di Davide Rondoni
Ogni tanto si alza qualcuno e dice che la poesia è in crisi, i poeti non se li fila nessuno etc etc. Chiacchiere. Fatte, pur se da tribune importanti, da persone che spesso, come citava un grande, sono «en la plus lamentable condicion del mundo: la condicion dell’ex-poeta». A smentire le querule voci dei lamentatori di professione che allignano sul certe terze pagine, arriva -insieme al quotidiano proliferare di belle iniziative di poesia in tutta Italia e in tutti i modi- un volumone edito nella splendida Palermo da Flaccovio.
Volume elegantissimo e giocosamente doubleface, con copertine invertite, titolato «Xenia» da un lato e «Xenia2» dall’altro, dedicato a scritti per Pietro Carriglio che là dirige il Teatro Biondo. Tra quelle pagine troverete oltre che deliziose storielle, intellettualmente sapide, ome quella che dà origine alla citazione spagnoleggiante di cui sopra. dai «Foglietti» di Carlo Levi, anche una fortissima testimonianza di vita pubblica, condivisa della poesia. T.S. Eliot, Mario Luzi, Giovanni Raboni, Maurizio Cucchi, Patrizia Valduga, Edoardo Sanguineti, fino al sottoscritto, sono protagonisti di una vicenda teatrale, pubblica e civile. Come autori, traduttori, lettori e in un Mario Luzi certo senso co-autori di una esperienza lunga e sorprendentemente ricca di teatro che ha trovato in Carriglio un tempestoso e pur delicatissimo animatore.
Insomma, si va dalla rappresentazione del grande dramma della vicenda di don Puglisi cui diede voce Luzi, alle opere messe in scena degli altri poeti, anche in contesti di grande rilevanza civile oltre che artistica. Una partecipazione piena, e riconosciuta dei poeti al luogo pubblico che è il teatro, e attraverso di esso al dibattito personalissimo nella coscienza di tanti, e collettivo. Viaggiando nel corposo volume, curato da Renato Tommasino, Umberto Cantone e Roberto Giambrone, si incontra un caleidoscopio di personalità del teatro e della cultura, e però sorprende tra le tante possibile piste di lettura, quella offerta da una speciale fedeltà proprio alla poesia. Non solo per l’amicizia coltivata da parte di Carriglio con i Luzi, i Raboni e altri, ma esattamente per la mole di lavoro pubblico che dalla poesia ha avuto origine. Intendo non solo i testi da noi scritti e messi in scena, anche per lunghi periodi, o le traduzioni che ridanno voci antiche. Ma anche la nutritissima penombra, i versi, le figure, a volte i minimi accenni di poesia che hanno dato al regista o ai suoi lavoranti, suggestioni, indirizzi, chiavi di lettura. E nutrito infinite conversazioni.
Non a caso, Mario Luzi, si diceva orgoglioso di aver lavorato con Carriglio. Rispetto ai pallidi aperitivi serviti sui banchi à la page di certi editori, sorseggiando i quali noiosi signori caduti in quella «lamentable condicion dell’expoeta » si lamentano che tutto è finito con il loro breve sogno di gloria, o di udienza, il volume che arriva dalla terra di vini e bellezze accese, è un segno reale di vita sperata. Ed è sollecitazione a chi è responsabile di luoghi pubblici come i teatri a concepirli in un dialogo fertile, rischioso e pieno di sorprese con il farsi reale della poesia di oggi, e con la sua voce che mai cessa dalle origini dell’uomo, portando sui palchi l’essenziale che è dramma, la bellezza che trova voci comuni.
Volume elegantissimo e giocosamente doubleface, con copertine invertite, titolato «Xenia» da un lato e «Xenia2» dall’altro, dedicato a scritti per Pietro Carriglio che là dirige il Teatro Biondo. Tra quelle pagine troverete oltre che deliziose storielle, intellettualmente sapide, ome quella che dà origine alla citazione spagnoleggiante di cui sopra. dai «Foglietti» di Carlo Levi, anche una fortissima testimonianza di vita pubblica, condivisa della poesia. T.S. Eliot, Mario Luzi, Giovanni Raboni, Maurizio Cucchi, Patrizia Valduga, Edoardo Sanguineti, fino al sottoscritto, sono protagonisti di una vicenda teatrale, pubblica e civile. Come autori, traduttori, lettori e in un Mario Luzi certo senso co-autori di una esperienza lunga e sorprendentemente ricca di teatro che ha trovato in Carriglio un tempestoso e pur delicatissimo animatore.
Insomma, si va dalla rappresentazione del grande dramma della vicenda di don Puglisi cui diede voce Luzi, alle opere messe in scena degli altri poeti, anche in contesti di grande rilevanza civile oltre che artistica. Una partecipazione piena, e riconosciuta dei poeti al luogo pubblico che è il teatro, e attraverso di esso al dibattito personalissimo nella coscienza di tanti, e collettivo. Viaggiando nel corposo volume, curato da Renato Tommasino, Umberto Cantone e Roberto Giambrone, si incontra un caleidoscopio di personalità del teatro e della cultura, e però sorprende tra le tante possibile piste di lettura, quella offerta da una speciale fedeltà proprio alla poesia. Non solo per l’amicizia coltivata da parte di Carriglio con i Luzi, i Raboni e altri, ma esattamente per la mole di lavoro pubblico che dalla poesia ha avuto origine. Intendo non solo i testi da noi scritti e messi in scena, anche per lunghi periodi, o le traduzioni che ridanno voci antiche. Ma anche la nutritissima penombra, i versi, le figure, a volte i minimi accenni di poesia che hanno dato al regista o ai suoi lavoranti, suggestioni, indirizzi, chiavi di lettura. E nutrito infinite conversazioni.
Non a caso, Mario Luzi, si diceva orgoglioso di aver lavorato con Carriglio. Rispetto ai pallidi aperitivi serviti sui banchi à la page di certi editori, sorseggiando i quali noiosi signori caduti in quella «lamentable condicion dell’expoeta » si lamentano che tutto è finito con il loro breve sogno di gloria, o di udienza, il volume che arriva dalla terra di vini e bellezze accese, è un segno reale di vita sperata. Ed è sollecitazione a chi è responsabile di luoghi pubblici come i teatri a concepirli in un dialogo fertile, rischioso e pieno di sorprese con il farsi reale della poesia di oggi, e con la sua voce che mai cessa dalle origini dell’uomo, portando sui palchi l’essenziale che è dramma, la bellezza che trova voci comuni.
«Avvenire» del 4 marzo 2008
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