di Alessandro Zaccuri
Il bello della convergenza è che, in realtà, è quanto di più divergente si possa immaginare. Perché è vero, i media sono destinati ad avvicinarsi l’uno all’altro, creando un nuovo 'ambiente' la cui mappa – come accade nei videogiochi – si disegna su schermi e display nel momento stesso in cui si esplorano nuove porzioni di territorio. Solo che l’esito di questo processo non è la black box mitizzata dai tecno-sciamani degli anni Novanta, l’apparecchio definitivo del 'tutto in uno' il cui risultato avrebbe dovuto eccedere di gran lunga la somma delle parti. Al contrario, come ha dimostrato Henry Jenkins, 'convergenti' sono i comportamenti delle persone, 'convergente' è la pratica di ciascuno di noi quando andiamo alla ricerca dello stesso contenuto su piattaforme differenti, con un occhio di riguardo per il web, d’accordo, ma senza dimenticare per questo i mezzi di comunicazione più tradizionali. E siccome le persone sono tutte diverse tra loro, il medesimo processo assume un’innumerevole, 'divergente' varietà di forme.
Capita così che la tv, data per spacciata dai primi guru dell’era digitale, viva oggi una stagione di straordinaria vivacità, trasformandosi in crocevia di molteplici esperienze di visione e di ancor più variegate pratiche di condivisione. È lo scenario documentato dal volume Televisione convergente: la tv oltre il piccolo schermo, a cura di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni (Link Ricerca, pagine 268, euro 18,00: il libro sarà presentato oggi alle 11.30 presso l’aula Pio XI dell’Università cattolica di Milano nel corso di un incontro al quale parteciperanno Pier Silvio Berlusconi e Marco Paolini, direttore Marketing strategico Rti).
Frutto di un’articolata indagine condotta lo scorso anno dal Ce.R.T.A., il Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi attivo in Cattolica dal 2008, lo studio si articola su tre piani 'convergenti': l’analisi dei ruoli innovativi che emittenti e spettatori si trovano a giocare in un panorama dominato, tra l’altro, dall’inedita centralità del 'marchio' che caratterizza il programma (che deve quindi rimanere riconoscibile in ciascuno dei contesti in cui si manifesta); il riconoscimento di alcuni degli stili attualmente adottati da un pubblico che, pur non avendo del tutto abbandonato la tv tradizionale, sperimenta con curiosità crescente le offerte della programmazione digitale; una nutrita serie di casi emblematici, che vanno dai nostrani 'Cesaroni' (tra le cui 'estensioni' fuori dal piccolo schermo troviamo anche un’etichetta di vini…) e gli americanissimi 'Heroes', la serie di fantascienza paradossalmente soffocata dall’eccesso di narrazioni in parallelo sviluppatesi su piattaforme alternative rispetto alla cara, vecchia tv.
In questo territorio non privo di contraddizioni si verifica, come osserva Grasso in uno dei capitoli del volume, «l’incontro, e spesso lo scontro, tra una produzione potenzialmente più aperta e un consumo potenzialmente più attivo». Fenomeni di cui, nel nostro Paese, si scorge per ora solo qualche avvisaglia: in una delle 'tribù televisive' censite dalla ricerca il televisore continua a dominare indisturbato, anche se il capofamiglia va molto fiero del suo smart phone di ultima generazione, mentre in altre situazioni l’attivismo tecnologico dei più giovani è frenato dalla scarsa disponibilità economica. Ma la trasformazione è già in atto e ha per oggetto, scrive ancora Grasso, «quella cosa che, oggi e per molti anni ancora, continueremo a chiamare televisione».
Capita così che la tv, data per spacciata dai primi guru dell’era digitale, viva oggi una stagione di straordinaria vivacità, trasformandosi in crocevia di molteplici esperienze di visione e di ancor più variegate pratiche di condivisione. È lo scenario documentato dal volume Televisione convergente: la tv oltre il piccolo schermo, a cura di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni (Link Ricerca, pagine 268, euro 18,00: il libro sarà presentato oggi alle 11.30 presso l’aula Pio XI dell’Università cattolica di Milano nel corso di un incontro al quale parteciperanno Pier Silvio Berlusconi e Marco Paolini, direttore Marketing strategico Rti).
Frutto di un’articolata indagine condotta lo scorso anno dal Ce.R.T.A., il Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi attivo in Cattolica dal 2008, lo studio si articola su tre piani 'convergenti': l’analisi dei ruoli innovativi che emittenti e spettatori si trovano a giocare in un panorama dominato, tra l’altro, dall’inedita centralità del 'marchio' che caratterizza il programma (che deve quindi rimanere riconoscibile in ciascuno dei contesti in cui si manifesta); il riconoscimento di alcuni degli stili attualmente adottati da un pubblico che, pur non avendo del tutto abbandonato la tv tradizionale, sperimenta con curiosità crescente le offerte della programmazione digitale; una nutrita serie di casi emblematici, che vanno dai nostrani 'Cesaroni' (tra le cui 'estensioni' fuori dal piccolo schermo troviamo anche un’etichetta di vini…) e gli americanissimi 'Heroes', la serie di fantascienza paradossalmente soffocata dall’eccesso di narrazioni in parallelo sviluppatesi su piattaforme alternative rispetto alla cara, vecchia tv.
In questo territorio non privo di contraddizioni si verifica, come osserva Grasso in uno dei capitoli del volume, «l’incontro, e spesso lo scontro, tra una produzione potenzialmente più aperta e un consumo potenzialmente più attivo». Fenomeni di cui, nel nostro Paese, si scorge per ora solo qualche avvisaglia: in una delle 'tribù televisive' censite dalla ricerca il televisore continua a dominare indisturbato, anche se il capofamiglia va molto fiero del suo smart phone di ultima generazione, mentre in altre situazioni l’attivismo tecnologico dei più giovani è frenato dalla scarsa disponibilità economica. Ma la trasformazione è già in atto e ha per oggetto, scrive ancora Grasso, «quella cosa che, oggi e per molti anni ancora, continueremo a chiamare televisione».
Eterna televisione. Col web doveva finire invece è il luogo dove convergono tutti i generi. Un libro di Grasso e Scaglioni
«Avvenire» del 16 novembre 2010
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