di Alfonso Berardinelli
Esce negli Oscar Mondadori un’edizione fittamente annotata e commentata di Satura di Montale, a cura di Riccardo Castellana. Il volume sarà molto utile a docenti e insegnanti che vogliano far leggere questo libro di poesia : se non il più bello, certo il più storicamente importante della seconda metà del Novecento, accanto alle Ceneri di Gramsci di Pasolini.
Satura uscì nel 1971, le Ceneri erano uscite nel 1957. Le differenze di cultura, di temperamento, di situazione fra i due libri e i due autori non potrebbero essere maggiori. Eppure in tutti e due i casi abbiamo a che fare con un sorprendente, coraggioso, rischioso sperimentalismo semantico che sposta decisamente il linguaggio della poesia verso un’ampia discorsività molto vicina la parlato, alla prosa, al monologo diaristico, alla variazione su temi ideologici. In definitiva con questi libri la tradizione postsimbolista ed ermetica è definitivamente esaurita. Pasolini torna al poemetto romantico (Foscolo, Shelley). Con Montale ricompaiono i poeti satirici latini (da Orazio a Marziale) perfettamente reinventati e adeguati a tempi ormai postmoderni.
Satura suscitò grandi entusiasmi: finalmente (si pensava) un Montale elegantemente leggibile, un coltissimo poeta aristocratico, eletto, sorpreso e incontrato a casa sua, in pantofole, in dichiarata, meditabonda, apocalittica e sentenziosa senilità. Alcuni poeti e critici furono invece delusi. Questa edizione rende conto dell’impatto del libro riproducendo, in apertura e in chiusura, un saggio di Romano Luperini e uno di Franco Fortini. Anche Pasolini trovò antipatico e inaccettabile il Montale di Satura.
Ciò che infastidiva nel libro era la convivenza ambivalente di signorilità e modestia comunicativa, di nichilismo antistorico da un lato e sorniona leggerezza dall’altro. Comunque si giudichi il libro, va detto che Montale qui non si nasconde, non allegorizza, non gioca con l’oscurità, non allude. Capiva che il Novecento era già alla sua fine. Un classico della modernità come lui diventava così un maestro di postmodernità. Riuscì a restare se stesso diventando un altro.
Satura suscitò grandi entusiasmi: finalmente (si pensava) un Montale elegantemente leggibile, un coltissimo poeta aristocratico, eletto, sorpreso e incontrato a casa sua, in pantofole, in dichiarata, meditabonda, apocalittica e sentenziosa senilità. Alcuni poeti e critici furono invece delusi. Questa edizione rende conto dell’impatto del libro riproducendo, in apertura e in chiusura, un saggio di Romano Luperini e uno di Franco Fortini. Anche Pasolini trovò antipatico e inaccettabile il Montale di Satura.
Ciò che infastidiva nel libro era la convivenza ambivalente di signorilità e modestia comunicativa, di nichilismo antistorico da un lato e sorniona leggerezza dall’altro. Comunque si giudichi il libro, va detto che Montale qui non si nasconde, non allegorizza, non gioca con l’oscurità, non allude. Capiva che il Novecento era già alla sua fine. Un classico della modernità come lui diventava così un maestro di postmodernità. Riuscì a restare se stesso diventando un altro.
«Avvenire» del 16 maggio 2009
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