Le accuse di anti-ecologia rivolte al comando biblico di «dominare la terra» sono infondate. L’atteggiamento aggressivo verso la natura e lo stesso uomo è piuttosto «laico» e soprattutto ateo
di Vittorio Possenti
di Vittorio Possenti
L’uomo è preparato al radicale mutamento di mondo che la tecnica gli propone e impone? L’imperativo tecnico a dominare la terra è prefigurato dalla Bibbia oppure è un’ideologia moderna?
Le domande sono notevoli: nell’età della tecnica cresce la spinta anti-umanistica a «naturalizzare» l’uomo, cancellando la sua richiesta di senso e il bisogno di proiettarsi oltre l’orizzonte della caducità, cui la ragione tecnica non può assegnare risposta alcuna. Essa offre potenza, cura, successo, ma non salva né apre il cammino verso la verità.
Agli inizi della modernità non fu così, anzi in Bacone ebbe corso l’assunto secondo cui scienza e tecnica andavano intese come un aiuto fondamentale capace di restaurare il dominio dell’uomo sulla creazione, perso con la disobbedienza: «In seguito al peccato originale, l’uomo decadde dal suo stato e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le tecniche e le scienze».
Nella prospettiva baconiana la tecnica assume un carattere quasi redentivo per recuperare l’antico dominio sul creato. La Bibbia non lo presenta però come principalmente di tipo tecnico, ma legato ad una restaurazione fondamentale di tutti i rapporti dell’essere umano con Dio, l’altro, la natura. Nella modernità muta il modo di intendere il comando divino a riempire la terra e a soggiogarla; col procedere della secolarizzazione esso venne trasformato nell’invito a creare il regno dell’uomo e a dominare duramente le cose. Senza motivo continua ad avere corso l’idea di una responsabilità del messaggio biblico in merito, come se l’orizzonte biblico, diversamente da quello greco, conducesse al più sconsiderato dominio e all’impossibilità perciò di opporsi alla violenza della tecnica. Vi è molto che stride nel considerare la tecnica occidentale come la fedele esecuzione del comando biblico di «dominare» il mondo, poiché tale dominio affidato all’uomo rimane teocentrico, assume carattere regolativo e «politico», non dispotico. È più sensato sostenere che le posizioni come quella citata siano influenzate da un’ontologia molto problematica, quella neo-parmenidea dell’eternità e immodificabilità di ogni ente e del tutto. Una concezione non solo infondata, ma che non trova avallo nella Bibbia, ed anzi le è contrapposta.
Ponendo nelle mani dell’uomo il creato, Dio non lo ha invitato a sventrarlo, né ha pensato ad un dominio tirannico ma a una guida mite, in cui siamo collettivamente responsabili verso il cosmo e l’altro. L’atteggiamento aggressivo verso la terra e l’uomo è moderno, «laico» e spesso ateo. L’atteggiamento religioso si esprime nella preghiera che è un congiungere le mani. Giungendo le mani, il soggetto orante lascia da parte ogni manipolazione, ogni fare e agire tramite le mani, ogni idea che vi siano cose e problemi che saranno risolti soltanto operando con le mani. Là dove si prega, si attesta che il fare non può tutto, che l’essere e la vita non sono completamente a portata delle mani.
Platone aveva meditato sul nesso tra tecnica e politica, ritenendo quest’ultima la «tecnica régia», capace cioè di assumere la guida. La questione è elaborata nel Politico col ricorso a un mito cosmico che concerne il nesso tra il dio e il mondo. Incarnando le posizioni di Platone, lo Straniero introduce il tema: «Ascolta. Questo nostro tutto ora è guidato nel suo cammino e nel suo volgersi dal dio stesso, ora è lasciato andar solo», senza alcuna guida. Quando il dio era al timone del mondo, gli uomini soddisfacevano liberamente i loro bisogni, e «la divinità stessa li guidava al pascolo e presiedeva loro», e non vi era bisogno né di costituzione né di Stati.
Ma quando il pilota dell’universo abbandonò il timone del mondo, una nuova tendenza volse il cosmo nel nuovo corso, sino a quando nuovamente il dio riprende a sedere al timone. A partire dalla separazione degli uomini dagli dèi prende origine la storia propriamente umana, in cui l’uomo deve provvedere a se stesso. Ma non può governare se stesso se non con la politica che è «tecnica régia»: il politico porta a salvezza quelli che sono imbarcati con lui.
La tecnica politica si chiama «régia» non solo perché appartiene a chi comanda (al re), ma in quanto presiede ad ogni altra tecnica. Secondo Platone alla scienza politica sono affini la giurisprudenza, la retorica e la strategia, che coadiuvano la politica nel governare le attività degli Stati. Se attualizziamo la riflessione di Platone, le odierne tecnologie si possono aggiungere come nuovo aiuto che si inserisce tra i magistrati saggi e prudenti e i comportamenti dei valorosi che, pur mancando di prudenza, hanno invece audacia e prontezza di iniziativa spiccatissime. Forse tra loro si possono collocare i tecnologi di oggi.
Il dialogo platonico significa che la politica e la tecnica devono ispirarsi al Bene e non presumere di procedere da sole: ogni tecnica, compresa la politica, può essere usata di traverso se non si dispone della conoscenza del Bene. Quest’ultima indirizza la tecnologia, che altrimenti è una potenza senza \etica che ci conduce dove vuole lei.
Ma è ancor oggi così? Non vi è in Platone troppo ottimismo? Da tempo la conoscenza del bene non è più sufficiente; le si deve aggiungere la conoscenza dell’uomo, anch’essa divenuta controversa come quella del bene: quella conoscenza che la Bibbia trasmette e che viene elaborata dal personalismo, vero antidoto contro le smanie della tecnica.
Le domande sono notevoli: nell’età della tecnica cresce la spinta anti-umanistica a «naturalizzare» l’uomo, cancellando la sua richiesta di senso e il bisogno di proiettarsi oltre l’orizzonte della caducità, cui la ragione tecnica non può assegnare risposta alcuna. Essa offre potenza, cura, successo, ma non salva né apre il cammino verso la verità.
Agli inizi della modernità non fu così, anzi in Bacone ebbe corso l’assunto secondo cui scienza e tecnica andavano intese come un aiuto fondamentale capace di restaurare il dominio dell’uomo sulla creazione, perso con la disobbedienza: «In seguito al peccato originale, l’uomo decadde dal suo stato e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le tecniche e le scienze».
Nella prospettiva baconiana la tecnica assume un carattere quasi redentivo per recuperare l’antico dominio sul creato. La Bibbia non lo presenta però come principalmente di tipo tecnico, ma legato ad una restaurazione fondamentale di tutti i rapporti dell’essere umano con Dio, l’altro, la natura. Nella modernità muta il modo di intendere il comando divino a riempire la terra e a soggiogarla; col procedere della secolarizzazione esso venne trasformato nell’invito a creare il regno dell’uomo e a dominare duramente le cose. Senza motivo continua ad avere corso l’idea di una responsabilità del messaggio biblico in merito, come se l’orizzonte biblico, diversamente da quello greco, conducesse al più sconsiderato dominio e all’impossibilità perciò di opporsi alla violenza della tecnica. Vi è molto che stride nel considerare la tecnica occidentale come la fedele esecuzione del comando biblico di «dominare» il mondo, poiché tale dominio affidato all’uomo rimane teocentrico, assume carattere regolativo e «politico», non dispotico. È più sensato sostenere che le posizioni come quella citata siano influenzate da un’ontologia molto problematica, quella neo-parmenidea dell’eternità e immodificabilità di ogni ente e del tutto. Una concezione non solo infondata, ma che non trova avallo nella Bibbia, ed anzi le è contrapposta.
Ponendo nelle mani dell’uomo il creato, Dio non lo ha invitato a sventrarlo, né ha pensato ad un dominio tirannico ma a una guida mite, in cui siamo collettivamente responsabili verso il cosmo e l’altro. L’atteggiamento aggressivo verso la terra e l’uomo è moderno, «laico» e spesso ateo. L’atteggiamento religioso si esprime nella preghiera che è un congiungere le mani. Giungendo le mani, il soggetto orante lascia da parte ogni manipolazione, ogni fare e agire tramite le mani, ogni idea che vi siano cose e problemi che saranno risolti soltanto operando con le mani. Là dove si prega, si attesta che il fare non può tutto, che l’essere e la vita non sono completamente a portata delle mani.
Platone aveva meditato sul nesso tra tecnica e politica, ritenendo quest’ultima la «tecnica régia», capace cioè di assumere la guida. La questione è elaborata nel Politico col ricorso a un mito cosmico che concerne il nesso tra il dio e il mondo. Incarnando le posizioni di Platone, lo Straniero introduce il tema: «Ascolta. Questo nostro tutto ora è guidato nel suo cammino e nel suo volgersi dal dio stesso, ora è lasciato andar solo», senza alcuna guida. Quando il dio era al timone del mondo, gli uomini soddisfacevano liberamente i loro bisogni, e «la divinità stessa li guidava al pascolo e presiedeva loro», e non vi era bisogno né di costituzione né di Stati.
Ma quando il pilota dell’universo abbandonò il timone del mondo, una nuova tendenza volse il cosmo nel nuovo corso, sino a quando nuovamente il dio riprende a sedere al timone. A partire dalla separazione degli uomini dagli dèi prende origine la storia propriamente umana, in cui l’uomo deve provvedere a se stesso. Ma non può governare se stesso se non con la politica che è «tecnica régia»: il politico porta a salvezza quelli che sono imbarcati con lui.
La tecnica politica si chiama «régia» non solo perché appartiene a chi comanda (al re), ma in quanto presiede ad ogni altra tecnica. Secondo Platone alla scienza politica sono affini la giurisprudenza, la retorica e la strategia, che coadiuvano la politica nel governare le attività degli Stati. Se attualizziamo la riflessione di Platone, le odierne tecnologie si possono aggiungere come nuovo aiuto che si inserisce tra i magistrati saggi e prudenti e i comportamenti dei valorosi che, pur mancando di prudenza, hanno invece audacia e prontezza di iniziativa spiccatissime. Forse tra loro si possono collocare i tecnologi di oggi.
Il dialogo platonico significa che la politica e la tecnica devono ispirarsi al Bene e non presumere di procedere da sole: ogni tecnica, compresa la politica, può essere usata di traverso se non si dispone della conoscenza del Bene. Quest’ultima indirizza la tecnologia, che altrimenti è una potenza senza \etica che ci conduce dove vuole lei.
Ma è ancor oggi così? Non vi è in Platone troppo ottimismo? Da tempo la conoscenza del bene non è più sufficiente; le si deve aggiungere la conoscenza dell’uomo, anch’essa divenuta controversa come quella del bene: quella conoscenza che la Bibbia trasmette e che viene elaborata dal personalismo, vero antidoto contro le smanie della tecnica.
«Avvenire» del 15 ottobre 2008
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