Liberali, cattolici, federalisti, progressisti: tutti attingono all’epoca dei Comuni, sfruttandone simboli e cultura
di Matteo Sacchi
Ma che anno è, politicamente parlando? I nazionalisti baschi arrivano nel parlamento spagnolo a reclamare indipendenza in una lingua che non è nemmeno indoeuropea. In Italia e nel mondo si è a lungo discusso di Robin Hood Tax (piaceva a Giulio Tremonti). Quando si ragiona di Europa la discussione è tutta sulle radici, e non manca mai chi rimpianga l’Impero e Carlo Magno. Se l’Occidente non sta iniziando una crociata verso l’Islam di sicuro c’è chi, nel mondo musulmano, proclama la guerra santa. Mentre i buonisti che lo scontro di civiltà non lo vogliono relativizzano, tornando al diritto delle genti, allo Ius commune e alla Shari’a, fregandosene bellamente della visione assoluta dei diritti dell’uomo figlia dell’illuminismo. Ovviamente senza contare i dotti professori (dai liberali ai cattolici stile Paolo Prodi) che elogiano il Medioevo del diritto, e dicono che alla fine il vero mostro è lo Stato che si impossessa di tutto. E sin qui abbiamo elencato solo cose serie: ci sono quelli che vogliono coltivare tutto biologico come se fossimo nel XIII secolo, quelli che scappano nei boschi degli Appennini a vivere come gli elfi, i geometri con lo spadone in stile leghista, quelli che elogiano le virtù terapeutiche delle pietre come nei lapidari e nei bestiari d’antan, quelli che il medioevo è l’apocalisse di domani e stanno già mettendo via i proiettili di scorta per la carabina ...
Ecco è proprio di questo sfasamento temporale, in cui l’Età di Mezzo diventa un mito da tirare per la cotta di maglia sino a plasmarla per supportare qualsiasi scelta politica o moda sociologica, che si occupa Tommaso di Carpegna Falconieri nel suo saggio Medioevo militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati (Einaudi, pagg. 344, euro 19). E che questa «Età barbara» buona per tutte le stagioni non abbia molto a che fare con la realtà storica Di Carpegna Falconieri, che è medievista di razza (Il clero di Roma nel medioevo, Cola di Rienzo, L’Uomo che si credeva il re di Francia), lo sa benissimo. Però a volte le distorsioni ideologiche sono più importanti dei fatti. Non ci diranno granché sul passato ma ci dicono molto sull’oggi.
Intanto Di Carpegna Falconieri smonta subito un luogo comune: il medioevo di Destra e la Sinistra, al contrario, lanciata verso le sorti magnifiche e progressive figlie di Voltaire&Co. Se la destra è fantasy senza vergogna, la sinistra lo è in maniera meno evidente ma assai profonda. Soprattutto quando si tratta di scrittori e intellettuali. Qualche esempio? A Woodstock Joan Baez cantava davanti ai figli dei fiori Sweet Sir Galahad, Francesco Guccini parlando di Praga va subito a pescare Jan Hus e Dario Fo si è costruito un medioevo tutto suo. Non parliamo poi di Umberto Eco. E in America perché Obama è buono? Perché è «Obama Hood». Ed è proprio sul bandito di Sherwood (la rossissima Radio Sherwood ve la ricordate?) che si registrano le maggiori convergenze/divergenze tra destra e sinistra. Il bandito è un eroe che piace a tutti ma a sinistra è un campione del popolo (conquista con quel suo rubare ai ricchi e dare ai poveri), a destra un legittimista che si batte per restaurare il potere buono della corona contro Giovanni l’usurpatore. Abbastanza per scatenare la discussione storiografica su un’uomo che forse non è esistito... I cattolici? Beh, loro hanno Frate Tuc che va bene per ogni stato. E via così tra il Ku Klux Klan che esalta i templari e i sindacalisti che fanno dei Ciompi i primi eroi del proletariato. Non parliamo poi di guelfi e ghibellini... Vi sembra un dedalo simbolico inestricabile? Un po’ davvero è così. Lo stesso Di Carpegna Falconieri scrive: «Quando ho intrapreso questo lavoro avevo le idee più chiare di quando l’ho terminato». L’unico fatto certo e incontrovertibile è che il medievalismo è «un contenitore di dimensioni talmente ampie che ciascuno di noi se lo ritrova davanti continuamente».
Quanto al perché: una risposta ci arriva da un altro studioso del ramo Massimo Arcangeli (autore de Il Medioevo alle porte) chiacchierando sul libro di Carpegna Falconieri ci dice: «Siamo tornati al Medioevo perché il politicamente corretto che è l’ultimo cascame del neo illuminismo ha smosciato tutto. Si è trasformato in una dittatura reazionaria e quindi una certa idea di Medioevo è la ovvia risposta. Si recupera la contaminazione, l’irrazionale, il mito, ci si reimpossessa della parte oscura, sporca anche... Comunque di quella parte che non è schiava di una logica univoca e manichea...». Insomma, che si rivaluti il maso chiuso o i cantoni svizzeri e il loro federalismo alla fine il medievismo diventa uno spazio libero in cui reinventare la politica, un po’ come faceva Raymond Queneau con il Duca d’Auge, giocando con le parole e con i sogni.
Ecco è proprio di questo sfasamento temporale, in cui l’Età di Mezzo diventa un mito da tirare per la cotta di maglia sino a plasmarla per supportare qualsiasi scelta politica o moda sociologica, che si occupa Tommaso di Carpegna Falconieri nel suo saggio Medioevo militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati (Einaudi, pagg. 344, euro 19). E che questa «Età barbara» buona per tutte le stagioni non abbia molto a che fare con la realtà storica Di Carpegna Falconieri, che è medievista di razza (Il clero di Roma nel medioevo, Cola di Rienzo, L’Uomo che si credeva il re di Francia), lo sa benissimo. Però a volte le distorsioni ideologiche sono più importanti dei fatti. Non ci diranno granché sul passato ma ci dicono molto sull’oggi.
Intanto Di Carpegna Falconieri smonta subito un luogo comune: il medioevo di Destra e la Sinistra, al contrario, lanciata verso le sorti magnifiche e progressive figlie di Voltaire&Co. Se la destra è fantasy senza vergogna, la sinistra lo è in maniera meno evidente ma assai profonda. Soprattutto quando si tratta di scrittori e intellettuali. Qualche esempio? A Woodstock Joan Baez cantava davanti ai figli dei fiori Sweet Sir Galahad, Francesco Guccini parlando di Praga va subito a pescare Jan Hus e Dario Fo si è costruito un medioevo tutto suo. Non parliamo poi di Umberto Eco. E in America perché Obama è buono? Perché è «Obama Hood». Ed è proprio sul bandito di Sherwood (la rossissima Radio Sherwood ve la ricordate?) che si registrano le maggiori convergenze/divergenze tra destra e sinistra. Il bandito è un eroe che piace a tutti ma a sinistra è un campione del popolo (conquista con quel suo rubare ai ricchi e dare ai poveri), a destra un legittimista che si batte per restaurare il potere buono della corona contro Giovanni l’usurpatore. Abbastanza per scatenare la discussione storiografica su un’uomo che forse non è esistito... I cattolici? Beh, loro hanno Frate Tuc che va bene per ogni stato. E via così tra il Ku Klux Klan che esalta i templari e i sindacalisti che fanno dei Ciompi i primi eroi del proletariato. Non parliamo poi di guelfi e ghibellini... Vi sembra un dedalo simbolico inestricabile? Un po’ davvero è così. Lo stesso Di Carpegna Falconieri scrive: «Quando ho intrapreso questo lavoro avevo le idee più chiare di quando l’ho terminato». L’unico fatto certo e incontrovertibile è che il medievalismo è «un contenitore di dimensioni talmente ampie che ciascuno di noi se lo ritrova davanti continuamente».
Quanto al perché: una risposta ci arriva da un altro studioso del ramo Massimo Arcangeli (autore de Il Medioevo alle porte) chiacchierando sul libro di Carpegna Falconieri ci dice: «Siamo tornati al Medioevo perché il politicamente corretto che è l’ultimo cascame del neo illuminismo ha smosciato tutto. Si è trasformato in una dittatura reazionaria e quindi una certa idea di Medioevo è la ovvia risposta. Si recupera la contaminazione, l’irrazionale, il mito, ci si reimpossessa della parte oscura, sporca anche... Comunque di quella parte che non è schiava di una logica univoca e manichea...». Insomma, che si rivaluti il maso chiuso o i cantoni svizzeri e il loro federalismo alla fine il medievismo diventa uno spazio libero in cui reinventare la politica, un po’ come faceva Raymond Queneau con il Duca d’Auge, giocando con le parole e con i sogni.
«Il Giornale» del 23 novembre 2011
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