di Alessandro Zaccuri
Davvero con Michael Jackson è morto l’ultimo grande dandy della tradizione classica? A sostenerlo è stato Bernard Henri Lévy, il filosofo francese che di dandy se ne intende – insinuano i maligni – anche per esperienza personale. Di sicuro molte delle figure del nostro immaginario hanno un debito ( più o meno dichiarato, più o meno consapevole) con il sistema mediatico dell’Ottocento, il secolo in cui prende forma l’industria culturale e contemporaneamente si sviluppa il discorso pubblico sulla notorietà. È un tema che il francesista Giuseppe Scaraffia esplora da oltre vent’anni, alternando contributi sulle gesta del « bel tenebroso » a indagini sulle varie tipologie di « donna fatale » . Un duplice stereotipo, maschile e femminile, che sembrerebbe ormai superato, se le cronache non si incaricassero di dimostrare ostinatamente il contrario.
Ecco allora la saga di « Twilight » che riporta il mito del vampiro alle sua ambigue origini byroniane, ecco il povero Jacko che riveste il selvaggio Peter Pan con la livrea di un’eleganza esasperata, ecco le donne bellissime, le impossibili, le equivoche e pericolose che sempre più spesso intrecciano i loro destini con le passacaglie del costume, della cultura, perfino della politica.
« Femme fatale » ( Vallecchi) è, non a caso, il titolo del nuovo libro di Scaraffia, quasi una prosecuzione o integrazione del « Cortigiane » uscito l’anno scorso da Mondadori. Struttura immutata, con il rapido susseguirsi di ritratti eruditi e complici, ma diversa collocazione temporale. Con Sarah Bernhardt e Mata Hari, con Alma Mahler e Lou von Salomé ci inoltriamo infatti nel labirinto del « secolo breve » , abbandonando la stretta periodizzazione ottocentesca del libro precedente. Da un volume all’altro si precisa anche la prospettiva adottata da Scaraffia, che in « Cortigiane » suggeriva di individuare nella seduttrice « Belle époque » un paradossale modello di emancipazione femminile. Le storie raccolte in « Femme fatale » sembrano invece andare in un’altra direzione, accentuando l’aspetto doloroso di vicende individuali tutte giocate sul filo dell’apparenza e dell’autorappresentazione. Esemplare, tra le altre, quella della baronessa Deslandes, ossessionata dall’avanzare dell’età al punto di presentarsi come venticinquenne anche dopo aver superato il crinale della cinquantina. Ma c’è pure la contessa Potocka che, morta in solitudine a fianco del suo levriero, pare anticipare certe attuali storie da rotocalco, certi furibondi successi mondani sempre pronti a rovesciarsi in tragedie altrettanto incandescenti. Con una differenza: il successo può anche essere effimero e posticcio, mentre la tragedia finisce sempre per rivelare una sua contraddittoria e umanissima verità. Un invito, se non altro, a esercitare un minimo di prudenza e forse perfino di compassione la prossima volta che si incappa nella cronaca rosa. Perché il gossip di oggi potrebbe essere il dramma di domani. E perché anche la fama, spesso, è fatale.
Ecco allora la saga di « Twilight » che riporta il mito del vampiro alle sua ambigue origini byroniane, ecco il povero Jacko che riveste il selvaggio Peter Pan con la livrea di un’eleganza esasperata, ecco le donne bellissime, le impossibili, le equivoche e pericolose che sempre più spesso intrecciano i loro destini con le passacaglie del costume, della cultura, perfino della politica.
« Femme fatale » ( Vallecchi) è, non a caso, il titolo del nuovo libro di Scaraffia, quasi una prosecuzione o integrazione del « Cortigiane » uscito l’anno scorso da Mondadori. Struttura immutata, con il rapido susseguirsi di ritratti eruditi e complici, ma diversa collocazione temporale. Con Sarah Bernhardt e Mata Hari, con Alma Mahler e Lou von Salomé ci inoltriamo infatti nel labirinto del « secolo breve » , abbandonando la stretta periodizzazione ottocentesca del libro precedente. Da un volume all’altro si precisa anche la prospettiva adottata da Scaraffia, che in « Cortigiane » suggeriva di individuare nella seduttrice « Belle époque » un paradossale modello di emancipazione femminile. Le storie raccolte in « Femme fatale » sembrano invece andare in un’altra direzione, accentuando l’aspetto doloroso di vicende individuali tutte giocate sul filo dell’apparenza e dell’autorappresentazione. Esemplare, tra le altre, quella della baronessa Deslandes, ossessionata dall’avanzare dell’età al punto di presentarsi come venticinquenne anche dopo aver superato il crinale della cinquantina. Ma c’è pure la contessa Potocka che, morta in solitudine a fianco del suo levriero, pare anticipare certe attuali storie da rotocalco, certi furibondi successi mondani sempre pronti a rovesciarsi in tragedie altrettanto incandescenti. Con una differenza: il successo può anche essere effimero e posticcio, mentre la tragedia finisce sempre per rivelare una sua contraddittoria e umanissima verità. Un invito, se non altro, a esercitare un minimo di prudenza e forse perfino di compassione la prossima volta che si incappa nella cronaca rosa. Perché il gossip di oggi potrebbe essere il dramma di domani. E perché anche la fama, spesso, è fatale.
«Avvenire» del 4 luglio 2009
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