La crisi dello strutturalismo, ammessa dai suoi maestri, rilancia l’idea di recuperare la vecchia prova regina all’esame di maturità
di Giuliano Ladolfi
Da quando Luigi Berlinguer ha cambiato (in meglio, senza dubbio) la struttura dell’esame di Stato degli studi secondari superiori, la prova scritta di italiano prevede quattro diverse richieste: l’analisi del testo (tipologia A), il saggio breve (tipologia B), l’articolo di giornale (tipologia B), il tema di storia (tipologia C) e di attualità (tipologia D). L’ampliamento delle proposte risponde alla necessità di valorizzare le personali attitudini del candidato in relazione a quattro diverse modalità di progettazione, di stesura e di argomentazione dello scritto.
L’introduzione della prima modalità deriva da decenni di impostazione strutturalista e formalista della critica letteraria che concepisce lo studio del testo come analisi degli aspetti formali (fonetici, ritmici, metrici e contenutistici), ignorando in gran parte gli elementi estetici, storici, filosofici e sociologici. La lettura di una pagina letteraria si è trasformata in una ricerca tecnica di strutture. La poesia e il romanzo nella mente degli studenti appaiono aridi meccanismi applicati al linguaggio.
Ora la stagione dello Strutturalismo è finita; ne è consapevole Cesare Segre, ne è consapevole Tzvetan Todorov, come ha rilevato Cesare Cavalleri in un bell’articolo pubblicato su Avvenire qualche mese fa. Non è un caso che Todorov stesso abbia mutato parere e sostenga che «le opere trasmettono un significato e lo scrittore pensa; il ruolo del critico è trasformare significato e pensiero nel linguaggio comune del suo tempo». E poi mi si permetta di ribadire che la ripetizione del suono 'r' nel secondo verso della poesia di Montale presentata nella tipologia A del primo scritto del passato esame di Stato vuol dire tutto e il contrario di tutto. Basti un solo esempio: una delle parole semanticamente più dolci della lingua italiana 'tenerezza' comporta la presenza di suoni aspri! Ogni interpretazione richiede uno 'scarto' logico; non esiste alcuna certezza 'scientifica' in questo settore. La grande letteratura parla dei problemi umani e non è formata da «incontri di modelli semiologicamente attivi» (Silvio D’Arco Avalle) né da un «gioco linguistico» né da esercizio stilistico né da divertissement. Ricordo, a questo proposito, una bella definizione di Blanchot: lo Strutturalismo è un tentativo di prolungare all’infinito il viaggio per eludere la nostalgia del porto.
Si rende, pertanto, necessario mutare modalità di verifica delle abilità di espressione scritta in lingua italiana nella prova conclusiva degli Studi Superiori, e cioè l’argomentazione di una questione di carattere letterario, riprendendo il tradizionale tema di componimento. Tale proposta, tuttavia, non deve essere intesa come 'ritorno al passato', ma come riappropriazione della consapevolezza che la poesia e la letteratura sono parte delle scienze umane e come tali devono essere reinserite all’interno del cammino della civiltà occidentale. Ogni grande autore va considerato testimone ed interprete di uno sviluppo del pensiero che motiva e chiarisce i diversi fenomeni culturali, economici, politici e storici ecc. in cui si articola la società.
L’esperienza personale come quella di moltissimi colleghi conferma che una simile impostazione apre veramente la mente, appassiona allo studio della letteratura vissuto come avventura dello spirito umano, favorisce il dialogo e la discussione, spinge l’alunno all’approfondimento e alla lettura personale, lo arricchisce umanamente, perché egli comprende che ogni capolavoro nasce da un originale modo di rispondere ai quesiti esistenziali che ciascun uomo si pone e che ogni epoca storica tenta di inquadrare in una originale interpretazione del reale.
Con questo non chiedo che venga abolita la prima tipologia, considero, però, inderogabile ripristinare uno strumento che nel passato ha fornito agli attuali professionisti una palestra di stile, di capacità critica e argomentativa e una scuola di vera umanità.
L’introduzione della prima modalità deriva da decenni di impostazione strutturalista e formalista della critica letteraria che concepisce lo studio del testo come analisi degli aspetti formali (fonetici, ritmici, metrici e contenutistici), ignorando in gran parte gli elementi estetici, storici, filosofici e sociologici. La lettura di una pagina letteraria si è trasformata in una ricerca tecnica di strutture. La poesia e il romanzo nella mente degli studenti appaiono aridi meccanismi applicati al linguaggio.
Ora la stagione dello Strutturalismo è finita; ne è consapevole Cesare Segre, ne è consapevole Tzvetan Todorov, come ha rilevato Cesare Cavalleri in un bell’articolo pubblicato su Avvenire qualche mese fa. Non è un caso che Todorov stesso abbia mutato parere e sostenga che «le opere trasmettono un significato e lo scrittore pensa; il ruolo del critico è trasformare significato e pensiero nel linguaggio comune del suo tempo». E poi mi si permetta di ribadire che la ripetizione del suono 'r' nel secondo verso della poesia di Montale presentata nella tipologia A del primo scritto del passato esame di Stato vuol dire tutto e il contrario di tutto. Basti un solo esempio: una delle parole semanticamente più dolci della lingua italiana 'tenerezza' comporta la presenza di suoni aspri! Ogni interpretazione richiede uno 'scarto' logico; non esiste alcuna certezza 'scientifica' in questo settore. La grande letteratura parla dei problemi umani e non è formata da «incontri di modelli semiologicamente attivi» (Silvio D’Arco Avalle) né da un «gioco linguistico» né da esercizio stilistico né da divertissement. Ricordo, a questo proposito, una bella definizione di Blanchot: lo Strutturalismo è un tentativo di prolungare all’infinito il viaggio per eludere la nostalgia del porto.
Si rende, pertanto, necessario mutare modalità di verifica delle abilità di espressione scritta in lingua italiana nella prova conclusiva degli Studi Superiori, e cioè l’argomentazione di una questione di carattere letterario, riprendendo il tradizionale tema di componimento. Tale proposta, tuttavia, non deve essere intesa come 'ritorno al passato', ma come riappropriazione della consapevolezza che la poesia e la letteratura sono parte delle scienze umane e come tali devono essere reinserite all’interno del cammino della civiltà occidentale. Ogni grande autore va considerato testimone ed interprete di uno sviluppo del pensiero che motiva e chiarisce i diversi fenomeni culturali, economici, politici e storici ecc. in cui si articola la società.
L’esperienza personale come quella di moltissimi colleghi conferma che una simile impostazione apre veramente la mente, appassiona allo studio della letteratura vissuto come avventura dello spirito umano, favorisce il dialogo e la discussione, spinge l’alunno all’approfondimento e alla lettura personale, lo arricchisce umanamente, perché egli comprende che ogni capolavoro nasce da un originale modo di rispondere ai quesiti esistenziali che ciascun uomo si pone e che ogni epoca storica tenta di inquadrare in una originale interpretazione del reale.
Con questo non chiedo che venga abolita la prima tipologia, considero, però, inderogabile ripristinare uno strumento che nel passato ha fornito agli attuali professionisti una palestra di stile, di capacità critica e argomentativa e una scuola di vera umanità.
«Avvenire» del 26 settembre 2008
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