Yves Coppens
di Roberto Beretta
Prima religiosus, dopo – solo dopo – sapiens. I «laici» si mettano pure seduti: l’uomo è nato con l’istinto del sacro e niente lo potrà cambiare, almeno fino al prossimo livello dell’evoluzione... Parola del francese Yves Coppens, 77 anni, uno dei maggiori paleoantropologi del mondo: lo scopritore di «Lucy», per dirlo in una parola, cioè lo scheletro dell’ominide più antico finora conosciuto. Oggi a Milano Coppens – di cui Jaca Book pubblica come strenna La preistoria dell’uomo, composito e illustrato cofanetto dedicato ai piccoli lettori – partecipa alla Cattolica al seminario internazionale «Il Vento, lo Spirito, il Fantasma», organizzato dall’Archivio «Julien Ries» per l’antropologia simbolica; titolo della sua relazione: «Non c’è uomo senza simbolo».
Professor Coppens: è nato prima l’uomo o prima il simbolo?
«Sono nati contemporaneamente. Non si può pensare che il simbolo sia arrivato dopo l’uomo; e d’altra parte l’uomo è fin da subito un essere simbolico».
Ci spieghi allora com’è avvenuto.
«Nell’evoluzione dell’uomo si riconoscono tre fasi successive. La prima, 70 milioni di anni or sono, avviene con la visione frontale (prima gli occhi erano laterali), che offre la profondità delle tre dimensioni e la percezione dei colori. Il secondo stadio – siamo a 10 milioni di anni fa – arriva con la posizione eretta, quando l’antenato dell’uomo innalza per la prima volta lo sguardo all’orizzonte e al cielo. La terza tappa si verifica circa 3 milioni di anni fa, in seguito a un violento cambiamento climatico che modifica radicalmente il volto della Terra nel senso di un ambiente molto più secco e con la scomparsa delle foreste a vantaggio di savane e steppe; per superare questa difficoltà materiale alla sopravvivenza, gli animali fanno crescere i denti (che servono a brucare meglio l’erba) mentre il cervello degli ominidi supera una soglia di complessità che lo porta a un livello quantitativo e qualitativo superiore. Il pre-umano si trasforma nell’umano».
E il simbolo?
«Viene di conseguenza. L’australopiteco Lucy usava le pietre per quello che erano; ma quando l’uomo – per vincere il cambiamento climatico – sviluppa la testa, prende due sassi e col secondo modifica la forma del primo. Nasce l’idea. C’è un progetto che riguarda il futuro. Ecco: il primo oggetto fabbricato dall’uomo è già un simbolo sacro. D’altronde, quando vedo i popoli nativi ed osservo che i loro gesti sono tutti rituali, non posso pensare che non sia successo lo stesso con l’uomo primitivo».
Dunque la prima idea è nata insieme al senso del sacro?
«Sì. La percezione della forma è già la comprensione di qualcosa di sacro».
Lucy invece non poteva avere simboli, e dunque nemmeno un senso religioso...
«No, non credo. Nel corso del tempo la modificazione di alcuni dati fisici ha permesso l’emergere dell’homo religiosus».
Un’affermazione che ha notevoli corollari. Per esempio: il pensiero dev’essere per forza «sacro»?
«Certo. Il cambiamento progressivo che ha permesso all’uomo di sviluppare delle idee, gli ha fornito anche la possibilità di percepire qualcosa d’altro: l’avvenire, il passato. Uno sguardo sull’infinito e insieme dentro di sé».
I «laici» non ci resteranno bene...
«Non credo che esista davvero una reale laicità se non come un’altra maniera di pensare il sacro. L’uomo è irrimediabilmente simbolico, almeno in questo stadio dell’evoluzione; e in questo non vedo differenza d’essenza tra il primo uomo e noi, se non nel progresso e nell’affinamento del pensiero».
Azzardiamo un po’: è in quell’istante di passaggio tra l’ominide e l’uomo che si può collocare, in una prospettiva evoluzionista cristiana, l’istante della creazione?
«Questo devono dirlo i teologi, non è il mio mestiere. Io mi limito a osservare i dati sul campo e a constatare il momento di passaggio di una soglia. Certo qualcosa in quel momento è successo: l’uomo non è stato più il pre-uomo che era prima. Non so se questo sia l’attimo della creazione, però una volta ricordo di aver sconcertato il cardinale Jean-Marie Lustiger, il defunto arcivescovo di Parigi, affermando: "Più le cose si spiegano in modo naturale, meglio è per il soprannaturale!"...».
Oggi lei esaminerà dal punto di vista del paleoantropologo il simbolo del vento, dello spirito: un segno importantissimo in tutte le religioni. Che cosa dirà?
«Il vento per l’uomo primitivo è come il cielo: un fenomeno che rappresenta qualcosa che proviene da un altro mondo. Inoltre parla, soffia, urla... È il segnale di una presenza. Fa paura ma è anche un compagno. In modi diversi, insomma, è una presenza insieme inquietante e confortante, una minaccia e una carezza. È l’inferno e il paradiso».
Professor Coppens: è nato prima l’uomo o prima il simbolo?
«Sono nati contemporaneamente. Non si può pensare che il simbolo sia arrivato dopo l’uomo; e d’altra parte l’uomo è fin da subito un essere simbolico».
Ci spieghi allora com’è avvenuto.
«Nell’evoluzione dell’uomo si riconoscono tre fasi successive. La prima, 70 milioni di anni or sono, avviene con la visione frontale (prima gli occhi erano laterali), che offre la profondità delle tre dimensioni e la percezione dei colori. Il secondo stadio – siamo a 10 milioni di anni fa – arriva con la posizione eretta, quando l’antenato dell’uomo innalza per la prima volta lo sguardo all’orizzonte e al cielo. La terza tappa si verifica circa 3 milioni di anni fa, in seguito a un violento cambiamento climatico che modifica radicalmente il volto della Terra nel senso di un ambiente molto più secco e con la scomparsa delle foreste a vantaggio di savane e steppe; per superare questa difficoltà materiale alla sopravvivenza, gli animali fanno crescere i denti (che servono a brucare meglio l’erba) mentre il cervello degli ominidi supera una soglia di complessità che lo porta a un livello quantitativo e qualitativo superiore. Il pre-umano si trasforma nell’umano».
E il simbolo?
«Viene di conseguenza. L’australopiteco Lucy usava le pietre per quello che erano; ma quando l’uomo – per vincere il cambiamento climatico – sviluppa la testa, prende due sassi e col secondo modifica la forma del primo. Nasce l’idea. C’è un progetto che riguarda il futuro. Ecco: il primo oggetto fabbricato dall’uomo è già un simbolo sacro. D’altronde, quando vedo i popoli nativi ed osservo che i loro gesti sono tutti rituali, non posso pensare che non sia successo lo stesso con l’uomo primitivo».
Dunque la prima idea è nata insieme al senso del sacro?
«Sì. La percezione della forma è già la comprensione di qualcosa di sacro».
Lucy invece non poteva avere simboli, e dunque nemmeno un senso religioso...
«No, non credo. Nel corso del tempo la modificazione di alcuni dati fisici ha permesso l’emergere dell’homo religiosus».
Un’affermazione che ha notevoli corollari. Per esempio: il pensiero dev’essere per forza «sacro»?
«Certo. Il cambiamento progressivo che ha permesso all’uomo di sviluppare delle idee, gli ha fornito anche la possibilità di percepire qualcosa d’altro: l’avvenire, il passato. Uno sguardo sull’infinito e insieme dentro di sé».
I «laici» non ci resteranno bene...
«Non credo che esista davvero una reale laicità se non come un’altra maniera di pensare il sacro. L’uomo è irrimediabilmente simbolico, almeno in questo stadio dell’evoluzione; e in questo non vedo differenza d’essenza tra il primo uomo e noi, se non nel progresso e nell’affinamento del pensiero».
Azzardiamo un po’: è in quell’istante di passaggio tra l’ominide e l’uomo che si può collocare, in una prospettiva evoluzionista cristiana, l’istante della creazione?
«Questo devono dirlo i teologi, non è il mio mestiere. Io mi limito a osservare i dati sul campo e a constatare il momento di passaggio di una soglia. Certo qualcosa in quel momento è successo: l’uomo non è stato più il pre-uomo che era prima. Non so se questo sia l’attimo della creazione, però una volta ricordo di aver sconcertato il cardinale Jean-Marie Lustiger, il defunto arcivescovo di Parigi, affermando: "Più le cose si spiegano in modo naturale, meglio è per il soprannaturale!"...».
Oggi lei esaminerà dal punto di vista del paleoantropologo il simbolo del vento, dello spirito: un segno importantissimo in tutte le religioni. Che cosa dirà?
«Il vento per l’uomo primitivo è come il cielo: un fenomeno che rappresenta qualcosa che proviene da un altro mondo. Inoltre parla, soffia, urla... È il segnale di una presenza. Fa paura ma è anche un compagno. In modi diversi, insomma, è una presenza insieme inquietante e confortante, una minaccia e una carezza. È l’inferno e il paradiso».
«Avvenire» del 15 novembre 2011
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