di Goffredo Fofi
Tra le molte iniziative interessanti del l’8 marzo si segnalano il film di Alina Marazzi Vogliamo anche le rose, montaggio di storia delle donne nell’Italia del secondo Novecento, e quelle dedicate a Napoli e a Ischia a una delle nostre grandi scrittrici, Anna Maria Ortese, irrequieta napoletana che a Napoli ha dedicato un libro realistico, di base giornalistica, Il mare non bagna Napoli, e un romanzo visionario, visionariamente autobiografico, Il porto di Toledo, sul quale tornò spesso in accanito lavoro alla ricerca di una difficile - rasserenante - perfezione. È uscita in questi giorni, con la prefazione di Lia Levi, la memoria di una corrispondente della Ortese, Adelia Battista, forse un po’ enfatica (e il titolo è certo eccessivo) e diluita, ma che aggiunge qualcosa alla nostra conoscenza della scrittrice, per esempio sulla sua amicizia con lo sfortunato Dario Bellezza, che fu l’amico della Ortese più convinto nel riconoscerne il genio, quando erano in pochissimi a farlo, molto prima della consacrazione avvenuta con il passaggio dell’opera ortesiana alla Adelphi grazie alla mediazione di Citati.
La Battista è in possesso dell’epistolario Ortese-Bellezza, che si spera venga un giorno pubblicato. Il suo è il riconoscente resoconto di una lunga ammirazione per la Ortese e di una rapida conoscenza della medesima, e ha taglio giornalistico più che saggistico o biografico. Raccoglie testimonianze di amici e conoscenti della scrittrice che vanno ad aggiungersi a quelle riportate da Luca Clerici nell’ottima biografia che dedicò alla scrittrice per Mondadori. Più che la vita dei grandi scrittori contano, come si sa, le loro opere e il loro destino, il modo in cui riescono a parlare ai lettori contemporanei e a quelli che vengono dopo.
L’opera della Ortese fu ai suoi inizi apprezzata da molti ma da molti anche detestata, e più incompresa che compresa per lunghi anni (le discussioni su Il mare... ma anche quelle su L’iguana, e in mezzo gli anni di una scarsissima attenzione critica) .E ci si interroga su come sia diventata , dopo Il cardillo addolorato che è del 1993 e il suo controcanto poetico-teorico Alonso e i visionari (1996, due anni prima della morte della scrittrice), così amata e studiata. La risposta è in realtà semplice e sta nel passaggio dell’Italia e del mondo da un’epoca di speranze nella capacità dell’uomo (e anzitutto della politica e della scienza) di risolvere i suoi perenni problemi - le disparità sociali, la convivenza tra popoli ed etnie, e insomma lo sviluppo e la pace - e un’epoca di nuove ed enormi incertezze e paure. Questo ci ha costretto a rivedere le nostre posizioni, a interrogarci sui nostri destini e sulla nostra fragilità, e di conseguenza ad ascoltare le voci che non avevamo voluto ascoltare. La Morante e la Ortese, le nostre maggiori scrittrici, hanno avuto in questo senso lo stesso destino. Esse ci hanno messo in guardia dalle illusioni nella Storia e ci hanno parlato del nascosto e del piccolo, dei misteri e delle verità che stanno oltre le apparenze, oltre le idee ricevute, oltre gli ottimismi di comodo, oltre l’orizzonte unico del sociale... È cambiata la nostra sensibilità, non quella di Elsa Morante o di Anna Maria Ortese. O di Hannah Arendt, di Simone Weil, di Maria Zambrano, di Etty Hillesum... Giancarlo Gaeta ci ricordò anni fa che forse il pensiero filosofico più radicale e convincente del Novecento è stato quello di artiste e pensatrici donne, quelle che ho ricordato e altre ancora: perché estraneo al discorso sul potere che invece ha permeato anche il miglior pensiero maschile.
La Battista è in possesso dell’epistolario Ortese-Bellezza, che si spera venga un giorno pubblicato. Il suo è il riconoscente resoconto di una lunga ammirazione per la Ortese e di una rapida conoscenza della medesima, e ha taglio giornalistico più che saggistico o biografico. Raccoglie testimonianze di amici e conoscenti della scrittrice che vanno ad aggiungersi a quelle riportate da Luca Clerici nell’ottima biografia che dedicò alla scrittrice per Mondadori. Più che la vita dei grandi scrittori contano, come si sa, le loro opere e il loro destino, il modo in cui riescono a parlare ai lettori contemporanei e a quelli che vengono dopo.
L’opera della Ortese fu ai suoi inizi apprezzata da molti ma da molti anche detestata, e più incompresa che compresa per lunghi anni (le discussioni su Il mare... ma anche quelle su L’iguana, e in mezzo gli anni di una scarsissima attenzione critica) .E ci si interroga su come sia diventata , dopo Il cardillo addolorato che è del 1993 e il suo controcanto poetico-teorico Alonso e i visionari (1996, due anni prima della morte della scrittrice), così amata e studiata. La risposta è in realtà semplice e sta nel passaggio dell’Italia e del mondo da un’epoca di speranze nella capacità dell’uomo (e anzitutto della politica e della scienza) di risolvere i suoi perenni problemi - le disparità sociali, la convivenza tra popoli ed etnie, e insomma lo sviluppo e la pace - e un’epoca di nuove ed enormi incertezze e paure. Questo ci ha costretto a rivedere le nostre posizioni, a interrogarci sui nostri destini e sulla nostra fragilità, e di conseguenza ad ascoltare le voci che non avevamo voluto ascoltare. La Morante e la Ortese, le nostre maggiori scrittrici, hanno avuto in questo senso lo stesso destino. Esse ci hanno messo in guardia dalle illusioni nella Storia e ci hanno parlato del nascosto e del piccolo, dei misteri e delle verità che stanno oltre le apparenze, oltre le idee ricevute, oltre gli ottimismi di comodo, oltre l’orizzonte unico del sociale... È cambiata la nostra sensibilità, non quella di Elsa Morante o di Anna Maria Ortese. O di Hannah Arendt, di Simone Weil, di Maria Zambrano, di Etty Hillesum... Giancarlo Gaeta ci ricordò anni fa che forse il pensiero filosofico più radicale e convincente del Novecento è stato quello di artiste e pensatrici donne, quelle che ho ricordato e altre ancora: perché estraneo al discorso sul potere che invece ha permeato anche il miglior pensiero maschile.
Adelia Battista, Ortese segreta, Minimum fax, pp. 104, € 7,50
«Avvenire» dell’8 marzo 2008
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