Esce ora in italiano l'ultima opera del papirologo Thiede, il difensore dei frammenti di Qumram scoparso 5 anni fa
di Carsten Peter Thiede
Ormai è quasi impossibile contare quanti siano i libri su Gesù, eppure chi li legge si accorge subito di una cosa: quanto più si scrive su Gesù, tanto meno sembra crescere la nostra conoscenza su di lui. Compaiono continuamente sulla scena nuove tessere del mosaico, ma l’immagine non diventa per questo più riconoscibile.
Così in ogni caso sembra essere per molte persone, di fronte agli incessanti dibattiti sul valore di quelle pietruzze e della loro collocazione nel mosaico un tempo completo. E se oggi possono ancora uscire libri che nel sottotitolo affermano di trasmettere «una solida conoscenza di base», in realtà mettono in mostra soltanto i frantumi di una critica dei Vangeli da gran tempo superata: si capisce allora perché sia i cristiani credenti, sia gli scettici curiosi domandino perplessi chi sia stato dunque Gesù e che cosa ci trasmettano su di lui le fonti a nostra disposizione.
Quanto insicure siano talvolta le conoscenze al riguardo, si è dimostrato nuovamente poco tempo fa: quando nell’ottobre 2002 fu portata alla luce una cassetta di ossa, un «ossario», con l’iscrizione «Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù», in alcuni giornali si poté leggere che questa sarebbe la prima prova della sicura esistenza di Gesù. Era proprio come se non si fosse ancora compreso che i Vangeli e le Lettere del Nuovo Testamento sono fonti storiche e che quindi si squalificano sul piano scientifico quegli studiosi, i quali continuano ancora ad affermare che gli evangelisti non volevano scrivere un’opera di storia. Invece è quello che volevano: lo dicono gli autori stessi, e nessuno più chiaramente di Luca (cfr. Lc 1,1-4). Volevano essere misurati secondo i criteri degli storici dell’antichità e sapevano che i loro lettori non si aspettavano nient’altro da loro.
Gli storici ovviamente devono chiedersi se gli evangelisti siano riusciti in questo loro intento, ma che questa fosse la loro volontà e che avessero le possibilità di farlo, è un dato di fatto assolutamente incontestabile. Dunque solo chi ha preso la decisione inammissibile di togliere valore storico al Nuovo Testamento può giungere all’idea che l’ossario di «Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù» sia la prima prova sicura dell’esistenza di Gesù di Nazaret. Si dovrebbero inoltre ignorare o sminuire i passi corrispettivi degli storici dell’antichità (si vedano lo storico romano Tacito, l’ebreo Giuseppe Flavio – le cui affermazioni non sono state per nulla falsificate, come talvolta si afferma ancora in un modo da gran tempo superato – e più tardi Plinio il giovane e il Talmud).
Anche le tracce archeologiche non sono nuove. In parte sono indirette: un esempio ne danno i graffiti risalenti alla fine del I – inizi del II secolo, che sono stati scoperti nel sottosuolo della cosiddetta tomba di Davide sulla collina di Sion, tomba che in realtà era una sinagoga giudeo-cristiana attiva verso la fine degli anni Settanta del I secolo: in essa si è trovata una nicchia rivolta in direzione del Golgota e contenente rotoli delle Sacre Scritture.
Qui furono decifrate invocazioni a Gesù e formule cristiane di preghiera. Anche un membro della primitiva comunità di Gerusalemme è stato comprovato archeologicamente: si tratta di Alessandro, il figlio di Simone di Cirene (cfr. Mc 15,21), proprio il figlio dunque dell’uomo che ha portato la croce di Gesù – o meglio il legno trasversale della croce. I resti delle sue ossa, ritenute autentiche senza alcuna discussione dagli archeologi, si trovano oggi conservati presso l’Università ebraica di Gerusalemme. Dal punto di vista archeologico si riferisce egualmente a Gesù anche la casa di Pietro a Cafarnao, la cui identificazione oggi non è più contestata da nessuno storico serio.
Questa casa non esisterebbe con i cambiamenti avvenuti molto presto nella costruzione per adattarla a luogo di riunione per la comunità giudeo-cristiana, se Pietro non fosse stato discepolo di Gesù, il primo dei suoi apostoli e la roccia della Chiesa, e se non fosse risaputo che Gesù stesso aveva abitato a lungo in questa medesima casa (cfr. Mc 2,1 ss).
Un simile elenco potrebbe proseguire a lungo, ma completa soltanto quello che si trova nelle fonti e non può avere alcuna forza probante maggiore di quella che hanno le fonti storico-letterarie già conosciute. Infatti, senza le Scritture – in questo caso i Vangeli – non sapremmo nulla di un certo Alessandro, figlio di Simone il Cireneo, oppure di uno che nei graffiti della collina di Sion viene invocato come il Cristo Messia: non avremmo capito per niente di che cosa si tratta.
Così in ogni caso sembra essere per molte persone, di fronte agli incessanti dibattiti sul valore di quelle pietruzze e della loro collocazione nel mosaico un tempo completo. E se oggi possono ancora uscire libri che nel sottotitolo affermano di trasmettere «una solida conoscenza di base», in realtà mettono in mostra soltanto i frantumi di una critica dei Vangeli da gran tempo superata: si capisce allora perché sia i cristiani credenti, sia gli scettici curiosi domandino perplessi chi sia stato dunque Gesù e che cosa ci trasmettano su di lui le fonti a nostra disposizione.
Quanto insicure siano talvolta le conoscenze al riguardo, si è dimostrato nuovamente poco tempo fa: quando nell’ottobre 2002 fu portata alla luce una cassetta di ossa, un «ossario», con l’iscrizione «Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù», in alcuni giornali si poté leggere che questa sarebbe la prima prova della sicura esistenza di Gesù. Era proprio come se non si fosse ancora compreso che i Vangeli e le Lettere del Nuovo Testamento sono fonti storiche e che quindi si squalificano sul piano scientifico quegli studiosi, i quali continuano ancora ad affermare che gli evangelisti non volevano scrivere un’opera di storia. Invece è quello che volevano: lo dicono gli autori stessi, e nessuno più chiaramente di Luca (cfr. Lc 1,1-4). Volevano essere misurati secondo i criteri degli storici dell’antichità e sapevano che i loro lettori non si aspettavano nient’altro da loro.
Gli storici ovviamente devono chiedersi se gli evangelisti siano riusciti in questo loro intento, ma che questa fosse la loro volontà e che avessero le possibilità di farlo, è un dato di fatto assolutamente incontestabile. Dunque solo chi ha preso la decisione inammissibile di togliere valore storico al Nuovo Testamento può giungere all’idea che l’ossario di «Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù» sia la prima prova sicura dell’esistenza di Gesù di Nazaret. Si dovrebbero inoltre ignorare o sminuire i passi corrispettivi degli storici dell’antichità (si vedano lo storico romano Tacito, l’ebreo Giuseppe Flavio – le cui affermazioni non sono state per nulla falsificate, come talvolta si afferma ancora in un modo da gran tempo superato – e più tardi Plinio il giovane e il Talmud).
Anche le tracce archeologiche non sono nuove. In parte sono indirette: un esempio ne danno i graffiti risalenti alla fine del I – inizi del II secolo, che sono stati scoperti nel sottosuolo della cosiddetta tomba di Davide sulla collina di Sion, tomba che in realtà era una sinagoga giudeo-cristiana attiva verso la fine degli anni Settanta del I secolo: in essa si è trovata una nicchia rivolta in direzione del Golgota e contenente rotoli delle Sacre Scritture.
Qui furono decifrate invocazioni a Gesù e formule cristiane di preghiera. Anche un membro della primitiva comunità di Gerusalemme è stato comprovato archeologicamente: si tratta di Alessandro, il figlio di Simone di Cirene (cfr. Mc 15,21), proprio il figlio dunque dell’uomo che ha portato la croce di Gesù – o meglio il legno trasversale della croce. I resti delle sue ossa, ritenute autentiche senza alcuna discussione dagli archeologi, si trovano oggi conservati presso l’Università ebraica di Gerusalemme. Dal punto di vista archeologico si riferisce egualmente a Gesù anche la casa di Pietro a Cafarnao, la cui identificazione oggi non è più contestata da nessuno storico serio.
Questa casa non esisterebbe con i cambiamenti avvenuti molto presto nella costruzione per adattarla a luogo di riunione per la comunità giudeo-cristiana, se Pietro non fosse stato discepolo di Gesù, il primo dei suoi apostoli e la roccia della Chiesa, e se non fosse risaputo che Gesù stesso aveva abitato a lungo in questa medesima casa (cfr. Mc 2,1 ss).
Un simile elenco potrebbe proseguire a lungo, ma completa soltanto quello che si trova nelle fonti e non può avere alcuna forza probante maggiore di quella che hanno le fonti storico-letterarie già conosciute. Infatti, senza le Scritture – in questo caso i Vangeli – non sapremmo nulla di un certo Alessandro, figlio di Simone il Cireneo, oppure di uno che nei graffiti della collina di Sion viene invocato come il Cristo Messia: non avremmo capito per niente di che cosa si tratta.
«Avvenire» del 18 settembre 2009
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