di Pierangelo Sequeri
La denuncia del degrado antropologico indotto dai modelli culturali della società dei consumi e dello spettacolo è pressoché unanime. L’inerzia propositiva, però, è altrettanto generalizzata. Il sistema dominante del conformismo critico, d’altra parte, è occhiuto e minaccioso. Guai a chi è colto nel flagrante delitto di invocare forze proporzionate di reazione agli eccessi e di sviluppare forme di negazione determinata dei loro presupposti sistemici. La città brucia e impieghiamo la maggior parte del tempo a spiegarci tra noi. In ogni caso, siamo ormai in regime di dialogo permanente da un bel po’, ma l’accanimento delle parti per la pura difesa del diritto di stare in scena si aggrava ogni giorno. Devoti ossessivi e sbeffeggiatori impudenti ricavano energie parassitarie dalla nostra radiazione malinconica di fondo, che ormai si diffonde globalmente. E le investono su opposti estremismi, in nome della fede o della ragione, confondendo molti.
In un mondo che perde logos, la reazione a catena del polemos (della guerra, della violenza, dell’aggressività di tutti contro tutti) guadagna terreno e si fa incontrollabile. In un mondo che rimane senza l’audace e creativa testimonianza dell’umanesimo cristologico, il politeismo degli dèi razzisti e corporativi occupa la scena. Il tentativo di annichilire il cristianesimo lavora certamente per il nichilismo, dovunque accada. Lo svuotamento dell’incarnazione di Dio fa regredire la religione e l’ominizzazione: indisgiungibilmente. Per questo, noi per primi ci dobbiamo purificare col fuoco, pur di restituire all’Evangelo il suo onore. Non solo la sua verità. L’Occidente, del resto, ha covato a lungo il suo uovo di serpente. Puntuale, arriva la sua moria dei primogeniti. Infine, c’è del lavoro urgente da fare: riguarda beni di prima necessità per l’ominizzazione, che il mercato ha dismesso. Chi ha qualcosa da dare, e voglia di lavorare per il riscatto della generazione, a qualsiasi popolo appartenga, sarà bene accetto.
La ripresa di iniziativa culturale del cristianesimo chiede, dal canto suo, disincanto del mondo, cultura impeccabile, passione per la cosa. Non siamo nel peggiore dei mondi possibili: è un mondo che abbiamo contribuito a generare. Nel deserto del suo abbandono, il popolo si rassegna a farsi vitelli d’oro. Ormai c’è assuefazione. Ma l’idolo è sempre una faccenda di testa. L’idolo è un simbolo, un esorcismo: anche una passione vera che diventa ossessione di un dio falso. È di questi idoli «di testa» che voglio parlare. Individuo una priorità strategica. Scelgo quattro figure dell’idolatria culturale postmoderna la cui interdipendenza fa da moltiplicatore per un vasto indotto di superstizione: la fissazione della giovinezza, l’ossessione della crescita, il totalitarismo della comunicazione, l’irreligione della secolarizzazione. Evidentemente, in queste figure ci sono termini che evocano immediatamente oggetti e fatti che non hanno in sé nulla di demoniaco o di idolatrico. Questa è precisamente la serietà dell’insidia.
L’idolatria di maggiore successo si raccomanda proprio in virtù della sua apparente esaltazione di ciò che rappresenta una promessa di realizzazione buona del desiderio collettivo. Corruptio optimi pessima. L’eccellenza che si concede alla corruzione genera il peggio del peggio. La volontà di potenza che preme per travolgere il vincolo fra legame sociale e umanesimo etico, sotto il segno del progresso delle tecniche e dell’aumento delle risorse, ha individuato queste figure come simboli funzionali alla propria legittimazione. La testa del parassita, però, che ha piegato irresistibilmente verso l’idolatria il moderno umanesimo razionalistico della coscienza, ha una precisa identità. Lo indico come principio di autorealizzazione.
Nel passaggio all’autorealizzazione tecnologica dell’Io pensante, che lo ha travolto, si è innescata la deriva del nichilismo specifico della nostra contemporaneità: l’autismo etico dell’Io sentimentale. Eresia della verità cristiana della persona, il cui logos aveva aperto l’Occidente alla sua destinazione. Corruzione dell’umanesimo moderno, che ha requisito il pathos dell’immenso e felice lavoro della generazione, dirottandolo verso le tristi passioni di un ethos individualistico e predatore, che diventa nomos di massa. Le figure etiche dell’autodeterminazione (libertà di coscienza, potenza della volontà) ne sono state inquinate e stravolte: sottratte alla splendida giustizia del voler-bene; e indotte a lavorare, per la propria emancipazione, contro l’umano che è comune.
La civetteria postmoderna dell’intellettuale, che fornisce legittimazione all’individualismo etico, e giustifica criticamente l’intimidazione di ogni umanesimo difforme – soprattutto quello cristiano –, fa il lavoro della seconda Bestia. Le vittime designate per l’offerta al drago, come tutti sanno, sono ragazzi e ragazze. Non ne abbiamo mai consegnati così tanti. Noi, popoli cristiani d’Occidente, abbiamo meritato le conseguenze di questa ricaduta nel paganesimo. Ma ci è consentito un soprassalto di orgoglio: possiamo smascherare l’idiozia della cultura che pretende di rappresentarci, e aprire mille luoghi di liberazione dalla dipendenza dei signori delle tessere che ne traggono profitto. L’idolo del postmoderno non ci rappresenta. Ci sono rimasti assai più di dieci giusti, per convincere Dio, in favore delle generazioni che vengono, che non siamo così indegni dei doni ricevuti.
In un mondo che perde logos, la reazione a catena del polemos (della guerra, della violenza, dell’aggressività di tutti contro tutti) guadagna terreno e si fa incontrollabile. In un mondo che rimane senza l’audace e creativa testimonianza dell’umanesimo cristologico, il politeismo degli dèi razzisti e corporativi occupa la scena. Il tentativo di annichilire il cristianesimo lavora certamente per il nichilismo, dovunque accada. Lo svuotamento dell’incarnazione di Dio fa regredire la religione e l’ominizzazione: indisgiungibilmente. Per questo, noi per primi ci dobbiamo purificare col fuoco, pur di restituire all’Evangelo il suo onore. Non solo la sua verità. L’Occidente, del resto, ha covato a lungo il suo uovo di serpente. Puntuale, arriva la sua moria dei primogeniti. Infine, c’è del lavoro urgente da fare: riguarda beni di prima necessità per l’ominizzazione, che il mercato ha dismesso. Chi ha qualcosa da dare, e voglia di lavorare per il riscatto della generazione, a qualsiasi popolo appartenga, sarà bene accetto.
La ripresa di iniziativa culturale del cristianesimo chiede, dal canto suo, disincanto del mondo, cultura impeccabile, passione per la cosa. Non siamo nel peggiore dei mondi possibili: è un mondo che abbiamo contribuito a generare. Nel deserto del suo abbandono, il popolo si rassegna a farsi vitelli d’oro. Ormai c’è assuefazione. Ma l’idolo è sempre una faccenda di testa. L’idolo è un simbolo, un esorcismo: anche una passione vera che diventa ossessione di un dio falso. È di questi idoli «di testa» che voglio parlare. Individuo una priorità strategica. Scelgo quattro figure dell’idolatria culturale postmoderna la cui interdipendenza fa da moltiplicatore per un vasto indotto di superstizione: la fissazione della giovinezza, l’ossessione della crescita, il totalitarismo della comunicazione, l’irreligione della secolarizzazione. Evidentemente, in queste figure ci sono termini che evocano immediatamente oggetti e fatti che non hanno in sé nulla di demoniaco o di idolatrico. Questa è precisamente la serietà dell’insidia.
L’idolatria di maggiore successo si raccomanda proprio in virtù della sua apparente esaltazione di ciò che rappresenta una promessa di realizzazione buona del desiderio collettivo. Corruptio optimi pessima. L’eccellenza che si concede alla corruzione genera il peggio del peggio. La volontà di potenza che preme per travolgere il vincolo fra legame sociale e umanesimo etico, sotto il segno del progresso delle tecniche e dell’aumento delle risorse, ha individuato queste figure come simboli funzionali alla propria legittimazione. La testa del parassita, però, che ha piegato irresistibilmente verso l’idolatria il moderno umanesimo razionalistico della coscienza, ha una precisa identità. Lo indico come principio di autorealizzazione.
Nel passaggio all’autorealizzazione tecnologica dell’Io pensante, che lo ha travolto, si è innescata la deriva del nichilismo specifico della nostra contemporaneità: l’autismo etico dell’Io sentimentale. Eresia della verità cristiana della persona, il cui logos aveva aperto l’Occidente alla sua destinazione. Corruzione dell’umanesimo moderno, che ha requisito il pathos dell’immenso e felice lavoro della generazione, dirottandolo verso le tristi passioni di un ethos individualistico e predatore, che diventa nomos di massa. Le figure etiche dell’autodeterminazione (libertà di coscienza, potenza della volontà) ne sono state inquinate e stravolte: sottratte alla splendida giustizia del voler-bene; e indotte a lavorare, per la propria emancipazione, contro l’umano che è comune.
La civetteria postmoderna dell’intellettuale, che fornisce legittimazione all’individualismo etico, e giustifica criticamente l’intimidazione di ogni umanesimo difforme – soprattutto quello cristiano –, fa il lavoro della seconda Bestia. Le vittime designate per l’offerta al drago, come tutti sanno, sono ragazzi e ragazze. Non ne abbiamo mai consegnati così tanti. Noi, popoli cristiani d’Occidente, abbiamo meritato le conseguenze di questa ricaduta nel paganesimo. Ma ci è consentito un soprassalto di orgoglio: possiamo smascherare l’idiozia della cultura che pretende di rappresentarci, e aprire mille luoghi di liberazione dalla dipendenza dei signori delle tessere che ne traggono profitto. L’idolo del postmoderno non ci rappresenta. Ci sono rimasti assai più di dieci giusti, per convincere Dio, in favore delle generazioni che vengono, che non siamo così indegni dei doni ricevuti.
«Avvenire» del 17 novembre 2011
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