di Andrea Bajani
La scuola italiana è rimasta schiacciata sotto le macerie del discredito di istituzioni e famiglia. Gli studenti italiani, riportano le pagelle vergate alla fine del quadrimestre, sono per la maggior parte somari, con debiti formativi trascinati come palle al piede, lacune che sembrano mari, e un generale disinteresse nei confronti di chi sta dietro la cattedra.
Le cronache, le indagini degli psicologi, le tabelle, e i grafici a torta dipingono una gioventù patologica allo sbando, picchiatori voyeuristi nei gabinetti scolastici, compulsivi smanettatori persi nei meandri di Internet o nell’isteria da pollice opponibile della messaggistica cellulare. E appunto somari a scuola, voti bassi e facce da chissenefrega.
E la scuola va giù, si grida al palazzo che crolla, il fumo che viene su quando l’edificio si schianta al suolo, e intorno è tutto un unanime urlare allo scandalo. Come fosse per caso che è saltato in aria, o come fossero gli stessi ragazzi, o soltanto loro, ad avere innescato l’ordigno, ad averlo messo a ticchettare sotto la scuola. Che è un modo tutto sommato rassicurante per assistere al crollo, e magari farci anche qualche foto ricordo, un buon modo per dire: «Ai nostri tempi era diverso».
E invece la scuola è venuta giù erosa giorno per giorno da un’idea di istruzione messa all’asta del migliore offerente, percepita come un servizio da negoziare nel rapporto con studenti che da studenti son diventati clienti.
Perché la scuola italiana è franata con i presidi che imbavagliano gli insegnanti nell’esercitare il loro rigore per paura che i clienti se ne vadano alla concorrenza, magari parlando con i giornali, gettando una cattiva luce sull’istituto. La scuola italiana è franata sotto le pressioni dei genitori che arrivano a scuola contestando in cagnesco i voti troppo bassi dei figli, il carico eccessivo di compiti a casa, persino le correzioni delle versioni latine. La scuola italiana è franata con gli sms e le telefonate delle mamme e dei padri italiani in orario scolastico per raccomandare ai figli di andare a mangiare dalla nonna, piuttosto che di comprare il pane prima di tornare a casa.
Mi chiedo, senza che questo deresponsabilizzi in alcun modo i ragazzi, come è possibile che gli studenti riconoscano un qualche ruolo a un’istituzione che da tutti è vissuta quale un qualsiasi servizio superfluo, alla stregua di una compagnia telefonica, una catena di negozi di abbigliamento, una discoteca, o un cinema multisala? Perché la scuola italiana è rimasta schiacciata sotto le macerie di chi ha smesso di crederci, prendendo a picconate sistematiche, con la logica finanziaria dei debiti e dei crediti, delle transazioni formative, delle negoziazioni pedagogiche, la crescita culturale di un Paese che rischia di rimanere bloccato. Perché a vedere quelle pagelle, quel disinteresse, quel disincanto, non si riesce a pensare all’Italia futura, di cui ci si riempie la bocca quando si parla dei giovani. In quelle insufficienze, e in quelle facce si vede tutto il disincanto e il menefreghismo degli adulti.
Le cronache, le indagini degli psicologi, le tabelle, e i grafici a torta dipingono una gioventù patologica allo sbando, picchiatori voyeuristi nei gabinetti scolastici, compulsivi smanettatori persi nei meandri di Internet o nell’isteria da pollice opponibile della messaggistica cellulare. E appunto somari a scuola, voti bassi e facce da chissenefrega.
E la scuola va giù, si grida al palazzo che crolla, il fumo che viene su quando l’edificio si schianta al suolo, e intorno è tutto un unanime urlare allo scandalo. Come fosse per caso che è saltato in aria, o come fossero gli stessi ragazzi, o soltanto loro, ad avere innescato l’ordigno, ad averlo messo a ticchettare sotto la scuola. Che è un modo tutto sommato rassicurante per assistere al crollo, e magari farci anche qualche foto ricordo, un buon modo per dire: «Ai nostri tempi era diverso».
E invece la scuola è venuta giù erosa giorno per giorno da un’idea di istruzione messa all’asta del migliore offerente, percepita come un servizio da negoziare nel rapporto con studenti che da studenti son diventati clienti.
Perché la scuola italiana è franata con i presidi che imbavagliano gli insegnanti nell’esercitare il loro rigore per paura che i clienti se ne vadano alla concorrenza, magari parlando con i giornali, gettando una cattiva luce sull’istituto. La scuola italiana è franata sotto le pressioni dei genitori che arrivano a scuola contestando in cagnesco i voti troppo bassi dei figli, il carico eccessivo di compiti a casa, persino le correzioni delle versioni latine. La scuola italiana è franata con gli sms e le telefonate delle mamme e dei padri italiani in orario scolastico per raccomandare ai figli di andare a mangiare dalla nonna, piuttosto che di comprare il pane prima di tornare a casa.
Mi chiedo, senza che questo deresponsabilizzi in alcun modo i ragazzi, come è possibile che gli studenti riconoscano un qualche ruolo a un’istituzione che da tutti è vissuta quale un qualsiasi servizio superfluo, alla stregua di una compagnia telefonica, una catena di negozi di abbigliamento, una discoteca, o un cinema multisala? Perché la scuola italiana è rimasta schiacciata sotto le macerie di chi ha smesso di crederci, prendendo a picconate sistematiche, con la logica finanziaria dei debiti e dei crediti, delle transazioni formative, delle negoziazioni pedagogiche, la crescita culturale di un Paese che rischia di rimanere bloccato. Perché a vedere quelle pagelle, quel disinteresse, quel disincanto, non si riesce a pensare all’Italia futura, di cui ci si riempie la bocca quando si parla dei giovani. In quelle insufficienze, e in quelle facce si vede tutto il disincanto e il menefreghismo degli adulti.
«La Stampa» del 12 marzo 2008
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