sua posizione nei confronti del Sant’Uffizio col «linguaggio apodittico» usato nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo per dimostrare, senza vere prove scientifiche, le tesi copernicane. Alla fine della conferenza stampa Pagano ha speso delle parole forti in difesa della memoria di Pio XII, «un grandissimo Papa», e contro i sostenitori del «suo presunto silenzio» nei confronti della Shoah. Ha ricordato che ci sono una ventina di addetti al lavoro per ordinare le carte del pontificato pacelliano e che ci vorranno ancora cinque-sei anni per terminarlo. E ha aggiunto: «Pio XII ha corso rischi personali anche molto alti per salvare degli ebrei. Non posso dire di più ora, ma fra cinque o sei anni, chi vorrà aprire gli occhi li aprirà». Sempre durante la conferenza stampa, rispondendo alla domanda su cosa può insegnare oggi il caso Galileo, Pagano, tra l’altro, ha detto che è necessario «stare molto attenti quando ci si confronta con la sola scrittura alla mano in questioni scientifiche, a non fare noi gli errori che furono fatti allora. Penso alle cellule staminali, penso ai problemi dell’eugenetica, penso ai problemi della ricerca scientifica in questi ambiti, che qualche volta ho l’impressione siano condannati con gli stessi preconcetti che valevano allora per la teoria copernicana». Per cercare di evitare possibili strumentalizzazioni successivamente la Sala stampa ha diffuso la seguente dichiarazione chiarificatrice di Pagano: «Il caso Galileo insegna alla scienza a non presumere di far da maestra alla Chiesa in materia di fede e di Sacra Scrittura e insegna contemporaneamente alla Chiesa ad accostarsi ai problemi scientifici – fossero anche quelli legati alla più moderna ricerca sulle staminali, per esempio – con molta umiltà e circospezione».
«Avvenire» del 3 luglio 2009
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