La campagna elettorale cominciata tra equivoci e reticenze
di Francesco D’Agostino
di Francesco D’Agostino
Come elettore, mi interessa ben poco quale sia la percentuale dei 'cattolici' che entreranno nelle liste elettorali per la competizione dell’ormai prossimo aprile: ben più mi interessa sapere quali siano i programmi e i progetti politici dei loro partiti di riferimento. Come convinto fautore di una laicità cristiana (che cioè dia a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio) e mi aspetto da ciascun partito un programma serenamente 'laico' (non alterato né da pretese ideologiche, né da pulsioni confessionali), che individui con intelligenza quelle dimensioni del bene comune umano che appaiono oggi particolarmente bisognose di tutela e di promozione pubblica. Come cittadino, voglio onestamente collaborare con tutti gli altri cittadini, in un contesto che garantisca la libertà di tutti: su quei punti sui quali la collaborazione politica possa apparire non possibile, per insanabili divergenze in merito o all’individuazione dei beni da tutelare o alle migliori modalità per tutelarli, penso che sia doveroso rimettersi ai risultati della dialettica maggioranza/minoranza, che è in sé e per sé molto povera, ma è politicamente risolutiva. Se la mia parte resterà in minoranza, mi batterò perché in futuro possa essere più convincente presso gli elettori e possa conquistare la maggioranza dei suffragi; se si troverà in maggioranza, essa dovrà gestire il consenso ottenuto con equilibrio e equanimità. Tutto qui? Certo: la democrazia è semplice e ragionevole. Ad una condizione però: che gli elettori siano messi in condizione di conoscere senza reticenze e senza ambiguità i programmi dei partiti che chiedono il loro voto. Mai come in una campagna elettorale l’onestà intellettuale appare come un valore primario. Eppure mai come in questa campagna, almeno fino ad ora, ombre, reticenze, ambiguità sembrano occupare il palcoscenico. Di programmi si sta parlando ben poco. Ma di candidature si è già parlato abbastanza e le candidature possono fornire indirettamente indicazioni programmatiche molto precise. Esistono candidati 'senza storia': sono quelli che non hanno ancora un volto pubblico. Ma esistono anche candidati che hanno un volto, che hanno una densa storia, anche parlamentare, alle loro spalle; candidati la cui visione del mondo è stata esplicitata innumerevoli volte, attraverso dichiarazioni, pratiche politiche, libri, conferenze. È impossibile ignorare ad esempio la visione libertaria (e non liberale, come viene spesso arbitrariamente presentata) di chi ha sempre militato nel Partito radicale. È impossibile ignorare quale sia l’antropologia di Umberto Veronesi. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Da visioni antropologiche 'riduzionistiche' (come quella radicale o come quella di Veronesi), derivano inevitabilmente ampie conseguenze sul piano delle scelte politiche, non solo per quel che concerne i temi che oggi vengono definiti 'eticamente sensibili' (dalla procreazione assistita all’eutanasia), ma anche per temi di ancor più ampio rilievo sociale, primi tra tutti quelli del matrimonio, della famiglia e delle adozioni. Non è l’identità confessionale che deve rilevare politicamente per l’elettore, ma l’antropologia di riferimento dei candidati e dei partiti. Non ci servono indicazioni tecniche o minuziose: ma l’esplicitazione di pochi e non equivoci principi di fondo. L’elettorato merita rispetto: perciò prima del voto dovrà essergli spiegata con la massima onestà che posizione assumerà ogni partito, quando verranno in discussione temi antropologicamente rilevanti. Anche i singoli candidati ovviamente meritano rispetto, purché però sappiano conquistarselo. Hanno un unico modo per farlo: dichiarare in modo limpido e chiaro i loro progetti politici e soprattutto come essi pensano di poterli promuovere nel contesto 'reale' del partito in cui militano.
Alcuni dicono che la chiarezza fa perdere voti. Non so se sia vero; ma so che l’intenzionale rinuncia alla chiarezza fa perdere, e a volte definitivamente, la dignità.
Alcuni dicono che la chiarezza fa perdere voti. Non so se sia vero; ma so che l’intenzionale rinuncia alla chiarezza fa perdere, e a volte definitivamente, la dignità.
«Avvenire» del 24 febbraio 2008
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