Ulisse segna la nascita dell'Io e della sua inesausta domanda di autonomia, di avventura e di superamento di sé. L'eroe dell'Odissea è l'incipit della modernità, delle sue contraddizioni, delle sue nevrosi, del sentimento morale
di Eugenio Scalfari
Al Salone del libro di Torino, dove sono stato per un paio di giorni più per curiosità letterarie che per impegni editoriali, ho notato che in numerose occasioni è stata ricordata l'importanza di Omero e dei suoi poemi ancora attuali come non mai sebbene siano passati tre millenni da quando cantò le imprese degli eroi sotto le mura di Troia e il ritorno avventuroso di Odisseo ad Itaca.
Quei due poemi e quanto fiorì attorno ad essi con inesausta attenzione hanno dato il tono alla civiltà letteraria occidentale scavalcando le epoche, le religioni, le scuole. Noi parliamo spesso di cultura greca, giudaica, cristiana, islamica indicando con questi riferimenti le radici della nostra civiltà occidentale, ma meglio ancora potremmo dire con una sola parola che in buona parte le comprende ponendosi all'origine di esse: cultura omerica.
In essa c'è infatti il divino, l'eroico, il mito della forza e quello del coraggio, il mito dell'intelligenza, il mondo della magia, quello oscuro delle anime morte, l'amore, la fedeltà, la gelosia, la vendetta, la pietà. Ma c'è anche, incredibile a dirsi, l'embrione della modernità incarnata da Odisseo e dal suo viaggio senza fine.
Ha scritto qualche giorno fa Claudio Magris sul 'Corriere della Sera' che Ulisse è il primo eroe moderno. Ha ragione e del resto siamo in molti ad aver già segnalato l'attualità dell'eroe dalle molte astuzie che attraverso le sue molteplici e perigliose esperienze arricchisce la sua natura e la sua umanità.
Il richiamo ad Ulisse comincia con Virgilio che modella il suo Enea sulla figura dell'eroe omerico, pur senza arrivare alla complessità drammatica del prototipo. Seguono infiniti altri riecheggiamenti nelle saghe dei miti fenici, nibelungici, vichinghi, ma è nel XXVI canto dell'Inferno che Ulisse conquista la sua dimensione completa di simbolo di 'virtute e conoscenza' raggiunte attraverso il viaggio. L'eroe errante per antonomasia, l'eroe delle tentazioni che subisce il fascino dell'avventura, il rischio di restarne preda, la capacità di controllarne la misura e l'esito.
Infinite altre interpretazioni si sono susseguite nelle epoche successive fino ad una sorta di capolinea che ha rilanciato su due diversi livelli il mito odissiaco: il superuomo d'ispirazione nietzschiana e dannunziana, e il borghese Leopold Bloom creato dalla fantasia letteraria di Joyce.
Il viaggio, l'eroe errante, l'idea fissa del ritorno e la necessità, invincibile come tutte le necessità, di ripartire tentando ancora la vita e lasciandosi tentare dall'appuntamento con la morte. E la dea che sempre l'ha protetto, Pallade Atena dagli occhi cerulei, la dea misteriosa dell'intelligenza e della 'polis'.
Non c'è Odisseo senza Atena. Si direbbe, modernizzando una mitologia trimillenaria, che tra i due ci sia stato un amore come non era insolito che avvenisse nei rapporti ravvicinati tra gli umani e gli dèi olimpici. Le tracce di quell'amore sono largamente presenti in tutta l'Odissea come nella sua versione novecentesca joyciana. La dea è gelosa di Calipso che è anche lei invaghita dell'eroe e gli ha promesso l'immortalità se resterà per sempre nella sua isola ai confini del mondo.
Atena impone a Zeus di liberarlo dalla malia di Calipso, così come lo aveva già reso invulnerabile dalla magia erotica di Circe. Ancora Atena lo salva dall'ira di Poseidon, lo nasconde al suo arrivo in Itaca, lo incita a massacrare i Proci che avevano invaso la sua reggia credendolo morto e volendo sostituirlo con uno di loro. Ed è ancora Atena a portare a compimento il massacro nella notte della vendetta e della purificazione.
Una dea e un eroe di tremila anni fa che il poeta dell'Odissea ci propone come 'incipit' della modernità, delle sue contraddizioni, delle sue nevrosi, del sentimento morale. Odisseo-Ulisse segna la nascita dell'Io e della sua inesausta domanda di autonomia, di avventura e di superamento di sé.
Ricordate Zarathustra? "L'uomo è un ponte teso tra l'animale e l'oltre-uomo. L'uomo è una transizione". Questo è l'Ulisse moderno, del quale quello omerico rappresenta l'inizio.
Quei due poemi e quanto fiorì attorno ad essi con inesausta attenzione hanno dato il tono alla civiltà letteraria occidentale scavalcando le epoche, le religioni, le scuole. Noi parliamo spesso di cultura greca, giudaica, cristiana, islamica indicando con questi riferimenti le radici della nostra civiltà occidentale, ma meglio ancora potremmo dire con una sola parola che in buona parte le comprende ponendosi all'origine di esse: cultura omerica.
In essa c'è infatti il divino, l'eroico, il mito della forza e quello del coraggio, il mito dell'intelligenza, il mondo della magia, quello oscuro delle anime morte, l'amore, la fedeltà, la gelosia, la vendetta, la pietà. Ma c'è anche, incredibile a dirsi, l'embrione della modernità incarnata da Odisseo e dal suo viaggio senza fine.
Ha scritto qualche giorno fa Claudio Magris sul 'Corriere della Sera' che Ulisse è il primo eroe moderno. Ha ragione e del resto siamo in molti ad aver già segnalato l'attualità dell'eroe dalle molte astuzie che attraverso le sue molteplici e perigliose esperienze arricchisce la sua natura e la sua umanità.
Il richiamo ad Ulisse comincia con Virgilio che modella il suo Enea sulla figura dell'eroe omerico, pur senza arrivare alla complessità drammatica del prototipo. Seguono infiniti altri riecheggiamenti nelle saghe dei miti fenici, nibelungici, vichinghi, ma è nel XXVI canto dell'Inferno che Ulisse conquista la sua dimensione completa di simbolo di 'virtute e conoscenza' raggiunte attraverso il viaggio. L'eroe errante per antonomasia, l'eroe delle tentazioni che subisce il fascino dell'avventura, il rischio di restarne preda, la capacità di controllarne la misura e l'esito.
Infinite altre interpretazioni si sono susseguite nelle epoche successive fino ad una sorta di capolinea che ha rilanciato su due diversi livelli il mito odissiaco: il superuomo d'ispirazione nietzschiana e dannunziana, e il borghese Leopold Bloom creato dalla fantasia letteraria di Joyce.
Il viaggio, l'eroe errante, l'idea fissa del ritorno e la necessità, invincibile come tutte le necessità, di ripartire tentando ancora la vita e lasciandosi tentare dall'appuntamento con la morte. E la dea che sempre l'ha protetto, Pallade Atena dagli occhi cerulei, la dea misteriosa dell'intelligenza e della 'polis'.
Non c'è Odisseo senza Atena. Si direbbe, modernizzando una mitologia trimillenaria, che tra i due ci sia stato un amore come non era insolito che avvenisse nei rapporti ravvicinati tra gli umani e gli dèi olimpici. Le tracce di quell'amore sono largamente presenti in tutta l'Odissea come nella sua versione novecentesca joyciana. La dea è gelosa di Calipso che è anche lei invaghita dell'eroe e gli ha promesso l'immortalità se resterà per sempre nella sua isola ai confini del mondo.
Atena impone a Zeus di liberarlo dalla malia di Calipso, così come lo aveva già reso invulnerabile dalla magia erotica di Circe. Ancora Atena lo salva dall'ira di Poseidon, lo nasconde al suo arrivo in Itaca, lo incita a massacrare i Proci che avevano invaso la sua reggia credendolo morto e volendo sostituirlo con uno di loro. Ed è ancora Atena a portare a compimento il massacro nella notte della vendetta e della purificazione.
Una dea e un eroe di tremila anni fa che il poeta dell'Odissea ci propone come 'incipit' della modernità, delle sue contraddizioni, delle sue nevrosi, del sentimento morale. Odisseo-Ulisse segna la nascita dell'Io e della sua inesausta domanda di autonomia, di avventura e di superamento di sé.
Ricordate Zarathustra? "L'uomo è un ponte teso tra l'animale e l'oltre-uomo. L'uomo è una transizione". Questo è l'Ulisse moderno, del quale quello omerico rappresenta l'inizio.
«L’Espresso» del 21 maggio 2009
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