di Ernesto Galli della Loggia
L'identità cristiana dell'Italia: proprio per la sua difesa, l'onorevole Casini, come non si stanca di ripetere, ha deciso di rompere la più che decennale alleanza della Casa delle libertà e di presentarsi da solo davanti al corpo elettorale. Non credo perché pensasse che la Cdl fosse diventata da un giorno all'altro una minaccia per la suddetta identità; bensì perché evidentemente convinto che tale identità, per essere affermata e difesa davvero e fino in fondo, abbia bisogno della presenza di un partito cristiano (leggi: cattolico), non possa fare a meno in Parlamento di una sigla, di un simbolo che esplicitamente inalberino la Croce.
Questo convincimento di Casini serve a ricordarci una delle caratteristiche più singolari della politica italiana: la sua disinvoltura nel gettarsi il passato dietro le spalle e far finta che ciò che è successo non sia successo o non voglia dire nulla. Il passato rimosso è in questo caso la Democrazia cristiana. Che come si sa fu un partito cattolico, un grande partito cattolico, titolare per oltre quarant'anni di un ruolo egemonico nel sistema politico italiano. Ebbene: si può forse dire che la Dc riuscì a difendere l'identità cristiana dell'Italia? Avrei qualche dubbio. Naturalmente dipende da che cosa s'intende con un' espressione così impegnativa, ma sta di fatto che proprio con un grande partito cattolico addirittura al governo del Paese, proprio in una condizione teoricamente così favorevole, l'Italia ha conosciuto un massiccio e per molti aspetti radicale processo di secolarizzazione. Tra il 1948 e il 1992, tanto per dirne qualcuna, fu adottata una legislazione sul divorzio e sull'aborto, non fu preso alcun provvedimento per la famiglia, il settore della cultura, quello dei media e dell'intrattenimento videro l'affermazione pressoché incontrastata di temi, prodotti, persone se non ostili certo lontani da una prospettiva cristiana, il tono etico della vita pubblica andò continuamente declinando, le organizzazioni della delinquenza organizzata non fecero che rafforzarsi, l'uso del rito religioso per la nascita e il matrimonio prese a scemare sempre di più e così il numero delle vocazioni, nonché la frequenza negli istituti di educazione cattolica. Perfino il nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, come si sa, fu negoziato e firmato non per volontà di un esponente politico cattolico bensì socialista, Bettino Craxi.
E allora? Come mai, secondo Casini, la presenza — e che presenza ! — in tutti quei decenni di un partito cattolico non riuscì a evitare nessuno dei fenomeni detti sopra? La mia risposta è che in realtà, sull'identità di un Paese, e in particolare sulla sua identità religiosa (e specialmente se si tratta di una democrazia), la politica non può più di tanto. Tutto si svolge a livelli più profondi e più complessi di quelli che la politica è capace di controllare. In genere quando si arriva alla politica e alle leggi, la partita dell'identità è già decisa. Al massimo, e forse (con molti forse), la politica e i suoi strumenti sono in grado di contrastare questo o quel provvedimento di uno schieramento politico (quando vi sia) di segno esplicitamente antireligioso, il quale, per l'appunto, intenda visibilmente attaccare «l'identità cristiana» di un Paese.
Ma davvero esiste oggi in Italia un simile schieramento? E davvero potrebbe mai bastare un «partito cattolico» a farvi argine?
Vi è tuttavia una seconda e forse più importante obiezione all'idea che sia indispensabile un partito cattolico per tutelare l'identità cristiana del nostro Paese. L'obiezione è iscritta in modo chiarissimo nella vicenda italiana di questi ultimi anni. Durante i quali, se non sbaglio, quell'identità è stata tematizzata, analizzata e per così dire fatta oggetto del discorso pubblico, ne è stato compreso il significato, ne sono stati rivendicati con forza l'importanza e il peso sulla cultura occidentale e dunque anche nostra, ne sono stati messi a fuoco i complessi rapporti con la modernità e con la storia italiana, ne è stato mostrato l'insuperabile rilievo etico, soprattutto a opera di donne, uomini, ambienti e iniziative, che nulla o quasi avevano a che fare con qualsivoglia «partito cattolico ». Diciamolo chiaramente: sono stati in special modo dei non credenti, ovvero dei credenti estranei però ai chiusi e sempre circospetti circuiti iniziatici delle organizzazioni cattoliche, sono stati loro che hanno fatto uscire il grande tema della religione e della fede, nonché del rapporto di entrambe con il mondo contemporaneo, dal chiuso in cui, almeno qui da noi, esso era andato a finire. Sono stati loro, i loro libri, i giornali da loro creati o diretti, le loro iniziative, che hanno riportato con forza all'attenzione dell'opinione pubblica e della cultura laica il grande tema delle radici cristiane, dell' «identità cristiana », rinnovandone il senso e la portata, riaccendendone l'interesse.
E hanno fatto tutto questo, se non sbaglio, senza che alcun politico cattolico c'entrasse nulla e per un lungo tratto neppure si accorgesse del fenomeno, tanto meno lo assecondasse, a differenza di alcuni alti esponenti della gerarchia cattolica, mostratisi invece assai più consapevoli e avveduti di loro.
Dunque anche per questo aspetto certo non secondario, l'esistenza di un «partito cattolico» quale quello voluto da Casini non sembra in grado di avere un' incidenza effettiva sulla difesa di quell'«identità cristiana» del Paese, per la quale pure dice di scendere in campo. La sua nascita risponde solo a ragioni di politica, di rispettabilissima politica naturalmente, ma sia chiaro: tutto comincia e finisce qui.
Questo convincimento di Casini serve a ricordarci una delle caratteristiche più singolari della politica italiana: la sua disinvoltura nel gettarsi il passato dietro le spalle e far finta che ciò che è successo non sia successo o non voglia dire nulla. Il passato rimosso è in questo caso la Democrazia cristiana. Che come si sa fu un partito cattolico, un grande partito cattolico, titolare per oltre quarant'anni di un ruolo egemonico nel sistema politico italiano. Ebbene: si può forse dire che la Dc riuscì a difendere l'identità cristiana dell'Italia? Avrei qualche dubbio. Naturalmente dipende da che cosa s'intende con un' espressione così impegnativa, ma sta di fatto che proprio con un grande partito cattolico addirittura al governo del Paese, proprio in una condizione teoricamente così favorevole, l'Italia ha conosciuto un massiccio e per molti aspetti radicale processo di secolarizzazione. Tra il 1948 e il 1992, tanto per dirne qualcuna, fu adottata una legislazione sul divorzio e sull'aborto, non fu preso alcun provvedimento per la famiglia, il settore della cultura, quello dei media e dell'intrattenimento videro l'affermazione pressoché incontrastata di temi, prodotti, persone se non ostili certo lontani da una prospettiva cristiana, il tono etico della vita pubblica andò continuamente declinando, le organizzazioni della delinquenza organizzata non fecero che rafforzarsi, l'uso del rito religioso per la nascita e il matrimonio prese a scemare sempre di più e così il numero delle vocazioni, nonché la frequenza negli istituti di educazione cattolica. Perfino il nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, come si sa, fu negoziato e firmato non per volontà di un esponente politico cattolico bensì socialista, Bettino Craxi.
E allora? Come mai, secondo Casini, la presenza — e che presenza ! — in tutti quei decenni di un partito cattolico non riuscì a evitare nessuno dei fenomeni detti sopra? La mia risposta è che in realtà, sull'identità di un Paese, e in particolare sulla sua identità religiosa (e specialmente se si tratta di una democrazia), la politica non può più di tanto. Tutto si svolge a livelli più profondi e più complessi di quelli che la politica è capace di controllare. In genere quando si arriva alla politica e alle leggi, la partita dell'identità è già decisa. Al massimo, e forse (con molti forse), la politica e i suoi strumenti sono in grado di contrastare questo o quel provvedimento di uno schieramento politico (quando vi sia) di segno esplicitamente antireligioso, il quale, per l'appunto, intenda visibilmente attaccare «l'identità cristiana» di un Paese.
Ma davvero esiste oggi in Italia un simile schieramento? E davvero potrebbe mai bastare un «partito cattolico» a farvi argine?
Vi è tuttavia una seconda e forse più importante obiezione all'idea che sia indispensabile un partito cattolico per tutelare l'identità cristiana del nostro Paese. L'obiezione è iscritta in modo chiarissimo nella vicenda italiana di questi ultimi anni. Durante i quali, se non sbaglio, quell'identità è stata tematizzata, analizzata e per così dire fatta oggetto del discorso pubblico, ne è stato compreso il significato, ne sono stati rivendicati con forza l'importanza e il peso sulla cultura occidentale e dunque anche nostra, ne sono stati messi a fuoco i complessi rapporti con la modernità e con la storia italiana, ne è stato mostrato l'insuperabile rilievo etico, soprattutto a opera di donne, uomini, ambienti e iniziative, che nulla o quasi avevano a che fare con qualsivoglia «partito cattolico ». Diciamolo chiaramente: sono stati in special modo dei non credenti, ovvero dei credenti estranei però ai chiusi e sempre circospetti circuiti iniziatici delle organizzazioni cattoliche, sono stati loro che hanno fatto uscire il grande tema della religione e della fede, nonché del rapporto di entrambe con il mondo contemporaneo, dal chiuso in cui, almeno qui da noi, esso era andato a finire. Sono stati loro, i loro libri, i giornali da loro creati o diretti, le loro iniziative, che hanno riportato con forza all'attenzione dell'opinione pubblica e della cultura laica il grande tema delle radici cristiane, dell' «identità cristiana », rinnovandone il senso e la portata, riaccendendone l'interesse.
E hanno fatto tutto questo, se non sbaglio, senza che alcun politico cattolico c'entrasse nulla e per un lungo tratto neppure si accorgesse del fenomeno, tanto meno lo assecondasse, a differenza di alcuni alti esponenti della gerarchia cattolica, mostratisi invece assai più consapevoli e avveduti di loro.
Dunque anche per questo aspetto certo non secondario, l'esistenza di un «partito cattolico» quale quello voluto da Casini non sembra in grado di avere un' incidenza effettiva sulla difesa di quell'«identità cristiana» del Paese, per la quale pure dice di scendere in campo. La sua nascita risponde solo a ragioni di politica, di rispettabilissima politica naturalmente, ma sia chiaro: tutto comincia e finisce qui.
«Corriere della sera» del 24 febbraio 2008
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