Il dibattito su cosa legittima il potere. Da Heidegger a Prezzolini, ecco la destra (e non solo) che ha rivendicato il primato della politica
di Gennaro Sangiuliano
Max Weber, celebrato e riconosciuto fondatore della sociologia moderna, pur avendo forgiato la nozione di pubblica amministrazione in Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland pone il tema del controllo politico della burocrazia auspicando la formazione di un tipo di uomo politico che fosse in grado di subordinare l’apparato burocratico alla direzione politica. La vera democrazia - per Weber - non è quella dei burocrati irresponsabili e privi di un mandato popolare e, infatti, scrive: «Il monarca crede di governare da sé, mentre in realtà la burocrazia gode del privilegio di poter comandare, coperta da lui, senza controllo e senza responsabilità. Il monarca viene lusingato e gli viene mostrata l'apparenza romantica del potere, poiché egli può cambiare a propria discrezione la persona del ministro».
«Sovrano è chi decide nello Stato di eccezione». Partendo da questa sua affermazione, Carl Schmitt ritiene che un’autentica democrazia debba fondarsi sull’omogeneità di un popolo, dove la politica è in primo luogo un «sistema metafisico» che porta le idee dei cittadini al potere. Così si esprime ne Il custode della costituzione (1931) e in Legalità e legittimità (1932).
C’è una lunga linea di pensiero, radicata soprattutto nella filosofia del diritto, che pone in seria discussione la tecnocrazia e per essa l’affermarsi di poteri invisibili che non sono radicati in quelle che Rousseau e Sieyes definiscono «volontà generale» e «volontà della nazione». Del resto l’articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, afferma: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa». Thomas Mann, che pure si esercita nelle Considerazioni di un impolitico, mette in guardia dalla carica antipolitica che genera disgregazione dell’autorità nazionale, non lontano dallo Schmitt di Diktatur und Belagerungszustand e da quanto affermerà Jürgen Habermas.
Giuseppe Prezzolini, ebbe chiari i potenziali pericoli della tecnocrazia europea. Nel 1979 quando si svolsero le prime elezioni a suffragio diretto per il Parlamento europeo commentò caustico: «Concludo che se io dovessi o volessi e potessi votare pro o contro l’Europa unita, io, che pure o più di un diritto di chiamarmi “europeo”, voterei contro un’Europa fatta così artificialmente e superficialmente come è stata concepita da coloro che l’hanno ideata con la testa riempita di nuvolosi teorici».
Qualcuno pensa di poter concepire una democrazia «agnostica», basata su regole astratte e formali. Il tema è quello della contrapposizione fra una democrazia formale e una sostanziale, incline alla partecipazione viva del popolo e sensibile alle tradizioni culturali. Martin Heidegger offre un solido retroterra filosofico a questa «democrazia dell’essere» quando richiama il comando (Führung); il popolo (Volk); l’eredità (Erbe); la comunità dei seguaci (Gefolgschaft); il radicamento alla propria terra (Bodenständigkeit).
La comunità politica che costruiamo non può non tener conto del «primato ontologico del problema dell’essere», in altre parole: di ciò che noi siamo per tradizione. Augusto Del Noce in un suo celebre saggio coniò il termine «transpolitico» per indicare una dimensione profonda che sedimenta nella coscienza dei popoli. Sulla stessa linea Oswald Spengler che, per primo, nel Tramonto dell'Occidente sottolinea la decadenza dell’uomo europeo, perso alla ricerca di un universalismo indefinito, basato su regole astratte. Sempre Spengler propone quindi una critica serrata alla tecnocrazia (che è «l’opposto della vita») alla quale contrapporre un’idea tradizionale di Europa culla della cultura occidentale.
Se è vero che molti tecnocrati si vestono da uomini di cultura - e qualche volta lo sono - bisogna osservare che la cultura profonda ha radicato in secoli di riflessione e speculazione la centralità del popolo e della sua di volontà di governo della res publica.
«Sovrano è chi decide nello Stato di eccezione». Partendo da questa sua affermazione, Carl Schmitt ritiene che un’autentica democrazia debba fondarsi sull’omogeneità di un popolo, dove la politica è in primo luogo un «sistema metafisico» che porta le idee dei cittadini al potere. Così si esprime ne Il custode della costituzione (1931) e in Legalità e legittimità (1932).
C’è una lunga linea di pensiero, radicata soprattutto nella filosofia del diritto, che pone in seria discussione la tecnocrazia e per essa l’affermarsi di poteri invisibili che non sono radicati in quelle che Rousseau e Sieyes definiscono «volontà generale» e «volontà della nazione». Del resto l’articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, afferma: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa». Thomas Mann, che pure si esercita nelle Considerazioni di un impolitico, mette in guardia dalla carica antipolitica che genera disgregazione dell’autorità nazionale, non lontano dallo Schmitt di Diktatur und Belagerungszustand e da quanto affermerà Jürgen Habermas.
Giuseppe Prezzolini, ebbe chiari i potenziali pericoli della tecnocrazia europea. Nel 1979 quando si svolsero le prime elezioni a suffragio diretto per il Parlamento europeo commentò caustico: «Concludo che se io dovessi o volessi e potessi votare pro o contro l’Europa unita, io, che pure o più di un diritto di chiamarmi “europeo”, voterei contro un’Europa fatta così artificialmente e superficialmente come è stata concepita da coloro che l’hanno ideata con la testa riempita di nuvolosi teorici».
Qualcuno pensa di poter concepire una democrazia «agnostica», basata su regole astratte e formali. Il tema è quello della contrapposizione fra una democrazia formale e una sostanziale, incline alla partecipazione viva del popolo e sensibile alle tradizioni culturali. Martin Heidegger offre un solido retroterra filosofico a questa «democrazia dell’essere» quando richiama il comando (Führung); il popolo (Volk); l’eredità (Erbe); la comunità dei seguaci (Gefolgschaft); il radicamento alla propria terra (Bodenständigkeit).
La comunità politica che costruiamo non può non tener conto del «primato ontologico del problema dell’essere», in altre parole: di ciò che noi siamo per tradizione. Augusto Del Noce in un suo celebre saggio coniò il termine «transpolitico» per indicare una dimensione profonda che sedimenta nella coscienza dei popoli. Sulla stessa linea Oswald Spengler che, per primo, nel Tramonto dell'Occidente sottolinea la decadenza dell’uomo europeo, perso alla ricerca di un universalismo indefinito, basato su regole astratte. Sempre Spengler propone quindi una critica serrata alla tecnocrazia (che è «l’opposto della vita») alla quale contrapporre un’idea tradizionale di Europa culla della cultura occidentale.
Se è vero che molti tecnocrati si vestono da uomini di cultura - e qualche volta lo sono - bisogna osservare che la cultura profonda ha radicato in secoli di riflessione e speculazione la centralità del popolo e della sua di volontà di governo della res publica.
«Il Giornale» del 20 novembre 2011
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