In Cina ci sono 10 mila esecuzioni capitali l’anno e 600 ospedali trapiantano le parti degli uccisi. L’appello del dissidente Wu
di Harry Wu
«Migliaia di reni, fegati e cornee di condannati a morte cinesi vengono venduti nel mondo e sono una fonte di alti profitti per gli ospedali, la polizia e l’élite del Partito comunista»
La Cina è uno dei Paesi in cui la pena di morte è prevista per legge. Nonostante gli appelli delle principali organizzazioni internazionali, Amnesty International in testa, ogni anno nel Paese asiatico si contano dalle 8000 alle 10000 condanne a morte. La Cina rappresenta il 22% della popolazione mondiale, ma commina e fa eseguire almeno il 90% delle condanne a morte nel mondo. Se si denuncia questa vera e propria strage, compiuta in nome della preservazione del regime comunista, si viene subito etichettati come nemici del popolo cinese. Il presidente statunitense George Bush, anche dopo le sollecitazioni di Nancy Pelosi, portavoce del Congresso Usa, a metà ottobre del 2007 ha ricevuto il capo del buddismo tibetano, il Dalai Lama. Per questa iniziativa, Pechino ha accusato duramente Washington di ingerenza nella politica cinese, e minacciato forti ritorsioni. Questo episodio è emblematico della protervia e arroganza del governo di Pechino, che pretende dai singoli Paesi, od organismi internazionali, che non esaminino quello che avviene nel suo territorio e soprattutto non assumano un comportamento difforme dalla linea ufficiale cinese, senza tener conto del fatto che questi altri Paesi non sono attualmente colonie della Cina.
Per la decisione di ricevere un capo religioso, esiliato dal regime comunista cinese ormai da decine di anni, un Paese democratico e un presidente liberamente eletto sono rimproverati e attaccati con violenza come se fossero sudditi disobbedienti! Lo stesso è poi accaduto in Italia. Il capo di un Paese in cui da 58 anni, e cioè dall’ascesa di Mao Zedong, viene represso nel sangue qualsiasi anelito di libertà; dove ogni anno si contano decine e decine di migliaia di sollevazioni spontanee; dove i lavoratori sono ridotti in semischiavitù; dove i contadini muoiono letteralmente di fame; dove ci sono ancora, mimetizzati col nome di fabbriche o fattorie, oltre mille campi di concentramento, i laogai, nei quali ho trascorso 19 anni della mia vita, il capo di un Paese di questo genere, mi chiedo che cosa intende quando parla, con modi garbati, di «socialismo armonioso» e «società armoniosa»? In Cina la vita stessa viene repressa in forme e metodi che ricordano le peggiori pagine di storia dei secoli più bui, anche di quello appena trascorso. Ancora oggi migliaia di reni, fegati e cornee di condannati a morte sono venduti sul mercato degli organi umani in Cina e nel mondo, e rappresentano una fonte di alti profitti per gli ospedali, la polizia e l’élite del Partito comunista cinese.
Soltanto nel dicembre del 2006 il regime cinese ha riconosciuto che la quasi totalità degli organi umani venduti viene espiantata dai corpi dei prigionieri uccisi, ma i satrapi di Pechino tentano sempre di negare o minimizzare questi abusi e violenze.
Recentemente il governo ha introdotto misure e adottato leggi che dovrebbero diminuire il numero delle esecuzioni capitali e aumentare il controllo sulla vendita degli organi. Sono previsti, ma soltanto sulla carta, anche la revisione di tutte le sentenze di morte da parte della Corte suprema del popolo e il divieto di usare gli organi dei condannati a morte senza il loro previo consenso. In realtà, le migliaia di esecuzioni continuano, il traffico degli organi umani fiorisce e le torture per ottenere le confessioni persistono. Il numero di esecuzioni capitali è ancora oggi un segreto di Stato in Cina! Il traffico degli organi umani è iniziato nel 1984 con almeno 100 ospedali specializzati in questa macabra pratica. Nel 2007 sono oltre 600 gli ospedali in cui vengono trapiantati gli organi dei condannati a morte.
L’incremento di questi ospedali e il graduale aumento del numero dei crimini puniti oggi con la pena capitale avvalorano il sospetto che in Cina si commini con facilità questa misura di pena per ottenere un maggior numero di organi da commerciare. Perché la comunità internazionale non interviene e non prende iniziative decise per impedire questi crimini? Come giustamente fece osservare il deputato Smith, durante una seduta della Commissione sui Diritti umani del Congresso Usa, il mondo politico ed economico, per la protezione dei propri marchi di fabbrica e brevetti, ha preteso sanzioni contro il regime cinese ma è rimasto muto di fronte al persistere del lavoro forzato, delle esecuzioni capitali e della vendita degli organi umani.
Perché? Nel mondo del terzo millennio questi crimini devono cessare. Le nostre coscienze lo richiedono.
L’arcipelago dei «laogai»
Va in libreria dal 13 marzo «Cina traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte» curato da Maria Vittoria Cattanìa e Toni Brandi per Guerini e Associati (pp. 204, euro 21,50). Qui ne pubblichiamo la prefazione firmata da Harry Wu, dissidente cinese famoso per le denunce di violazioni dei diritti umani da parte del regime di Pechino e presidente della «Laogai Research Foundation» di Washington. In Italia sono già apparsi i suoi volumi «Laogai, i Gulag di Mao Tze Dong» (L’ancora del Mediterraneo) e «Controrivoluzionario. I miei anni nei gulag cinesi» (San Paolo).
Per la decisione di ricevere un capo religioso, esiliato dal regime comunista cinese ormai da decine di anni, un Paese democratico e un presidente liberamente eletto sono rimproverati e attaccati con violenza come se fossero sudditi disobbedienti! Lo stesso è poi accaduto in Italia. Il capo di un Paese in cui da 58 anni, e cioè dall’ascesa di Mao Zedong, viene represso nel sangue qualsiasi anelito di libertà; dove ogni anno si contano decine e decine di migliaia di sollevazioni spontanee; dove i lavoratori sono ridotti in semischiavitù; dove i contadini muoiono letteralmente di fame; dove ci sono ancora, mimetizzati col nome di fabbriche o fattorie, oltre mille campi di concentramento, i laogai, nei quali ho trascorso 19 anni della mia vita, il capo di un Paese di questo genere, mi chiedo che cosa intende quando parla, con modi garbati, di «socialismo armonioso» e «società armoniosa»? In Cina la vita stessa viene repressa in forme e metodi che ricordano le peggiori pagine di storia dei secoli più bui, anche di quello appena trascorso. Ancora oggi migliaia di reni, fegati e cornee di condannati a morte sono venduti sul mercato degli organi umani in Cina e nel mondo, e rappresentano una fonte di alti profitti per gli ospedali, la polizia e l’élite del Partito comunista cinese.
Soltanto nel dicembre del 2006 il regime cinese ha riconosciuto che la quasi totalità degli organi umani venduti viene espiantata dai corpi dei prigionieri uccisi, ma i satrapi di Pechino tentano sempre di negare o minimizzare questi abusi e violenze.
Recentemente il governo ha introdotto misure e adottato leggi che dovrebbero diminuire il numero delle esecuzioni capitali e aumentare il controllo sulla vendita degli organi. Sono previsti, ma soltanto sulla carta, anche la revisione di tutte le sentenze di morte da parte della Corte suprema del popolo e il divieto di usare gli organi dei condannati a morte senza il loro previo consenso. In realtà, le migliaia di esecuzioni continuano, il traffico degli organi umani fiorisce e le torture per ottenere le confessioni persistono. Il numero di esecuzioni capitali è ancora oggi un segreto di Stato in Cina! Il traffico degli organi umani è iniziato nel 1984 con almeno 100 ospedali specializzati in questa macabra pratica. Nel 2007 sono oltre 600 gli ospedali in cui vengono trapiantati gli organi dei condannati a morte.
L’incremento di questi ospedali e il graduale aumento del numero dei crimini puniti oggi con la pena capitale avvalorano il sospetto che in Cina si commini con facilità questa misura di pena per ottenere un maggior numero di organi da commerciare. Perché la comunità internazionale non interviene e non prende iniziative decise per impedire questi crimini? Come giustamente fece osservare il deputato Smith, durante una seduta della Commissione sui Diritti umani del Congresso Usa, il mondo politico ed economico, per la protezione dei propri marchi di fabbrica e brevetti, ha preteso sanzioni contro il regime cinese ma è rimasto muto di fronte al persistere del lavoro forzato, delle esecuzioni capitali e della vendita degli organi umani.
Perché? Nel mondo del terzo millennio questi crimini devono cessare. Le nostre coscienze lo richiedono.
L’arcipelago dei «laogai»
Va in libreria dal 13 marzo «Cina traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte» curato da Maria Vittoria Cattanìa e Toni Brandi per Guerini e Associati (pp. 204, euro 21,50). Qui ne pubblichiamo la prefazione firmata da Harry Wu, dissidente cinese famoso per le denunce di violazioni dei diritti umani da parte del regime di Pechino e presidente della «Laogai Research Foundation» di Washington. In Italia sono già apparsi i suoi volumi «Laogai, i Gulag di Mao Tze Dong» (L’ancora del Mediterraneo) e «Controrivoluzionario. I miei anni nei gulag cinesi» (San Paolo).
«Avvenire» dell’8 marzo 2008
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