di Domenico Delle Foglie
«Laici e cattolici» oppure «credenti e non credenti»? Qual è il binomio migliore per sottolineare il rapporto fra due mondi, due culture, due immaginari distinti ma non separati? Questi interrogativi non vi sembrino peregrini. Nel volgere di pochi giorni ci è capitato di sentirli sollevare in due sedi completamente diverse, ma ambedue significative. La prima era quella di un’associazione che opera sul territorio italiano e che si occupa dei temi del vivere e del morire, la seconda addirittura una seguitissima trasmissione radiofonica in onda su Radio1 Rai. In un caso come nell’altro, il punto di partenza era quello di un credente che facendo appello al Concilio ecumenico Vaticano II e alla distinzione fra laico e religioso, inserita nella costituzione «Lumen gentium», si chiedeva se non dovesse essere preferibile la dizione «credente e non credente». Vale la pena ricordare la definizione conciliare: «Con il nome di laici si intendono… tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso nella Chiesa, cioè i fedeli che, in quanto incorporati a Cristo con il battesimo, costituiti Popolo di Dio e a loro modo fatti partecipi della dignità sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte adempiono la missione di tutto il popolo cristiano nella Chiesa e nel mondo». In sintesi, uomini e donne, battezzati, che vivono nella comunità cristiana e che come cittadini vivono nel mondo.
Nessuna condizione di separatezza, ma solo la consapevolezza di stare nel mondo ma di non essere del mondo. Perché dunque ne parliamo? Perché ad un interlocutore laicista più che laico, intervenuto a commentare la telefonata di una signora che in quanto laica-cattolica, suggeriva l’adozione del binomio «credente-non credente», si rispondeva con enfasi che «non bisogna darla vinta ai cattolici, a cominciare dalla volontà di imporre il loro linguaggio». La trasmissione era «Zapping», condotta da Aldo Forbice e l’interlocutore in studio il professor Massimo Teodori, notoriamente poco tenero con il mondo cattolico.
Di qui la sua difesa del binomio «laico-cattolico» come portatore di una sostanziale carica dialettica ed oppositiva, evocativo della forza della laicità in opposizione all’universo cattolico. Ecco il suo giudizio: noi sappiamo bene a cosa ci riferiamo quando parliamo di laici, perché li vediamo come contrapposti a clericali e integralisti. Ma la domanda sorge spontanea: chi, con un minimo di onestà intellettuale, può catalogare sic et simpliciter tutti i cattolici sotto le bandiere del clericalismo e dell’integralismo? Forse sarebbe più corretto utilizzare le coppie «laicisti-clericali», oppure «laicisti-integralisti».
Depurare la nozione «laicicattolici» da queste sovrastrutture, sarebbe già un gran risultato. Soprattutto sul versante pubblicistico, sarebbe opportuno utilizzare il binomio «laico-cattolico» in un contesto di confronto positivo e costruttivo. Ma oggettivamente non è ancora venuto il tempo del disarmo. Troppi ancora sono i rancori sul fronte laico, che impediscono di cogliere l’essenzialità della presenza cristiana sulla scena pubblica. Una presenza non invasiva, ma collaborativa.
Nessuna condizione di separatezza, ma solo la consapevolezza di stare nel mondo ma di non essere del mondo. Perché dunque ne parliamo? Perché ad un interlocutore laicista più che laico, intervenuto a commentare la telefonata di una signora che in quanto laica-cattolica, suggeriva l’adozione del binomio «credente-non credente», si rispondeva con enfasi che «non bisogna darla vinta ai cattolici, a cominciare dalla volontà di imporre il loro linguaggio». La trasmissione era «Zapping», condotta da Aldo Forbice e l’interlocutore in studio il professor Massimo Teodori, notoriamente poco tenero con il mondo cattolico.
Di qui la sua difesa del binomio «laico-cattolico» come portatore di una sostanziale carica dialettica ed oppositiva, evocativo della forza della laicità in opposizione all’universo cattolico. Ecco il suo giudizio: noi sappiamo bene a cosa ci riferiamo quando parliamo di laici, perché li vediamo come contrapposti a clericali e integralisti. Ma la domanda sorge spontanea: chi, con un minimo di onestà intellettuale, può catalogare sic et simpliciter tutti i cattolici sotto le bandiere del clericalismo e dell’integralismo? Forse sarebbe più corretto utilizzare le coppie «laicisti-clericali», oppure «laicisti-integralisti».
Depurare la nozione «laicicattolici» da queste sovrastrutture, sarebbe già un gran risultato. Soprattutto sul versante pubblicistico, sarebbe opportuno utilizzare il binomio «laico-cattolico» in un contesto di confronto positivo e costruttivo. Ma oggettivamente non è ancora venuto il tempo del disarmo. Troppi ancora sono i rancori sul fronte laico, che impediscono di cogliere l’essenzialità della presenza cristiana sulla scena pubblica. Una presenza non invasiva, ma collaborativa.
«Avvenire» del 12 marzo 2008
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