Ecco come lo sviluppo scientifico si è realizzato nella storia: esce un pamphlet di Stanley Jaki, il benedettino e studioso ungherese scomparso un mese fa
di Stanley L. Jaki *
di Stanley L. Jaki *
I Paesi musulmani più importanti stanno ormai da decenni attuando uno sforzo concertato per portarsi in pari con la tecnologia e la scienza occidentale, e non a caso niente sta più a cuore ad Israele del mantenimento di una superiorità scientifica e tecnologica insormontabile rispetto ad ogni e qualsiasi paese musulmano.
Ma i musulmani non possono ignorare che né la scienza né la tecnologia (di cui hanno un grande bisogno per sfruttare le loro vaste risorse petrolifere) sono state prodotte dai musulmani, anche se questo fatto non causa grande imbarazzo al tipico intellettuale musulmano, il quale preferisce sottolineare l’abuso della scienza fatto dagli occidentali, attraverso il suo utilizzo come strumento di colonizzazione e dominazione economica.
Da questo punto di vista la reazione degli indù moderni è molto diversa. Alcuni fra loro, Nehru ne fu un esempio, hanno cercato di trovare le ragioni per cui la scienza non è nata nella loro terra. Costoro non trovano niente di meglio (e in questo sono simili ai cinesi da due generazioni sotto l’indottrinamento marxista) dell’affermare che un’alba democratica fu seguita da un sistema feudale di produzione. Sia gli Indù che i cinesi dovrebbero leggere attentamente i loro antichi testi, sia sacri che filosofici, per rendersi conto della vacuità di simili scuse. Tutti quegli scritti testimoniano una visione del mondo panteista e organicista dove tutto si ripeteva ciclicamente ed era guidato da strane volizioni.
Lo stesso era il caso per gli antichi Egizi e Babilonesi e perfino per gli antichi greci. Quanti hanno per passatempo l’immaginare diversi corsi della storia dovrebbero considerare uno scenario che comincia con un Copernico indù o un Newton cinese. Tali scenari ed altri simili si possono ipotizzare per tutte le culture dell’antichità, ma specialmente per quella indù e cinese, le sole a sopravvivere nei tempi moderni come potenze politiche di prima grandezza. Il caso della civiltà musulmana è diverso, in parte perché, in confronto con le altre culture citate è un po’ una nuova venuta sul palcoscenico della storia.
È inoltre importante, notare il fatto che c’è nel Corano una cosmologia che, anche se parzialmente animista, non è certamente ciclica. Il Corano è totalmente allineato con la visione biblica del cosmo come qualcosa che è iniziato con la creazione di tutto, e che sta procedendo in linea retta verso una consumazione assoluta, la cui venuta niente può fermare. Come la visione del mondo biblica, la visione del mondo musulmana ha la sua migliore rappresentazione in una freccia, così diversa da un cerchio, per non parlare della svastica, questo simbolo classico della visione ciclica del mondo nella maggior parte delle culture antiche. Una freccia rappresenta un processo lineare rettilineo che non devia dal suo corso.
Ora se si afferma che un siffatto modello cosmologico ha favorito il sorgere della scienza nell’Occidente cristiano, allora sorge la domanda: perché i musulmani non ci sono arrivati prima di quell’Occidente? […] Questo non vuol dire che nessun musulmano abbia mai fatto esperimenti. Fecero esperi- menti in medicina, specialmente nell’oftalmologia. I mercanti arabi scoprirono presto i vantaggi del sistema decimale indù, che l’Occidente apprese attraverso canali arabi. I musulmani coltivarono avidamente l’astronomia tolemaica, il che implicava una buona conoscenza di forme avanzate della geometria euclidea. L’utilizzo degli epicicli, comunque, non permetteva di spingersi oltre una certa precisione nel rilevamento del moto dei pianeti. Naturalmente, per quanto riguarda l’astrologia, che era basata sulla predizione delle posizioni dei pianeti, la precisione della astronomia tolemaica era più che sufficiente.
Ma per poter ottenere il controllo delle cose in moto sulla Terra, quell’astronomia non era di molto aiuto. Una scienza genuina delle leggi del moto era necessaria e qui gli studiosi musulmani fallirono nonostante fossero molto vicini alla meta. Per capire questo si deve sapere che la scienza del movimento è quella che si può costruire sulle tre leggi del moto che si trovano per la prima volta insieme nei Principia di Newton. Ma la prima e più importante di esse, la legge dell’inerzia, fu formulata secoli prima di Newton. Anche la formulazione di un’altra legge, per cui ad ogni azione corrisponde una reazione, precede Newton di circa 60 anni, essendo stata formulata per la prima volta da Cartesio.
Cartesio ancora sospettava che la legge del moto inerziale avesse origini medioevali, ma non diede credito a nessuno. Newton stesso non era incline a dar credito di qualcosa a Cartesio, il cui nome egli cancellò dai suoi manoscritti. Newton non sapeva quasi nulla dei medievali, salvo che avevano costruito delle magnifiche cattedrali. Si sarebbe stupito moltissimo nell’apprendere che i medievali avevano costruito anche le fondamenta della sua fisica. Perché la legge della forza, formulata da Newton, è inconcepibile senza la legge del moto inerziale.
Newton sarebbe stato altrettanto stupito se avesse saputo che era stato un famoso musulmano medievale, Avicenna, a concepire per primo la legge di inerzia, ma senza percepirne l’importanza, come se avesse indossato dei paraocchi. I suoi paraocchi erano le leggi fondamentali della cosmologia aristotelica che Avicenna, essendo un panteista in fondo al cuore ed un musulmano solo in apparenza, accettava completamente. Secondo il panteismo aristotelico l’universo era divinamente perfetto, quindi sferico e in un movimento circolare perenne.
Siccome un cerchio non contiene un punto diverso dagli altri, un movimento circolare non evoca un punto di partenza assoluto. Imprigionato da questa visione del mondo Avicenna non poté trovare in essa un invito ad applicarvi la sua idea di moto inerziale. Fu così che il mondo musulmano perse la sua occasione d’oro di arrivare per primo a formulare una fisica che gli avrebbe permesso il controllo del mondo fisico.
Ma i musulmani non possono ignorare che né la scienza né la tecnologia (di cui hanno un grande bisogno per sfruttare le loro vaste risorse petrolifere) sono state prodotte dai musulmani, anche se questo fatto non causa grande imbarazzo al tipico intellettuale musulmano, il quale preferisce sottolineare l’abuso della scienza fatto dagli occidentali, attraverso il suo utilizzo come strumento di colonizzazione e dominazione economica.
Da questo punto di vista la reazione degli indù moderni è molto diversa. Alcuni fra loro, Nehru ne fu un esempio, hanno cercato di trovare le ragioni per cui la scienza non è nata nella loro terra. Costoro non trovano niente di meglio (e in questo sono simili ai cinesi da due generazioni sotto l’indottrinamento marxista) dell’affermare che un’alba democratica fu seguita da un sistema feudale di produzione. Sia gli Indù che i cinesi dovrebbero leggere attentamente i loro antichi testi, sia sacri che filosofici, per rendersi conto della vacuità di simili scuse. Tutti quegli scritti testimoniano una visione del mondo panteista e organicista dove tutto si ripeteva ciclicamente ed era guidato da strane volizioni.
Lo stesso era il caso per gli antichi Egizi e Babilonesi e perfino per gli antichi greci. Quanti hanno per passatempo l’immaginare diversi corsi della storia dovrebbero considerare uno scenario che comincia con un Copernico indù o un Newton cinese. Tali scenari ed altri simili si possono ipotizzare per tutte le culture dell’antichità, ma specialmente per quella indù e cinese, le sole a sopravvivere nei tempi moderni come potenze politiche di prima grandezza. Il caso della civiltà musulmana è diverso, in parte perché, in confronto con le altre culture citate è un po’ una nuova venuta sul palcoscenico della storia.
È inoltre importante, notare il fatto che c’è nel Corano una cosmologia che, anche se parzialmente animista, non è certamente ciclica. Il Corano è totalmente allineato con la visione biblica del cosmo come qualcosa che è iniziato con la creazione di tutto, e che sta procedendo in linea retta verso una consumazione assoluta, la cui venuta niente può fermare. Come la visione del mondo biblica, la visione del mondo musulmana ha la sua migliore rappresentazione in una freccia, così diversa da un cerchio, per non parlare della svastica, questo simbolo classico della visione ciclica del mondo nella maggior parte delle culture antiche. Una freccia rappresenta un processo lineare rettilineo che non devia dal suo corso.
Ora se si afferma che un siffatto modello cosmologico ha favorito il sorgere della scienza nell’Occidente cristiano, allora sorge la domanda: perché i musulmani non ci sono arrivati prima di quell’Occidente? […] Questo non vuol dire che nessun musulmano abbia mai fatto esperimenti. Fecero esperi- menti in medicina, specialmente nell’oftalmologia. I mercanti arabi scoprirono presto i vantaggi del sistema decimale indù, che l’Occidente apprese attraverso canali arabi. I musulmani coltivarono avidamente l’astronomia tolemaica, il che implicava una buona conoscenza di forme avanzate della geometria euclidea. L’utilizzo degli epicicli, comunque, non permetteva di spingersi oltre una certa precisione nel rilevamento del moto dei pianeti. Naturalmente, per quanto riguarda l’astrologia, che era basata sulla predizione delle posizioni dei pianeti, la precisione della astronomia tolemaica era più che sufficiente.
Ma per poter ottenere il controllo delle cose in moto sulla Terra, quell’astronomia non era di molto aiuto. Una scienza genuina delle leggi del moto era necessaria e qui gli studiosi musulmani fallirono nonostante fossero molto vicini alla meta. Per capire questo si deve sapere che la scienza del movimento è quella che si può costruire sulle tre leggi del moto che si trovano per la prima volta insieme nei Principia di Newton. Ma la prima e più importante di esse, la legge dell’inerzia, fu formulata secoli prima di Newton. Anche la formulazione di un’altra legge, per cui ad ogni azione corrisponde una reazione, precede Newton di circa 60 anni, essendo stata formulata per la prima volta da Cartesio.
Cartesio ancora sospettava che la legge del moto inerziale avesse origini medioevali, ma non diede credito a nessuno. Newton stesso non era incline a dar credito di qualcosa a Cartesio, il cui nome egli cancellò dai suoi manoscritti. Newton non sapeva quasi nulla dei medievali, salvo che avevano costruito delle magnifiche cattedrali. Si sarebbe stupito moltissimo nell’apprendere che i medievali avevano costruito anche le fondamenta della sua fisica. Perché la legge della forza, formulata da Newton, è inconcepibile senza la legge del moto inerziale.
Newton sarebbe stato altrettanto stupito se avesse saputo che era stato un famoso musulmano medievale, Avicenna, a concepire per primo la legge di inerzia, ma senza percepirne l’importanza, come se avesse indossato dei paraocchi. I suoi paraocchi erano le leggi fondamentali della cosmologia aristotelica che Avicenna, essendo un panteista in fondo al cuore ed un musulmano solo in apparenza, accettava completamente. Secondo il panteismo aristotelico l’universo era divinamente perfetto, quindi sferico e in un movimento circolare perenne.
Siccome un cerchio non contiene un punto diverso dagli altri, un movimento circolare non evoca un punto di partenza assoluto. Imprigionato da questa visione del mondo Avicenna non poté trovare in essa un invito ad applicarvi la sua idea di moto inerziale. Fu così che il mondo musulmano perse la sua occasione d’oro di arrivare per primo a formulare una fisica che gli avrebbe permesso il controllo del mondo fisico.
* Fu un agguerrito nemico della vulgata illuministica per la quale la scienza moderna è nata 'nonostante' il cristianesimo. Con i suoi studi e la sua pluridecennale ricerca - sfociata in 40 libri - sui rapporti tra scienza e religione, il benedettino ungherese (ma trapiantato negli States) padre Stanley L. Jaki ha segnato un’epoca, almeno negli Usa. In occasione della sua morte - avvenuta un mese fa, il 7 aprile, a Madrid - il 'New York Times' gli ha dedicato un articolo elogiativo definendolo «studioso inflessibile», mentre la grande stampa italiana ne ha ignorato i libri e l’indefesso acume scientifico.
Nato nel 1924 in Ungheria, Jaki aveva studiato teologia a Roma e fisica alla Fordham University sotto la guida del premio Nobel Victor Hess; è stato docente alla Seton Hall University di South Orange e visiting professor a Edimburgo e al Balliol College di Oxford. Sua la riscoperta del pensatore francese Pierre Duhem (1861-1916) per il quale il cristianesimo medievale aveva preparato il terreno alle scoperte scientifiche di Copernico, Keplero, Galileo e Newton.
Ultimamente Jaki aveva criticato le posizioni creazioniste: «Esiste un’incomprensione di base che prosegue da centinaia di anni, e continuerà, proprio sul problema 'creazionismo'. Nelle questioni intellettuali non dobbiamo risolvere dilemmi come questi in modo soddisfacente per tutti» aveva dichiarato al 'New York Times'.
Nella sua carriera aveva ricevuto importanti riconoscimenti come il Premio Templeton nel 1987 e il Lecomte du Nouy nel ’70. In Italia le Edizioni Fede & Cultura (tel. 045/941851) ne stanno facendo conoscere il pensiero attraverso i suoi libri. Sono già usciti Cristo e la scienza e Un trattato sulla Verità, Disegno intelligente? Ora è in uscita il volume Cristo, scienza e islam (pagine 48, euro 6) di cui sopra pubblichiamo uno stralcio (di Lorenzo Fazzini).
"Avvenire" del 7 maggio 2009
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