Il lato forse più oscuro e rimosso dell’esperienza sovietica, descritto da uno degli intellettuali che più si sono battuti per riportare il tutto sotto una luce di verità
di Aleksandr Nikolaevic Jakovlev
Jakovlev fu presidente della Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche, carica che mantenne fino alla morte nel 2005
di Aleksandr Nikolaevic Jakovlev
Jakovlev fu presidente della Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche, carica che mantenne fino alla morte nel 2005
Molti credono che Lenin fosse un idealista che solo le circostanze indussero ad essere eccessivamente crudele. In realtà fu Lenin che impose al paese il terrore. Le prese d’ostaggi, le fucilazioni di massa: tutto questo fu una sua iniziativa. Stalin pronunciò una sola frase veritiera: «Sono solo un fedele discepolo di Lenin». In questo egli aveva ragione. Non so se Lenin fosse pazzo, ma paranoico lo era sicuramente. Il sistema ha arrestato, deportato, ucciso. Ha diffuso la paura, favorito la delazione, distrutto il contesto sociale. Ha colpito i bambini, separati dai loro genitori vittime delle 'purghe' o condannati a morte in virtù di una legislazione penale che si faceva beffe della loro minore età.
Già nella primavera del 1918 incomincia il terrore aperto contro tutte le religioni, soprattutto contro la Chiesa ortodossa russa. Il suo iniziatore fu sempre Lenin. La sue azioni contro la religione e la Chiesa non possono non impressionare per la loro diabolica crudeltà e immoralità. Per aver rivolto un appello ai credenti a non partecipare alla dimostrazione per il Primo Maggio del 1918, che secondo il calendario giuliano cadeva al mercoledì della Settimana santa, incominciarono ad essere arrestati i membri del clero. A Vjatka, per esempio, furono arrestati 20 membri dell’Assemblea pastorale. Fu completamente distrutta la gerarchia della diocesi di Perm’.
Nella diocesi di Orenburg furono incarcerati più di 60 sacerdoti, di essi 15 furono fucilati. A Ekaterinburg nell’estate 1918 furono fucilati, uccisi a randellate o fatti annegare 47 membri del clero. Il metropolita di Pietroburgo, Veniamin, fu fatto morire assiderato, inondandolo d’acqua all’aperto con una temperatura gelida. Nel 1937 furono arrestati 136.900 membri del clero ortodosso, di essi 85.300 sono stati fucilati; nel 1938 ne furono arrestati 28.300, fucilati 21.500; nel 1939 arrestati 1.500, fucilati 900; nel 1940 arrestati 5.100, fucilati 1.100; nel 1941 arrestati 4.000, fucilati 1.900.
In tutte le città in cui si svolgevano arresti vennero allestiti dei campi di raccolta nei quali venivano inviati i bambini dopo l’arresto delle loro madri. I documenti dicono che al 4 agosto 1038 ai genitori colpiti da repressioni erano stati portati via 17.355 bambini e si prevedeva l’arresto di altri 5.000. Il 21 marzo 1939 Beria informava Molotov che «nei campi di lavoro correzionale presso le madri detenute si trovano 4.500 bambini di età pre-scolare che si propone di togliere alle madri. Ai bambini si propone di dare nuovi nomi, patronimici e cognomi». Il 7 aprile 1935 il governo dell’Urss approvò il decreto 'Misure di lotta contro la criminalità minorile'. In esso si legge: «I minori, incominciando dall’età di 12 anni, vengono processati penalmente con l’applicazione di tutte le misure di punizione penale». In molti luoghi venne posta la domanda se ciò comprendesse anche la pena di morte. Un rescritto del Politburo del 20 aprile 1935 confermò che «fra le misure di punizione per i minori rientra anche la pena di morte (fucilazione)».
Già nella primavera del 1918 incomincia il terrore aperto contro tutte le religioni, soprattutto contro la Chiesa ortodossa russa. Il suo iniziatore fu sempre Lenin. La sue azioni contro la religione e la Chiesa non possono non impressionare per la loro diabolica crudeltà e immoralità. Per aver rivolto un appello ai credenti a non partecipare alla dimostrazione per il Primo Maggio del 1918, che secondo il calendario giuliano cadeva al mercoledì della Settimana santa, incominciarono ad essere arrestati i membri del clero. A Vjatka, per esempio, furono arrestati 20 membri dell’Assemblea pastorale. Fu completamente distrutta la gerarchia della diocesi di Perm’.
Nella diocesi di Orenburg furono incarcerati più di 60 sacerdoti, di essi 15 furono fucilati. A Ekaterinburg nell’estate 1918 furono fucilati, uccisi a randellate o fatti annegare 47 membri del clero. Il metropolita di Pietroburgo, Veniamin, fu fatto morire assiderato, inondandolo d’acqua all’aperto con una temperatura gelida. Nel 1937 furono arrestati 136.900 membri del clero ortodosso, di essi 85.300 sono stati fucilati; nel 1938 ne furono arrestati 28.300, fucilati 21.500; nel 1939 arrestati 1.500, fucilati 900; nel 1940 arrestati 5.100, fucilati 1.100; nel 1941 arrestati 4.000, fucilati 1.900.
In tutte le città in cui si svolgevano arresti vennero allestiti dei campi di raccolta nei quali venivano inviati i bambini dopo l’arresto delle loro madri. I documenti dicono che al 4 agosto 1038 ai genitori colpiti da repressioni erano stati portati via 17.355 bambini e si prevedeva l’arresto di altri 5.000. Il 21 marzo 1939 Beria informava Molotov che «nei campi di lavoro correzionale presso le madri detenute si trovano 4.500 bambini di età pre-scolare che si propone di togliere alle madri. Ai bambini si propone di dare nuovi nomi, patronimici e cognomi». Il 7 aprile 1935 il governo dell’Urss approvò il decreto 'Misure di lotta contro la criminalità minorile'. In esso si legge: «I minori, incominciando dall’età di 12 anni, vengono processati penalmente con l’applicazione di tutte le misure di punizione penale». In molti luoghi venne posta la domanda se ciò comprendesse anche la pena di morte. Un rescritto del Politburo del 20 aprile 1935 confermò che «fra le misure di punizione per i minori rientra anche la pena di morte (fucilazione)».
Nel maggio 1941 l’Nkvd ordinò la creazione di una rete di agenti delatori nelle colonie di lavoro per adolescenti. I delatori dovevano essere iscritti al Partito comunista. Un notevole esempio di falsificazione delle accuse contro i minori è il processo contro il sedicenne Jurij Kamenev, fucilato con sentenza del Collegio militare il 30 aprile 1938. Si trattava del figlio di Lev Borisovich Kamenev, veterano della rivoluzione, fucilato per 'trotskismo' nel 1936.
Non avendo prove della sua colpevolezza, il Collegio militare nella sua sentenza scrisse: «J. Kamenev, trovandosi sotto l’influenza ideologica del padre, il nemico del popolo L. B. Kamenev, condivise le intenzioni terroristiche dell’organizzazione antisovietica trotskista: esasperato per le repressioni applicate a suo padre come nemico del popolo, Jurij Kamenev nel 1937, nella città di Gor’kij espresse fra gli studenti intenzioni terroristiche verso i dirigenti del partito comunista e del potere sovietico».
L’arbitrio del potere nelle condizioni di fame e generale rovina seguite alla Prima guerra mondiale si manifestò soprattutto contro i contadini. Presto, già a metà del 1918, incominciò l’attacco militare alle campagne. Ma l’inizio della vera tragedia fu il Plenum del Comitato Centrale del Partito comunista del novembre 1929 che prese la decisione di «intensificare la battaglia decisiva con i kulaki (contadini indipendenti, ndt) per sradicare il capitalismo nell’agricoltura». A metà novembre 1930 il Politburo decise di costituire una commissione speciale per elaborare le forme e i metodi della lotta contro i kulaki, a capo della quale venne posto Vjaceslav Molotov, membro della segreteria del partito. La commissione elaborò una direttiva che prevedeva: «La Gpu (polizia politica, ndt) si impegna a rinchiudere nei campi di concentramento approssimativamente 60.000 persone e a deportare i titolari di 150.000 proprietà agricole». Poco più tardi un dirigente della Gpu riferiva dalla regione degli Urali: «Deportati in tutto 32.000 individui, di cui: bambini fino a 12 anni – 15.000 individui, donne con lattanti o con bambini fino a 8 anni – circa 4.000 individui. Uomini – circa 8.500, di cui 1.000 inabili al lavoro».
Negli archivi vi sono non pochi documenti che raccontano come vivevano i deportati: «A causa dell’assenza di adeguata alimentazione, di controllo e di assistenza medica – dice uno di essi – la maggior parte dei deportati non è in grado di produrre la quantità richiesta di legname.
Perciò la direzione dei lavori forestali ha dato l’ordine di coinvolgere nella produzione tutti i deportati senza eccezione e senza distinzione di sesso ed età, stabilendo una 'norma' di produzione, per i bambini fino a 12 anni ed i vecchi, di 2-2,5 metri cubi di legname al giorno, mentre la norma media di lavorazione per gli adulti era stabilita in 3 metri cubi al giorno. Per questa ragione i deportati, per eseguire la 'norma', rimanevano al lavoro nei boschi anche per 24 ore di seguito, dove spesso congelavano, rimanevano assiderati o si ammalavano in massa».
(traduzione di Giovanni Bensi)
Non avendo prove della sua colpevolezza, il Collegio militare nella sua sentenza scrisse: «J. Kamenev, trovandosi sotto l’influenza ideologica del padre, il nemico del popolo L. B. Kamenev, condivise le intenzioni terroristiche dell’organizzazione antisovietica trotskista: esasperato per le repressioni applicate a suo padre come nemico del popolo, Jurij Kamenev nel 1937, nella città di Gor’kij espresse fra gli studenti intenzioni terroristiche verso i dirigenti del partito comunista e del potere sovietico».
L’arbitrio del potere nelle condizioni di fame e generale rovina seguite alla Prima guerra mondiale si manifestò soprattutto contro i contadini. Presto, già a metà del 1918, incominciò l’attacco militare alle campagne. Ma l’inizio della vera tragedia fu il Plenum del Comitato Centrale del Partito comunista del novembre 1929 che prese la decisione di «intensificare la battaglia decisiva con i kulaki (contadini indipendenti, ndt) per sradicare il capitalismo nell’agricoltura». A metà novembre 1930 il Politburo decise di costituire una commissione speciale per elaborare le forme e i metodi della lotta contro i kulaki, a capo della quale venne posto Vjaceslav Molotov, membro della segreteria del partito. La commissione elaborò una direttiva che prevedeva: «La Gpu (polizia politica, ndt) si impegna a rinchiudere nei campi di concentramento approssimativamente 60.000 persone e a deportare i titolari di 150.000 proprietà agricole». Poco più tardi un dirigente della Gpu riferiva dalla regione degli Urali: «Deportati in tutto 32.000 individui, di cui: bambini fino a 12 anni – 15.000 individui, donne con lattanti o con bambini fino a 8 anni – circa 4.000 individui. Uomini – circa 8.500, di cui 1.000 inabili al lavoro».
Negli archivi vi sono non pochi documenti che raccontano come vivevano i deportati: «A causa dell’assenza di adeguata alimentazione, di controllo e di assistenza medica – dice uno di essi – la maggior parte dei deportati non è in grado di produrre la quantità richiesta di legname.
Perciò la direzione dei lavori forestali ha dato l’ordine di coinvolgere nella produzione tutti i deportati senza eccezione e senza distinzione di sesso ed età, stabilendo una 'norma' di produzione, per i bambini fino a 12 anni ed i vecchi, di 2-2,5 metri cubi di legname al giorno, mentre la norma media di lavorazione per gli adulti era stabilita in 3 metri cubi al giorno. Per questa ragione i deportati, per eseguire la 'norma', rimanevano al lavoro nei boschi anche per 24 ore di seguito, dove spesso congelavano, rimanevano assiderati o si ammalavano in massa».
(traduzione di Giovanni Bensi)
I minori, incominciando dall’età di 12 anni, vennero processati penalmente con l’applicazione di tutte le misure di punizione penale. In molti luoghi venne posta la domanda se ciò comprendesse anche la pena di morte. Un rescritto del Politburo del 20 aprile 1935 confermò che «fra le misure di punizione per i minori rientra anche la pena di morte (fucilazione)»
RITROVAMENTI
Pubblicate le foto dei detenuti
Materiali inediti, frutto di un ventennale lavoro di ricerca sono stati pubblicati nel nuovo numero della rivista La Nuova Europa. Lidija Golovkova (Università Ortodossa Umanistica di Mosca), e un gruppo di studiosi di associazioni come «Memorial», stanno portando avanti un progetto per identificare le vittime delle deportazioni, stabilire in quali fosse comuni riposano e ricostruirne le vicende personali.
Molti luoghi, così come molte fosse comuni, che erano stati poi dimenticati o volutamente cancellati, tornano alla luce e ne conosciamo nome e dati (Butovo, Kommunarka, Suchanovka). Tra le verità finora emerse, ha spiegato la ricercatrice russa, è che «il terrore non è da addebitare esclusivamente a Stalin, ma è nato con la stessa Rivoluzione»: i primi campi di concentramento furono aperti a Mosca nel 1918, nei monasteri di san Giovanni, di Andronico e del Salvatore Nuovo. Tra il 1918 e il 1922, sempre a Mosca, furono organizzati 11 lager di vario tipo.
L’intervento della Golovka è accompagnato da immagini impressionanti: prigioni di Mosca sconosciute agli stessi moscoviti, elenchi di nomi dattiloscritti, volti degli aguzzini. «Abbiamo raccolto gli incartamenti relativi a 30mila sacerdoti perseguitati dal potere sovietico. Guardando le loro foto segnaletiche, terribili eppure bellissime, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a icone di moderni martiri».
LE DATE
1918. Primi decreti sui «campi di concentramento».
1919. La Ceka ha il diritto di internare i nemici della rivoluzione.
1923. Le isole Solovki sono poste sotto l’autorità della polizia politica.
1930. Creazione della direzione generale dei campi di concentramento (Gulag).
1931. Primo cantiere modello: il canale del Mar Bianco.
1932-1935. Moltiplicazione dei giganteschi campi cantieri.
1941. Invio dei detenuti al fronte.
1948. Creazione dei campi «speciali» per personalità politiche.
1953. Morte di Stalin, seguita da una grande amnistia.
1953-1954. Grandi rivolte nei campi di Norilsk e della Vorkuta.
1960. Chiusura dei Gulag.
«Avvenire» del 9 marzo 2008
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