Risposta a una polemica intentata da Giulio Giorello
di Francesco D’Agostino
Come si declina la libertà? Come distinguere i 'liberali' dai 'libertari'? Belle e difficili domande. Giulio Giorello, nel reagire ironicamente all’articolo che ho pubblicato su 'Avvenire' lo scorso 24 febbraio (vedi il 'Magazine' del 'Corriere della Sera' del 6 marzo), sembra non avere dubbi: liberali e libertari sono a pari titolo critici delle istituzioni, ma i primi mirano solo a riformarle, i secondi a dissolverle. Con un pizzico di buon senso, lo stesso Giorello aggiunge che anche così la questione resta aperta, perché spesso ciò che distingue liberali e libertari è solo questione di grado… Non sono affatto d’accordo: la distinzione di Giorello non riesce a cogliere il diverso orientamento antropologico di due prospettive che, pur assumendo all’inizio orizzonti di riferimento tutto sommato omogenei, a un certo punto si allontanano radicalmente l’una dall’altra. E tra queste due prospettive bisogna alla fine scegliere, sapendo che sono incompatibili. Vediamo perché.
È proprio dell’idea liberale (pienamente condivisa anche dalle ideologie libertarie) quella secondo la quale l’esercizio della libertà, se non si traduce in un danno oggettivo a carico di altri soggetti, va rigorosamente rispettato dallo Stato. I liberali sono accaniti nemici dello 'Stato etico': con questa espressione essi indicano quello Stato che attraverso la sua legislazione pretende di orientare coercitivamente la libertà dei cittadini e per ciò giunge a soffocarla. Lo Stato, secondo i liberali (che qui si manifestano come i veri eredi della tradizione politica cristiana), non è e non deve mai pretendere di diventare la 'fonte' di alcun valore, né etico, né politico, né sociale. Di qui l’auspicio, tipico della più estrema tra le diverse 'correnti' interne del liberalismo, a che lo Stato riduca al 'minimo' le sue competenze e le sue prerogative e si limiti a garantire esclusivamente l’ ordine pubblico. Tutto il resto deve, per i liberali, restare di competenza della società civile, che ha il diritto di organizzarsi senza alcun vincolo e senza alcuna pastoia burocratica.
Fin qui, ripeto, tutti d’accordo: viva la libertà, purché non interferisca (e meno che mai violentemente) con quella degli altri. Dove nasce allora il disaccordo tra liberali e libertari? Nasce da questo: i primi non sono relativisti, i secondi sì. I liberali ritengono che lo Stato, che pure non può mai esserne fonte, abbia però il dovere di riconoscere i valori umani fondamentali. Per i libertari invece i valori o non esistono o comunque si equivalgono tutti (il che equivale a pensare che in realtà non esistano affatto). I liberali ritengono che non si debbano sanzionare penalmente nemmeno gli stili di vita più aberranti (purché innocui!), ma ritengono che essi possano e all’occasione debbano essere socialmente criticati e contrastati. Per i libertari invece 'va tutto bene': per chi è musicalmente stonato la musica di Mozart vale quanto quella di chi si inventa un motivetto e lo fischia per la strada.
Troppo forzata questa distinzione? Non direi. Lo Stato liberale non ci obbliga a lavorare, ma elogia il valore sociale del lavoro. Non ci impone se non una istruzione elementare di base, ma favorisce l’istruzione superiore. Non esige che i cittadini leggano i giornali, ma ne agevola la diffusione. Arriva a rispettare la libera scelta di chi rifiuti consapevolmente una terapia salvavita, ma sente il dovere di garantire a tutti un’assistenza sanitaria. Lo Stato liberale, insomma, cerca di intercettare bisogni umani reali e profondi e di soddisfarli, quando li riconosce dotati di valore oggettivo. Quando, viceversa, li percepisce come carenti di valore, cerca di contrastarli, pur non adottando, se non in casi estremi, politiche repressive.
Per un libertario coerente, che dovrebbe sostenere la neutralità delle politiche statali nei confronti di qualunque stile di vita (ma esistono libertari coerenti?), è pressoché impossibile giustificare queste forme di impegno pubblico. Ecco perché la distinzione tra liberali e libertari è di estremo rilievo: essa corrisponde, né più né meno, che a quella tra un’indifferenza che produce solo disordine sociale e un impegno che cerca di massimizzare il bene della società civile.
È proprio dell’idea liberale (pienamente condivisa anche dalle ideologie libertarie) quella secondo la quale l’esercizio della libertà, se non si traduce in un danno oggettivo a carico di altri soggetti, va rigorosamente rispettato dallo Stato. I liberali sono accaniti nemici dello 'Stato etico': con questa espressione essi indicano quello Stato che attraverso la sua legislazione pretende di orientare coercitivamente la libertà dei cittadini e per ciò giunge a soffocarla. Lo Stato, secondo i liberali (che qui si manifestano come i veri eredi della tradizione politica cristiana), non è e non deve mai pretendere di diventare la 'fonte' di alcun valore, né etico, né politico, né sociale. Di qui l’auspicio, tipico della più estrema tra le diverse 'correnti' interne del liberalismo, a che lo Stato riduca al 'minimo' le sue competenze e le sue prerogative e si limiti a garantire esclusivamente l’ ordine pubblico. Tutto il resto deve, per i liberali, restare di competenza della società civile, che ha il diritto di organizzarsi senza alcun vincolo e senza alcuna pastoia burocratica.
Fin qui, ripeto, tutti d’accordo: viva la libertà, purché non interferisca (e meno che mai violentemente) con quella degli altri. Dove nasce allora il disaccordo tra liberali e libertari? Nasce da questo: i primi non sono relativisti, i secondi sì. I liberali ritengono che lo Stato, che pure non può mai esserne fonte, abbia però il dovere di riconoscere i valori umani fondamentali. Per i libertari invece i valori o non esistono o comunque si equivalgono tutti (il che equivale a pensare che in realtà non esistano affatto). I liberali ritengono che non si debbano sanzionare penalmente nemmeno gli stili di vita più aberranti (purché innocui!), ma ritengono che essi possano e all’occasione debbano essere socialmente criticati e contrastati. Per i libertari invece 'va tutto bene': per chi è musicalmente stonato la musica di Mozart vale quanto quella di chi si inventa un motivetto e lo fischia per la strada.
Troppo forzata questa distinzione? Non direi. Lo Stato liberale non ci obbliga a lavorare, ma elogia il valore sociale del lavoro. Non ci impone se non una istruzione elementare di base, ma favorisce l’istruzione superiore. Non esige che i cittadini leggano i giornali, ma ne agevola la diffusione. Arriva a rispettare la libera scelta di chi rifiuti consapevolmente una terapia salvavita, ma sente il dovere di garantire a tutti un’assistenza sanitaria. Lo Stato liberale, insomma, cerca di intercettare bisogni umani reali e profondi e di soddisfarli, quando li riconosce dotati di valore oggettivo. Quando, viceversa, li percepisce come carenti di valore, cerca di contrastarli, pur non adottando, se non in casi estremi, politiche repressive.
Per un libertario coerente, che dovrebbe sostenere la neutralità delle politiche statali nei confronti di qualunque stile di vita (ma esistono libertari coerenti?), è pressoché impossibile giustificare queste forme di impegno pubblico. Ecco perché la distinzione tra liberali e libertari è di estremo rilievo: essa corrisponde, né più né meno, che a quella tra un’indifferenza che produce solo disordine sociale e un impegno che cerca di massimizzare il bene della società civile.
«Avvenire» del 9 marzo 2008
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