Spot ai raggi X
di Roberto I. Zanini
Nel 1906 Joseph Conrad, l’autore di Cuore di tenebra, nel racconto "Un anarchico" si «rattrista» per «il moderno sistema della pubblicità» e ne parla come della «dimostrazione del prevalere di quella forma di degradazione mentale chiamata credulità». Poi annota: «In varie parti del mondo civile e selvaggio ho dovuto mandar giù l’estratto di carne 'Bos'. Quello che non sono mai riuscito a mandar giù è la sua pubblicità». Affermazioni che ai giorni nostri risulterebbero intollerabili a qualunque pubblicitario o manipolatore della comunicazione che sia. L’aperta dichiarazione di provare fastidio di fronte alla reclame è infatti un esercizio di libertà, che indica un duplice fallimento del comunicatore: perché l’attuale sistema della comunicazione commerciale e non solo, è costruito per condizionare le scelte dell’individuo; perché per vendere il prodotto la pubblicità deve sedurre. Adesso, evidenzia Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma, nel libro "Chi manipola la tua mente? Vecchi e nuovi persuasori: riconoscerli per difendersi", edito da Giunti, si ragiona come quel tal Patrick Le Lay, direttore del primo canale della tv pubblica francese, che su 'Le Monde' dell’11 luglio 2004, riferendosi a una certa bibita gassata reclamizzata dalla sua rete, teorizza: «Perché un messaggio pubblicitario sia recepito bisogna che il cervello del telespettatore sia disponibile. Le nostre trasmissioni hanno per vocazione quella di renderlo disponibile... Quello che vendiamo alla bibita gassata è una frazione di tempo del cervello umano disponibile ».
Insomma, professoressa Oliverio Ferraris, vendono il nostro cervello.
«È il loro obiettivo. Per questo i programmi sono fatti in funzione degli sponsor. Soprattutto i cosiddetti contenitori, che risultano sempre più stupidi per rendere più incisiva la pubblicità».
Si dice che la tv ipnotizzi i bambini.
«Anche gli adulti. Sappiamo che nei bambini dopo circa venti minuti davanti alla tv o ad analogo tipo di comunicazione per immagini, le onde cerebrali si modificano. Da beta diventano alfa, cioè simili a quelle degli stati ipnotici».
Un’inchiesta ha collegato il numero dei televisori in casa con la propensione delle famiglie al consumo dei prodotti più pubblicizzati.
«Con tante tv ognuno guarda la sua. E senza potersi confrontare con una persona reale diventa più vulnerabile».
Anche quando si va al supermarket dopo un po’ ci si sente frastornati. Meglio essere accompagnati?
«Tutto nei supermercati è concepito per stimolare gli acquisti. Le luci, la musica. Si crea un ambiente uterino, benevolo. E spesso i prodotti cambiano di posto per dare la sensazione di andare a scovarli... come quando eravamo cacciatori-raccoglitori».
Si fanno studi specifici da decenni.
«Anche sul modo di far passare gli spot in tv. Ha fatto caso a quelle pubblicità che vengono trasmesse una volta per intero e poi sono rilanciate a spezzoni? Lo fanno perché lo spettatore sia costretto a fare lo sforzo di completare lo spot. Un esercizio mnemonico, che fissa nelle menti il marchio e le sue atmosfere».
Sono più importanti le atmosfere o il prodotto?
«Le faccio il caso dei detersivi. In fondo sono tutti uguali. Se vuoi vincere la concorrenza devi inventarti un logo, uno spot seduttivo, l’atmosfera giusta. Sembra strano, ma è la stessa logica che, per paradosso, conduce le emittenti a fare in prima serata programmi che si assomigliano tutti».
Nel senso che per sedurre i telespettatori tutti puntano su bisogni primari come cibo, paura e sesso?
«In questo modo si pensa di dare alle persone quello che cercano. La concorrenza fra le emittenti punta tutto su questo e la qualità della tv si abbassa progressivamente. Anche i politici utilizzano la stessa tecnica. Con una sintassi elementare dicono quello che la gente si aspetta di sentir dire da loro».
Non servono i contenuti, ma serve la televisione?
«La televisione o qualunque altro media dove l’importante è esserci e arrivare in contemporanea a milioni di persone. In questo modo ognuno può costruirsi un carisma: basta apparire. Pensiamo a certi personaggi dello spettacolo e non solo, che sono ammirati pur conducendo una vita riprovevole, pur entrando e uscendo dalla galera, pur essendo dei ricattatori. Acquistano popolarità e siccome la macchina della comunicazione è autoreferenziale, fanno un’intervista con uno e poi li intervistano tutti. Per gli operatori della comunicazione il modellino preconfezionato, il format, funziona sempre».
Più ti emoziono, più ti condiziono. E la verità dei fatti?
«Nella comunicazione per immagini non conta la verità, conta l’emozione, il sentimento. E siccome tante persone associano i sentimenti e le emozioni che provano con la verità... La nostra civiltà è fatta di persone che in certe condizioni si lasciano convincere facilmente. Basta il colpo di teatro la trovata che crea la giusta atmosfera. I nostri politici lo sanno, così come lo sanno i conduttori televisivi più gettonati. Anche il modo di porre le domande condiziona le risposte. I sondaggi in tv sono esempi classici di manomissione della verità. Poi nessuno controlla se le promesse sono state mantenute e se le 'verità' sono accertate».
Se conta solo quello che dà emozioni vengono a cadere tutti i principi che reggono la società civile.
«Certamente si favoriscono comportamenti più impulsivi. Omologati. Anche nel rapporto col sesso. Le gerarchie, le convenzioni, le relazioni, tutto quanto è frutto della civiltà e dell’istruzione perde di senso. L’autocontrollo non ha più significato. Le dispute, le divergenze si risolvono con la violenza. In tanti cartoni per bambini si ragiona così. La politica ragiona così».
Come ci difendiamo?
«Non conosco altra difesa che quella di far crescere lo spirito critico».
Di fronte a un sistema che mina le radici della democrazia e della nostra stessa civiltà ci difendiamo con lo spirito critico?
«Bisogna insegnare a valorizzare lo spirito critico. A non accontentarsi di essere cullati. Solo così si acquista l’esperienza necessaria per distinguere l’imbonitore dal comunicatore onesto. La civiltà non progredisce con le sensazioni, la democrazia non vive solo di emozioni. I giovani sono sensibili sulle questioni che hanno a che fare con la libertà. Nel mio lavoro ho visto che sono molto ricettivi quando si spiegano i modi e i motivi di chi li vuole ingannare. E il comportamento dell’utente condiziona il comunicatore».
Insomma, professoressa Oliverio Ferraris, vendono il nostro cervello.
«È il loro obiettivo. Per questo i programmi sono fatti in funzione degli sponsor. Soprattutto i cosiddetti contenitori, che risultano sempre più stupidi per rendere più incisiva la pubblicità».
Si dice che la tv ipnotizzi i bambini.
«Anche gli adulti. Sappiamo che nei bambini dopo circa venti minuti davanti alla tv o ad analogo tipo di comunicazione per immagini, le onde cerebrali si modificano. Da beta diventano alfa, cioè simili a quelle degli stati ipnotici».
Un’inchiesta ha collegato il numero dei televisori in casa con la propensione delle famiglie al consumo dei prodotti più pubblicizzati.
«Con tante tv ognuno guarda la sua. E senza potersi confrontare con una persona reale diventa più vulnerabile».
Anche quando si va al supermarket dopo un po’ ci si sente frastornati. Meglio essere accompagnati?
«Tutto nei supermercati è concepito per stimolare gli acquisti. Le luci, la musica. Si crea un ambiente uterino, benevolo. E spesso i prodotti cambiano di posto per dare la sensazione di andare a scovarli... come quando eravamo cacciatori-raccoglitori».
Si fanno studi specifici da decenni.
«Anche sul modo di far passare gli spot in tv. Ha fatto caso a quelle pubblicità che vengono trasmesse una volta per intero e poi sono rilanciate a spezzoni? Lo fanno perché lo spettatore sia costretto a fare lo sforzo di completare lo spot. Un esercizio mnemonico, che fissa nelle menti il marchio e le sue atmosfere».
Sono più importanti le atmosfere o il prodotto?
«Le faccio il caso dei detersivi. In fondo sono tutti uguali. Se vuoi vincere la concorrenza devi inventarti un logo, uno spot seduttivo, l’atmosfera giusta. Sembra strano, ma è la stessa logica che, per paradosso, conduce le emittenti a fare in prima serata programmi che si assomigliano tutti».
Nel senso che per sedurre i telespettatori tutti puntano su bisogni primari come cibo, paura e sesso?
«In questo modo si pensa di dare alle persone quello che cercano. La concorrenza fra le emittenti punta tutto su questo e la qualità della tv si abbassa progressivamente. Anche i politici utilizzano la stessa tecnica. Con una sintassi elementare dicono quello che la gente si aspetta di sentir dire da loro».
Non servono i contenuti, ma serve la televisione?
«La televisione o qualunque altro media dove l’importante è esserci e arrivare in contemporanea a milioni di persone. In questo modo ognuno può costruirsi un carisma: basta apparire. Pensiamo a certi personaggi dello spettacolo e non solo, che sono ammirati pur conducendo una vita riprovevole, pur entrando e uscendo dalla galera, pur essendo dei ricattatori. Acquistano popolarità e siccome la macchina della comunicazione è autoreferenziale, fanno un’intervista con uno e poi li intervistano tutti. Per gli operatori della comunicazione il modellino preconfezionato, il format, funziona sempre».
Più ti emoziono, più ti condiziono. E la verità dei fatti?
«Nella comunicazione per immagini non conta la verità, conta l’emozione, il sentimento. E siccome tante persone associano i sentimenti e le emozioni che provano con la verità... La nostra civiltà è fatta di persone che in certe condizioni si lasciano convincere facilmente. Basta il colpo di teatro la trovata che crea la giusta atmosfera. I nostri politici lo sanno, così come lo sanno i conduttori televisivi più gettonati. Anche il modo di porre le domande condiziona le risposte. I sondaggi in tv sono esempi classici di manomissione della verità. Poi nessuno controlla se le promesse sono state mantenute e se le 'verità' sono accertate».
Se conta solo quello che dà emozioni vengono a cadere tutti i principi che reggono la società civile.
«Certamente si favoriscono comportamenti più impulsivi. Omologati. Anche nel rapporto col sesso. Le gerarchie, le convenzioni, le relazioni, tutto quanto è frutto della civiltà e dell’istruzione perde di senso. L’autocontrollo non ha più significato. Le dispute, le divergenze si risolvono con la violenza. In tanti cartoni per bambini si ragiona così. La politica ragiona così».
Come ci difendiamo?
«Non conosco altra difesa che quella di far crescere lo spirito critico».
Di fronte a un sistema che mina le radici della democrazia e della nostra stessa civiltà ci difendiamo con lo spirito critico?
«Bisogna insegnare a valorizzare lo spirito critico. A non accontentarsi di essere cullati. Solo così si acquista l’esperienza necessaria per distinguere l’imbonitore dal comunicatore onesto. La civiltà non progredisce con le sensazioni, la democrazia non vive solo di emozioni. I giovani sono sensibili sulle questioni che hanno a che fare con la libertà. Nel mio lavoro ho visto che sono molto ricettivi quando si spiegano i modi e i motivi di chi li vuole ingannare. E il comportamento dell’utente condiziona il comunicatore».
«Avvenire» del 24 novembre 2010
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