Qui si svela perché quasi tutti i progressisti non accettano il confronto
di Giuliano Ferrara
di Giuliano Ferrara
C’è da domandarsi: ma perché lo fanno? Perché “Giuliano il mammano”? Perché l’ossessivo “la 194 non si tocca”? Perché “le donne non sono assassine”? I progressisti, dal lancio della moratoria a fine dicembre e particolarmente ora che la moratoria per l’aborto si affaccia sulla scena o sceneggiata politica con una sua lista pazza, non hanno accettato un onesto confronto. Hanno lanciato anatemi, descritto per quel che non è e deformato fino al grottesco la posizione avversaria, si sono perfino inventati una montatura giornalistica sul caso dell’aborto di Napoli, che si è ritorta contro di loro. All’inizio si poteva pensare che tale reazione scomposta e abusiva potesse essere legata al fatto che ci eravamo spiegati male. Ma non si troverà, salvo la legittimità da noi liberalmente riconosciuta dell’opposizione di principio a qualunque legge abortista, una sola riga in cui non sia chiaro il sostrato necessario di ogni nostro pensiero e azione: nessuna donna può essere obbligata a partorire, nessuna donna deve essere perseguita penalmente perché rifiuta la maternità, tutte le donne devono essere libere di non abortire. Allora ci deve essere un’altra spiegazione. Abbiamo pensato in un secondo momento al panico. E qui siamo già più vicini a una diagnosi precisa. L’aborto è la grande rimozione della nostra epoca. E il rimosso incide nella forma della paura, dell’incubo, su chi lo pratica privatamente e pubblicamente. Qualche meccanismo mediatico di sostegno, ed ecco l’esplosione ideologica che porta il pensiero progressista alla fine della capacità di distinguere, argomentare in base a una lettura responsabile della cosa e delle diverse opinioni, in una deriva di propaganda generica che era evidente nell’ossessiva ripetizione di formule a tutela della donna offesa opposte dalla bella Daria Bignardi, nel suo programma della Milano chic, all’affermazione: “L’aborto è maschio”.
Purtroppo questo non spiega tutto. La verità finale è negli altri titoli, che Liberazione, il quotidiano del rimosso ideologico progressista e libertario-comunista, ha avuto il folle coraggio di pubblicare: “l’aborto non è un dramma” e “il feto non è vita”. Qui siamo al dunque. Nessuno dei progressisti osa confessarlo nemmeno più a se stesso, ma la verità dell’aborto, inteso non come soluzione contro la clandestinità dell’interruzione selvaggia delle gravidanze, bensì come pratica ormai moralmente indifferente, costume e vita quotidiana, è nel concetto di autodeterminazione e sovranità procreativa. La scelta è ideologica, è suggerita dalla furbizia del potere maschile, e consiste nell’idea che la donna è sovrana e sola nel decidere un atto che è di schiavismo genetico, nel decidere al posto di un altro e senza coinvolgere il maschio che con lei ha concepito il suo bambino. Non fosse così, i progressisti avrebbero trovato l’intelligenza e il coraggio di dire: la chiesa oggi riconosce che non si può tornare all’aborto clandestino e chiede di discutere le derive eugenetiche dell’aborto di massa, l’abortismo di stato in Asia e le politiche pubbliche tendenti a ridurre l’aborto a un modello di grado zero in occidente. Affrontiamo con serenità il problema, discutiamo e troviamo un compromesso. Solo poche leader femminili e progressiste (e la lettera di Franca Bimbi forse va in questa direzione come altri interventi di Claudia Mancina e Emma Fattorini, belli ma rari) hanno avuto questo impulso. Le altre no, perché del rimosso abortivo fa parte l’ideologia delle ragazze del secolo scorso, oggi diventata conformismo e pratica inconsapevole di massa con l’ausilio fattivo dei ragazzacci del secolo scorso.
Purtroppo questo non spiega tutto. La verità finale è negli altri titoli, che Liberazione, il quotidiano del rimosso ideologico progressista e libertario-comunista, ha avuto il folle coraggio di pubblicare: “l’aborto non è un dramma” e “il feto non è vita”. Qui siamo al dunque. Nessuno dei progressisti osa confessarlo nemmeno più a se stesso, ma la verità dell’aborto, inteso non come soluzione contro la clandestinità dell’interruzione selvaggia delle gravidanze, bensì come pratica ormai moralmente indifferente, costume e vita quotidiana, è nel concetto di autodeterminazione e sovranità procreativa. La scelta è ideologica, è suggerita dalla furbizia del potere maschile, e consiste nell’idea che la donna è sovrana e sola nel decidere un atto che è di schiavismo genetico, nel decidere al posto di un altro e senza coinvolgere il maschio che con lei ha concepito il suo bambino. Non fosse così, i progressisti avrebbero trovato l’intelligenza e il coraggio di dire: la chiesa oggi riconosce che non si può tornare all’aborto clandestino e chiede di discutere le derive eugenetiche dell’aborto di massa, l’abortismo di stato in Asia e le politiche pubbliche tendenti a ridurre l’aborto a un modello di grado zero in occidente. Affrontiamo con serenità il problema, discutiamo e troviamo un compromesso. Solo poche leader femminili e progressiste (e la lettera di Franca Bimbi forse va in questa direzione come altri interventi di Claudia Mancina e Emma Fattorini, belli ma rari) hanno avuto questo impulso. Le altre no, perché del rimosso abortivo fa parte l’ideologia delle ragazze del secolo scorso, oggi diventata conformismo e pratica inconsapevole di massa con l’ausilio fattivo dei ragazzacci del secolo scorso.
«Il Foglio» del 23 febbraio 2008
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