di Bianca Garavelli
L’ispirazione poetica è un fenomeno affascinante, studiato già in tempi antichi, per esempio da Platone, il quale ne osserva il carattere spesso di inconsapevolezza in chi ne è toccato, pur risultandone profondamente cambiato. Per questa natura quasi magica, il filosofo le attribuisce un’origine divina, in cui include dunque anche la poesia. In seguito, già con Aristotele, l’ispirazione perde i contorni luminosi del divino per rientrare in schemi razionali, classificabili e rassicuranti. È soprattutto 'tecnica' nutrita di retorica, e non più 'creazione'. Nei secoli successivi il processo continua, sia pure con alterne vicende. Oggi uno studioso che è anche poeta, Alberto Casadei, docente di Letteratura italiana all’Università di Pisa, rimette in campo i termini più antichi della questione, ma soprattutto attinge a piene mani agli studi più all’avanguardia negli ambiti delle cognitive poetics e delle neuroscienze. Casadei arriva a risultati molto interessanti e indubbiamente di stimolo per futuri approfondimenti in un densissimo libriccino, intitolato appunto Poesia e ispirazione: per esempio, illustra come nell’opera di Dante il fenomeno dell’ispirazione sia centrale, assumendo caratteri originali e, nuovamente, divini. Non più un’ispirazione come «forza sovrastante », ma «un sostegno all’opera dell’autore», come appare soprattutto nel canto XXXIII del Paradiso.
Infatti nella terza cantica della Commedia Dante riesce a raccontare il suo viaggio nella dimensione divina, pur con un mezzo linguistico inadeguato: e in questo senso raggiunge il risultato straordinario di «ricostituire una piena corrispondenza fra la lingua umana e le Leggi assegnate da Dio alla Natura ». In altri termini, ritrova quell’essenza pre-umana, o almeno pre-logica del linguaggio che già Platone attribuiva alla creazione poetica, che la avvicinava alla creazione divina. Da Dante viene la nostra letteratura, ma passando attraverso Petrarca. Un passaggio che lascia il segno. In Petrarca infatti «l’io che rivolge a se stesso lo sguardo non può essere animato e sostenuto da una potenza superiore». Così nei successivi episodi della storia letteraria dell’Occidente l’idea di ispirazione perde forza o interesse, fino alla situazione odierna in cui la poesia è doppiamente svilita, dal mercato editoriale e dalla taccia di inconsistenza o ingenuità dei suoi possibili risultati in termini di conoscenza. Ma Casadei propone un recupero della tradizione antica dell’ispirazione alla luce dei risultati scientifici dei nuovi studi sul funzionamento del cervello. E rilancia la poesia ipotizzando, su ottimi fondamenti, che condivida la natura dei percorsi neuronali del nostro encefalo, in una fase che precede quella della consapevolezza e della logica. Se tale ipotesi fosse vera la poesia, linguaggio in cui ogni parola assume significato dall’insieme ritmico che contribuisce a creare, sarebbe un processo alternativo di conoscenza, non antiscientifico ma autonomo, originale e intuitivo, parallelo a quello della scienza.
Infatti nella terza cantica della Commedia Dante riesce a raccontare il suo viaggio nella dimensione divina, pur con un mezzo linguistico inadeguato: e in questo senso raggiunge il risultato straordinario di «ricostituire una piena corrispondenza fra la lingua umana e le Leggi assegnate da Dio alla Natura ». In altri termini, ritrova quell’essenza pre-umana, o almeno pre-logica del linguaggio che già Platone attribuiva alla creazione poetica, che la avvicinava alla creazione divina. Da Dante viene la nostra letteratura, ma passando attraverso Petrarca. Un passaggio che lascia il segno. In Petrarca infatti «l’io che rivolge a se stesso lo sguardo non può essere animato e sostenuto da una potenza superiore». Così nei successivi episodi della storia letteraria dell’Occidente l’idea di ispirazione perde forza o interesse, fino alla situazione odierna in cui la poesia è doppiamente svilita, dal mercato editoriale e dalla taccia di inconsistenza o ingenuità dei suoi possibili risultati in termini di conoscenza. Ma Casadei propone un recupero della tradizione antica dell’ispirazione alla luce dei risultati scientifici dei nuovi studi sul funzionamento del cervello. E rilancia la poesia ipotizzando, su ottimi fondamenti, che condivida la natura dei percorsi neuronali del nostro encefalo, in una fase che precede quella della consapevolezza e della logica. Se tale ipotesi fosse vera la poesia, linguaggio in cui ogni parola assume significato dall’insieme ritmico che contribuisce a creare, sarebbe un processo alternativo di conoscenza, non antiscientifico ma autonomo, originale e intuitivo, parallelo a quello della scienza.
«Avvenire» del 16 maggio 2009
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