Giornata delle comunicazioni sociali
di Umberto Folena
Dove sono gli altri? Gli altri, i vicini, i più vicini: il prossimo. Coloro per i quali il nostro cuore palpita, per amore o (è brutto, ma accade) per odio, gli altri da aiutare, gli altri che ci aiutano. Gli altri con il loro universo da scoprire, dolori e sogni, delusioni e speranze. Gli altri che hanno visto cose che noi mai abbiamo visto e ce le raccontano facendocele vedere e sentire e toccare e annusare. Gli altri di cui ci innamoriamo e (è brutto, ma accade pure questo) disamoriamo.
Dove sono gli altri, con cui giocare all’ineffabile gioco della relazione? Grazie alle nuove tecnologie, grazie soprattutto al web, gli altri sono vicinissimi, mai così a portata di mano. Non caso Benedetto XVI, per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali di domani, ha scelto il tema «Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia ». Un’opportunità per tutti coloro che hanno a cuore gli altri, le relazioni, il vivere civile, la felicità. Guai se la Giornata scivolasse nel tunnel che a volte inghiotte altre Giornate, che nessuna traccia sembrano lasciare nelle comunità cristiane, nelle nostre parrocchie.
La posta in gioco è troppo alta. La posta in gioco sono gli altri. La posta in gioco è il ristabilimento delle giuste gerarchie. Lo psicanalista Luigi Zaja, nel suo ultimo libro La morte del prossimo, osserva come nel corso del Novecento gli altri, a poco a poco, si siano trasformati da ' sentimento' in notizie; e infine, aggiungiamo noi, in merce. Nella profezia compiuta del villaggio globale, resa possibile dalla tecnologia, gli altri ci sembra siano più prossimi che mai. Li vediamo nei video, gli altri. Li sentiamo, ci parliamo, stringiamo 'amicizia', e su Facebook sbocciano i collezionisti di amici, politici, artisti e semplici mortali: mille, duemila, diecimila... amici? No, collegamenti.
Tutti stretti gli uni agli altri, sommersi di informazioni sugli altri; eppure il nostro cuore è sempre meno sensibile e meno capace di patire e gioire accanto agli altri. Sembra che si stia materializzando, ma alla rovescia, l’auspicio delle prime righe della Gaudium et spes: oggi come mai siamo in grado di conoscere gioie e speranze e dolori e sogni degli altri, ma mai come oggi ci lasciano indifferenti. Notizie, merci. Ristabilire le gerarchie: la tecnologia, se idolatrata, tende a servirsi delle persone, non a mettersi al loro servizio. Siamo noi a seguire docili e anestetizzati i grandi riti collettivi proposti (imposti?) dalle tecnologie della comunicazione. Il Papa ribalta invece la prospettiva: le tecnologie sono mezzi e le persone fini, non viceversa.
Le nuove tecnologie sono a servizio di relazioni più ricche e profonde, del dialogo e dell’amicizia. Della comunità. Le nuove tecnologie devono far fronte all’individualismo arrembante, non stendergli il tappeto rosso. Eppure, la sensazione è che gli stessi social network, per alcuni 'amici', siano non un luogo di confronto e di dialogo, ma un palcoscenico dove esibirsi, un irresistibile richiamo per i nostri ego ipertrofici: gli altri come spettatori, gli altri come merce a nostra disposizione. Se crediamo di aver soprattutto bisogno di sempre nuove tecnologie capaci di violare lo spazio-tempo accorciando le distanze fino a ridurle a zero, ci sbagliamo.
Ciò di cui la nostra anima e il nostro corpo e la nostra vita hanno bisogno sono le relazioni. Sono gli altri in carne e ossa, pensieri e sentimenti, palpiti e tremori. Gli altri vivi, non certi loro simulacri che si moltiplicano sul web, illudendoci di appartenere a una community globale. Gli altri, dove sono gli altri?
Dove sono gli altri, con cui giocare all’ineffabile gioco della relazione? Grazie alle nuove tecnologie, grazie soprattutto al web, gli altri sono vicinissimi, mai così a portata di mano. Non caso Benedetto XVI, per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali di domani, ha scelto il tema «Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia ». Un’opportunità per tutti coloro che hanno a cuore gli altri, le relazioni, il vivere civile, la felicità. Guai se la Giornata scivolasse nel tunnel che a volte inghiotte altre Giornate, che nessuna traccia sembrano lasciare nelle comunità cristiane, nelle nostre parrocchie.
La posta in gioco è troppo alta. La posta in gioco sono gli altri. La posta in gioco è il ristabilimento delle giuste gerarchie. Lo psicanalista Luigi Zaja, nel suo ultimo libro La morte del prossimo, osserva come nel corso del Novecento gli altri, a poco a poco, si siano trasformati da ' sentimento' in notizie; e infine, aggiungiamo noi, in merce. Nella profezia compiuta del villaggio globale, resa possibile dalla tecnologia, gli altri ci sembra siano più prossimi che mai. Li vediamo nei video, gli altri. Li sentiamo, ci parliamo, stringiamo 'amicizia', e su Facebook sbocciano i collezionisti di amici, politici, artisti e semplici mortali: mille, duemila, diecimila... amici? No, collegamenti.
Tutti stretti gli uni agli altri, sommersi di informazioni sugli altri; eppure il nostro cuore è sempre meno sensibile e meno capace di patire e gioire accanto agli altri. Sembra che si stia materializzando, ma alla rovescia, l’auspicio delle prime righe della Gaudium et spes: oggi come mai siamo in grado di conoscere gioie e speranze e dolori e sogni degli altri, ma mai come oggi ci lasciano indifferenti. Notizie, merci. Ristabilire le gerarchie: la tecnologia, se idolatrata, tende a servirsi delle persone, non a mettersi al loro servizio. Siamo noi a seguire docili e anestetizzati i grandi riti collettivi proposti (imposti?) dalle tecnologie della comunicazione. Il Papa ribalta invece la prospettiva: le tecnologie sono mezzi e le persone fini, non viceversa.
Le nuove tecnologie sono a servizio di relazioni più ricche e profonde, del dialogo e dell’amicizia. Della comunità. Le nuove tecnologie devono far fronte all’individualismo arrembante, non stendergli il tappeto rosso. Eppure, la sensazione è che gli stessi social network, per alcuni 'amici', siano non un luogo di confronto e di dialogo, ma un palcoscenico dove esibirsi, un irresistibile richiamo per i nostri ego ipertrofici: gli altri come spettatori, gli altri come merce a nostra disposizione. Se crediamo di aver soprattutto bisogno di sempre nuove tecnologie capaci di violare lo spazio-tempo accorciando le distanze fino a ridurle a zero, ci sbagliamo.
Ciò di cui la nostra anima e il nostro corpo e la nostra vita hanno bisogno sono le relazioni. Sono gli altri in carne e ossa, pensieri e sentimenti, palpiti e tremori. Gli altri vivi, non certi loro simulacri che si moltiplicano sul web, illudendoci di appartenere a una community globale. Gli altri, dove sono gli altri?
«Avvenire» del 23 maggio 2009
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