I risultati di un’indagine sul mercato del libro: 5 italiani su 100 leggono solo una volta al mese
Di Antonio Giuliano
Chi trova un buon libro trova un tesoro. Perché un testo in fondo è come un amico. La sua compagnia può essere così preziosa, che non si può quantificarla. Un buon libro non ha prezzo, si è spesso detto e non senza ragione. Però chi mai avrebbe pensato che leggere ha anche un valore materiale calcolabile in Pil (Prodotto interno lordo)?
Ne sono del tutto convinti Antonello Scorcu, professore di Politica economica presso l’università di Bologna e Edoardo Gaffeo professore di Economia politica all’università di Trento, al termine di una ricerca per conto dell’Associazione italiana editori (Aie).
Il loro lavoro è stato anticipato ieri a Milano nell’ambito della presentazione degli "Stati generali dell’editoria 2006" in programma a Roma il 21 e 22 settembre. Quelle romane saranno giornate di confronto tra gli editori e quanti si occupano della politica culturale del Paese, ispirate proprio dagli esiti di questo studio. Gli economisti Scorcu e Gaffeo hanno fatto ricorso a rigorosi modelli scientifici per smentire i pregiudizi di una ricerca commissionata ad hoc dagli editori. L’analisi ha tenuto conto della produttività delle regioni italiane nell’arco di vent’anni (1980-2003). L’esito è stato questo: nelle regioni in cui si legge di più, a parità di condizioni, tra cui il livello d’istruzione, la crescita economica è migliore. A tal punto che «se la Calabria avesse avuto negli anni Settanta il tasso di lettura della Liguria, oggi avrebbe una produttività del lavoro di cinquanta punti maggiore». L’indagine dei due studiosi si è spinta nel dimostrare che lavoratori abituati alla lettura apportano benefici economici superiori rispetto all’investimento sui macchinari.
La ricerca s’inserisce in un mercato italiano del libro non catastrofico almeno dal punto di vista dell’offerta: ogni anno vengono pubblicati 53mila nuovi titoli, in linea con la media europea. Le statistiche dolenti provengono dalla domanda: nel 2005 in Italia il 57 per cento della popolazione non ha letto alcun libro (esclusi quelli di uso scolastico/ universitario e professionale). Il paragone è impietoso con alcuni stati europei: se nel nostro Paese il 42,3 per cento della popolazione dichiara di aver letto almeno un libro nell’anno precedente, in Francia siamo al 61 per cento, in Germania al 66, nel Regno Unito oltre il 73.
Senza contare che solo 5 italiani su 100 leggono un libro al mese e il divario tra lettori nel Nord (più numerosi) e nel Sud si allarga.
Una situazione intollerabile per gli editori che puntano il dito contro la politica. Sotto accusa una superficiale protezione del diritto d’autore e soprattutto la mancanza di investimenti in infrastrutture: le biblioteche attuali sono carenti, poche e mal distribuite sul territorio nazionale; quasi assenti quelle scolastiche. Non è molto diversa la condizione delle librerie, quasi il 51 per cento delle quali si trova al Nord. Solo il 5 per cento dei comuni del Sud e delle Isole ne possiede una.
«C’è davvero una scarsa attenzione della politica ai libri e alla cultura in generale - ha tuonato ieri Federico Motta, presidente dell’Associazione italiana editori -. A Roma presenteremo ai politici un "Manifesto" con le nostre proposte per incentivare la crescita culturale. La promozione della lettura non spetta solo a noi».
Forti delle analisi di Scorcu e Gaffeo, gli editori sono pronti a dimostrare che le spese per la cultura sono un investimento più che un consumo. «Ogni qual volta una famiglia spende per la cultura - ha aggiunto Motta - fa un investimento per la crescita dell’Italia».
Potrà sembrare una visione materialista del valore della lettura, ma è comunque meritevole di riflessione: per il benessere del Paese, leggere vale un tesoro. Conti alla mano, con molti zeri.
Ne sono del tutto convinti Antonello Scorcu, professore di Politica economica presso l’università di Bologna e Edoardo Gaffeo professore di Economia politica all’università di Trento, al termine di una ricerca per conto dell’Associazione italiana editori (Aie).
Il loro lavoro è stato anticipato ieri a Milano nell’ambito della presentazione degli "Stati generali dell’editoria 2006" in programma a Roma il 21 e 22 settembre. Quelle romane saranno giornate di confronto tra gli editori e quanti si occupano della politica culturale del Paese, ispirate proprio dagli esiti di questo studio. Gli economisti Scorcu e Gaffeo hanno fatto ricorso a rigorosi modelli scientifici per smentire i pregiudizi di una ricerca commissionata ad hoc dagli editori. L’analisi ha tenuto conto della produttività delle regioni italiane nell’arco di vent’anni (1980-2003). L’esito è stato questo: nelle regioni in cui si legge di più, a parità di condizioni, tra cui il livello d’istruzione, la crescita economica è migliore. A tal punto che «se la Calabria avesse avuto negli anni Settanta il tasso di lettura della Liguria, oggi avrebbe una produttività del lavoro di cinquanta punti maggiore». L’indagine dei due studiosi si è spinta nel dimostrare che lavoratori abituati alla lettura apportano benefici economici superiori rispetto all’investimento sui macchinari.
La ricerca s’inserisce in un mercato italiano del libro non catastrofico almeno dal punto di vista dell’offerta: ogni anno vengono pubblicati 53mila nuovi titoli, in linea con la media europea. Le statistiche dolenti provengono dalla domanda: nel 2005 in Italia il 57 per cento della popolazione non ha letto alcun libro (esclusi quelli di uso scolastico/ universitario e professionale). Il paragone è impietoso con alcuni stati europei: se nel nostro Paese il 42,3 per cento della popolazione dichiara di aver letto almeno un libro nell’anno precedente, in Francia siamo al 61 per cento, in Germania al 66, nel Regno Unito oltre il 73.
Senza contare che solo 5 italiani su 100 leggono un libro al mese e il divario tra lettori nel Nord (più numerosi) e nel Sud si allarga.
Una situazione intollerabile per gli editori che puntano il dito contro la politica. Sotto accusa una superficiale protezione del diritto d’autore e soprattutto la mancanza di investimenti in infrastrutture: le biblioteche attuali sono carenti, poche e mal distribuite sul territorio nazionale; quasi assenti quelle scolastiche. Non è molto diversa la condizione delle librerie, quasi il 51 per cento delle quali si trova al Nord. Solo il 5 per cento dei comuni del Sud e delle Isole ne possiede una.
«C’è davvero una scarsa attenzione della politica ai libri e alla cultura in generale - ha tuonato ieri Federico Motta, presidente dell’Associazione italiana editori -. A Roma presenteremo ai politici un "Manifesto" con le nostre proposte per incentivare la crescita culturale. La promozione della lettura non spetta solo a noi».
Forti delle analisi di Scorcu e Gaffeo, gli editori sono pronti a dimostrare che le spese per la cultura sono un investimento più che un consumo. «Ogni qual volta una famiglia spende per la cultura - ha aggiunto Motta - fa un investimento per la crescita dell’Italia».
Potrà sembrare una visione materialista del valore della lettura, ma è comunque meritevole di riflessione: per il benessere del Paese, leggere vale un tesoro. Conti alla mano, con molti zeri.
«Avvenire» del 19 luglio 2006
Nessun commento:
Posta un commento