«Il signore degli inganni» di Zachary Mason propone una serie di variazioni sul mito protagonista dell’Odissea
di Eva Cantarella
Emerso dai cumuli di immondizia disseccati di Ossirinco, un papiro pretolemaico ci ha restituito quarantaquattro succinte variazioni della storia di Ulisse: così si legge nella Prefazione a Il signore degli inganni. I libri perduti dell’Odissea di Zachary Mason (Garzanti, traduzione di Laura Noulian). Una notizia che sconvolgerebbe il mondo dell’antichistica e non solo, se vera. Ma ovviamente non lo è. È un’invenzione letteraria che consente a Mason di presentare una serie di brevi racconti che parlano, o fanno riferimento, al ritorno di Ulisse dalla guerra di Troia. Di riscrivere, insomma, un’Odissea diversa da quella omerica, piena di colpi di scena e di sorprese.
A cominciare da quella di cui al primo racconto. Tornato in patria, Ulisse scopre che Penelope si è risposata. Ovviamente, che in vent’anni le cose potessero essere cambiate se l’era immaginato, e aveva pensato al peggio (la città abbandonata, Penelope morta), ma che lei avesse smesso di sperare nel suo ritorno, questo no, non se lo sarebbe mai aspettato: «Un viaggio così lungo - pensa - e tanti di quei posti in cui avrei potuto fermarmi». Una frase che l’Ulisse omerico avrebbe ben difficilmente detto.
È un personaggio molto diverso da quello che Omero ci ha insegnato a conoscere, quello dei «libri perduti», e diverse sono anche le sue avventure e le sue scelte. Giunto alla terra dei Feaci, per cominciare, sposa la figlia del re, la bella Nausicaa, sedotto non solo dal fascino di lei, ma anche e in primo luogo avendo presenti «i vantaggi di un nuovo matrimonio rispetto agli svantaggi di un mare senza sentieri» (racconto numero 23). Questo Ulisse, inoltre, grazie alla proverbiale astuzia, in una delle «variazioni» (numero 21) riesce a sposare Elena: proprio lei, la causa della guerra. E sempre grazie alla sua astuzia riesce a far sì che a Sparta, come moglie di Menelao, vada la fida Penelope (che tanto fida non era, visto che, a breve distanza dal matrimonio, trovando Menelao insopportabile, si lascia sedurre da Paride, e fugge con lui). Altra sorpresa: le disavventure di Ulisse non sono affatto dovute all’ira di Poseidone, al quale aveva accecato il figlio Polifemo. Dipendevano dal fatto che aveva osato respingere le avances di Atena, la dea sua protettrice (numero 13).
Inutile soffermarsi su altri racconti: a questo punto, le ragioni del successo del libro sono intuibili. Diventato rapidamente un caso letterario, ha entusiasmato la critica anglosassone, che lo ha giudicato (son parole di Simon Goldhill sul TLS) «forse il più rivelatore e brillante incontro in prosa con Omero, dopo James Joyce». Non è mancato chi ha avvicinato Mason a Borges, e chi leggendolo ha pensato a Calvino. E alle suggestioni e agli accostamenti letterari si potrebbe aggiungere un altro merito non da poco: i «libri perduti» aiutano a riflettere sulla natura e il valore del mito. Nati nella civiltà della scrittura, noi tendiamo a pensare ai testi come a qualcosa di immutabile, ma nelle società orali, quale fu la Grecia arcaica (e in notevole misura anche quella classica), chi ripeteva i racconti tradizionali che fornivano argomento ai miti li modificava, oltre che per seguire il proprio estro poetico, a seconda del messaggio che voleva trasmettere.
Di ogni mito esistevano infinite varianti, che a volte raccontavano storie radicalmente diverse. Un esempio fra tanti: secondo una delle versioni della sua storia Elena non aveva mai abbandonato Sparta e Menelao; secondo altri era partita per Troia, ma non vi era mai arrivata: la nave sulla quale era imbarcata era stata gettata sulle coste egiziane da una tempesta, Elena era stata condotta alla reggia di Memphis, dove era rimasta per tutto il tempo della guerra. A Troia era arrivato un eidolon, un suo simulacro fatto d’aria. Per giustificare Elena, queste versioni fanno combattere a greci e troiani una guerra decennale per una nuvola.
Quel che «i libri perduti» dell’Odissea ci ricordano è che il racconto omerico del ritorno di Ulisse è solo uno dei tanti modi di scegliere e organizzare la materia mitica, che i primi a reinventare imiti furono i greci stessi, e che è stata questa continua reinvenzione a renderli immortali. Ben venga dunque, anche per questo, questa nuova, bellissima riscrittura dell’Odissea.
Zachary Mason, Il signore degli inganni. I lbri perduti dell'Odissea (traduzione di Laura Noulian), Garzanti, pp. 223, € 15,60
A cominciare da quella di cui al primo racconto. Tornato in patria, Ulisse scopre che Penelope si è risposata. Ovviamente, che in vent’anni le cose potessero essere cambiate se l’era immaginato, e aveva pensato al peggio (la città abbandonata, Penelope morta), ma che lei avesse smesso di sperare nel suo ritorno, questo no, non se lo sarebbe mai aspettato: «Un viaggio così lungo - pensa - e tanti di quei posti in cui avrei potuto fermarmi». Una frase che l’Ulisse omerico avrebbe ben difficilmente detto.
È un personaggio molto diverso da quello che Omero ci ha insegnato a conoscere, quello dei «libri perduti», e diverse sono anche le sue avventure e le sue scelte. Giunto alla terra dei Feaci, per cominciare, sposa la figlia del re, la bella Nausicaa, sedotto non solo dal fascino di lei, ma anche e in primo luogo avendo presenti «i vantaggi di un nuovo matrimonio rispetto agli svantaggi di un mare senza sentieri» (racconto numero 23). Questo Ulisse, inoltre, grazie alla proverbiale astuzia, in una delle «variazioni» (numero 21) riesce a sposare Elena: proprio lei, la causa della guerra. E sempre grazie alla sua astuzia riesce a far sì che a Sparta, come moglie di Menelao, vada la fida Penelope (che tanto fida non era, visto che, a breve distanza dal matrimonio, trovando Menelao insopportabile, si lascia sedurre da Paride, e fugge con lui). Altra sorpresa: le disavventure di Ulisse non sono affatto dovute all’ira di Poseidone, al quale aveva accecato il figlio Polifemo. Dipendevano dal fatto che aveva osato respingere le avances di Atena, la dea sua protettrice (numero 13).
Inutile soffermarsi su altri racconti: a questo punto, le ragioni del successo del libro sono intuibili. Diventato rapidamente un caso letterario, ha entusiasmato la critica anglosassone, che lo ha giudicato (son parole di Simon Goldhill sul TLS) «forse il più rivelatore e brillante incontro in prosa con Omero, dopo James Joyce». Non è mancato chi ha avvicinato Mason a Borges, e chi leggendolo ha pensato a Calvino. E alle suggestioni e agli accostamenti letterari si potrebbe aggiungere un altro merito non da poco: i «libri perduti» aiutano a riflettere sulla natura e il valore del mito. Nati nella civiltà della scrittura, noi tendiamo a pensare ai testi come a qualcosa di immutabile, ma nelle società orali, quale fu la Grecia arcaica (e in notevole misura anche quella classica), chi ripeteva i racconti tradizionali che fornivano argomento ai miti li modificava, oltre che per seguire il proprio estro poetico, a seconda del messaggio che voleva trasmettere.
Di ogni mito esistevano infinite varianti, che a volte raccontavano storie radicalmente diverse. Un esempio fra tanti: secondo una delle versioni della sua storia Elena non aveva mai abbandonato Sparta e Menelao; secondo altri era partita per Troia, ma non vi era mai arrivata: la nave sulla quale era imbarcata era stata gettata sulle coste egiziane da una tempesta, Elena era stata condotta alla reggia di Memphis, dove era rimasta per tutto il tempo della guerra. A Troia era arrivato un eidolon, un suo simulacro fatto d’aria. Per giustificare Elena, queste versioni fanno combattere a greci e troiani una guerra decennale per una nuvola.
Quel che «i libri perduti» dell’Odissea ci ricordano è che il racconto omerico del ritorno di Ulisse è solo uno dei tanti modi di scegliere e organizzare la materia mitica, che i primi a reinventare imiti furono i greci stessi, e che è stata questa continua reinvenzione a renderli immortali. Ben venga dunque, anche per questo, questa nuova, bellissima riscrittura dell’Odissea.
Zachary Mason, Il signore degli inganni. I lbri perduti dell'Odissea (traduzione di Laura Noulian), Garzanti, pp. 223, € 15,60
«Corriere della Sera» del 15 novembre 2010
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