Difficile trovare qualcuno, nella letteratura italiana, tanto insoddisfatto della propria professione quanto l’ingegner Carlo Emilio Gadda. Appena laureatosi, nel ‘20, in ingegneria elettrotecnica al Politecnico, decide di iscriversi al terzo anno di Filosofia presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano. L’ictus philosophandi, già vivo dal tempo del liceo, diventa inarrestabile nel febbraio ‘24, quando Gadda torna dall’Argentina: è in questi mesi che comincia a seguire i corsi e a dare i primi esami. Con ottimi risultati. Si fa un’ossessione da quando si è aggiunto in lui l’«oscuro pensiero» che una laurea umanistica possa garantirgli un posto di bibliotecario, magari a Firenze. L’impresa arriverà vicinissima al compimento, ma alla fine è destinata a fallire. Nell’estate del ‘25 lo scrittore torna all’ingegneria, assunto all’Ammonia Casale di Roma. Sarà, questo, un periodo di intenso lavoro che lo costringerà ad abbandonare, almeno per il momento, i sogni di gloria universitari. Sogni testimoniati da 14 fogli autografi rimasti inediti e conservati nel Fondo Gadda della Biblioteca Trivulziana di Milano. Per fortuna, Gadda gode oggi del privilegio straordinario di una rivista, I quaderni dell’Ingegnere, completamente dedicata allo studio della sua opera, grazie alle cure di Dante Isella. Una rivista capace di centellinare ogni anno documenti preziosi come la tesi di laurea gaddiana (sull’amato Leibniz), che esce in questo quarto numero accompagnata, tra l’altro, dai 14 fogli di cui si diceva, datati maggio 1925, in cui Gadda stila una serie di Abbozzi di temi per tesi di laurea (a cura di Riccardo Stracuzzi). La prima parte è un resoconto autobiografico sulla genesi degli interessi letterari e al «fattore estetico» che ha dominato l’età giovanile avanzata, tra i 26 e i 27, manifestandosi in «componimenti e abbozzi di varia natura, in prosa o in versi, ma nessuna di queste prodezze è stata letta da altri che da me». Con preferenze di lettore «rivolte a quegli scrittori che si rivelano i più organici analisti, i più comprensivi espressori del mondo rappresentabile»: su tutti, il Manzoni, «rappresentatore organico (totale) di un ambiente, squisito indagatore dei fatti sociali nelle loro complesse mutazioni, affermatore di una volontà morale che deve guidarci nella vita». Poi: Dostoevskij, Corneille, l’Orlando furioso («Era il mio romanzo preferito quando avevo 15 anni. Che strano libro!»). È la curiosità a orientare le scelte di Gadda per la tesi, «salvo a mancarmi poi le forze necessarie per compiere il cammino e perfezionare una conclusione plausibile». Dunque, ecco una serie di «temi metodologici riguardanti la conoscenza del mondo, un po’metafisici nel senso vecchio»: a. tema dell’analisi quantitativa dei fenomeni; b. tema del lavoro minimo; c. tema della dialetticità necessaria del mondo; d. sulla teoria della relatività. Ed ecco i «temi quasi letterari». Sostanzialmente tre: I promessi sposi, il pensiero di Shakespeare con particolare attenzione all’Amleto, il Simbolismo. La passione di Gadda per Manzoni è testimoniata dal saggio Apologia manzoniana, che riflette sul rapporto tra etica e estetica in una sorta di identificazione con gli obiettivi perseguiti nei Promessi sposi. Ma in questi Abbozzi il punto molto interessante è anche un altro: che il pro Manzoni si traduce in una sorta di contra Carducci e di contra Leopardi. Più che raccontare in positivo le ragioni che lo spingono verso l’opera manzoniana, del resto già note, Gadda si concentra in negativo sull’autore delle Operette morali e sul poeta delle Odi barbare. «Il Carducci - scrive - afferma di aver letto i P. Sposi cinque volte, per aggiungere che la conclusione e il senso fondamentale del libro sono espressi nelle ultime parole di Renzo: che non bisogna uscir di casa, se non si vuol prendere il raffreddore. Oh, quanta maggior cautela sarebbe stata desiderabile da un uomo come il Carducci!». Un’opinione già formulata un anno prima, in un capitolo del Cahier d’études. Le obiezioni di Carducci a Manzoni, precisa ora Stracuzzi, avevano come obiettivi più o meno celati i due manzonisti Ferrari e Rovani.
È in questo contesto che entra in gioco Leopardi. Scriveva Carducci: «Il signor Rovani c’insegna che (...) Leopardi è un uomo che non si lamenta che per lamentarsi». Il parallelo gaddiano tra Manzoni e Leopardi, dunque, viene suggerito proprio, e contrario, dal Carducci, che Carlo Emilio lesse con passione nell’adolescenza ma da cui in età matura avrebbe preso le distanze («l’ideazione talora gli farfuglia»). Lo stesso parallelo che un anno prima era stato elaborato così nel Cahier: «Egli (il Manzoni n.d.r.) volle parlare da uomo agli uomini, ai miserabili uomini: ed ebbe a compagno nella fatica un altro grandissimo disgraziato conte suo coetaneo, molto macilento della persona. Anche costui rifiutò alfine la spazzatura della tronfia magniloquenza e la sua parola ha una nitidezza lunare: dolce e chiara è la notte». Negli Abbozzi i toni sul poeta recanatese cambiano (anche se Gadda ribadisce la sua stima per quel «meraviglioso e tragico espressore di stati d’animo dal punto di vista lirico-umano»). Leopardi «filosoficamente è un superficiale», la sua «personalità filosofica (se così può chiamarsi), quale appare dai 111 Pensieri (ufficiali) e dalle Operette morali, non è invero gran cosa». E prosegue l’Ingegnere: «Mi sembra che il Leopardi non superi mai, nelle sue opere ufficiali, un materialismo grossolanamente antropomorfico». Rincarando: «Egli vede l’uomo staccato dall’universo, nucleo isolato nelle mani del caso (Anànche, Giove, Dio, Destino, Numi, Nulla), che si balocca con lui come con un bamberòttolo. Talora non sembra credere a questo caso che letterariamente: tal’altra imbastisce contro questo goffo Dio o Nulla degli atti d’accusa che lasciano il tempo che trovano». Il «cosiddetto nichilismo» di Leopardi, nasconde, secondo Gadda, «incertezza e impotenza all’analisi» riducendosi a «mera tautologia». Come se non bastasse, il Bruto è «vuoto di contenuto filosofico». Conclusione affidata a un interrogativo retorico: «Come poteva questo Leopardi accostarsi al Manzoni dei P. Sposi, della quale opera è centro un pensiero caldamente sociale, una fede sociale? Lasciamo il fatto che il Manzoni sia cattolico, piuttosto che luterano o greco. Ma la sua opera dice qualche cosa». Sottinteso: quella di Leopardi no. Gli Abbozzi di temi per tesi di laurea, come si vede, sono di grande interesse. Nel maggio del ‘29 Gadda darà inizio alla stesura della sua dissertazione filosofica. Titolo: La teoria della conoscenza nei «Nuovi saggi» di G. W. Leibniz. I quaderni dell’Ingegnere la pubblicano ora sempre a cura di Riccardo Stracuzzi. Ma resterà incompiuta.
È in questo contesto che entra in gioco Leopardi. Scriveva Carducci: «Il signor Rovani c’insegna che (...) Leopardi è un uomo che non si lamenta che per lamentarsi». Il parallelo gaddiano tra Manzoni e Leopardi, dunque, viene suggerito proprio, e contrario, dal Carducci, che Carlo Emilio lesse con passione nell’adolescenza ma da cui in età matura avrebbe preso le distanze («l’ideazione talora gli farfuglia»). Lo stesso parallelo che un anno prima era stato elaborato così nel Cahier: «Egli (il Manzoni n.d.r.) volle parlare da uomo agli uomini, ai miserabili uomini: ed ebbe a compagno nella fatica un altro grandissimo disgraziato conte suo coetaneo, molto macilento della persona. Anche costui rifiutò alfine la spazzatura della tronfia magniloquenza e la sua parola ha una nitidezza lunare: dolce e chiara è la notte». Negli Abbozzi i toni sul poeta recanatese cambiano (anche se Gadda ribadisce la sua stima per quel «meraviglioso e tragico espressore di stati d’animo dal punto di vista lirico-umano»). Leopardi «filosoficamente è un superficiale», la sua «personalità filosofica (se così può chiamarsi), quale appare dai 111 Pensieri (ufficiali) e dalle Operette morali, non è invero gran cosa». E prosegue l’Ingegnere: «Mi sembra che il Leopardi non superi mai, nelle sue opere ufficiali, un materialismo grossolanamente antropomorfico». Rincarando: «Egli vede l’uomo staccato dall’universo, nucleo isolato nelle mani del caso (Anànche, Giove, Dio, Destino, Numi, Nulla), che si balocca con lui come con un bamberòttolo. Talora non sembra credere a questo caso che letterariamente: tal’altra imbastisce contro questo goffo Dio o Nulla degli atti d’accusa che lasciano il tempo che trovano». Il «cosiddetto nichilismo» di Leopardi, nasconde, secondo Gadda, «incertezza e impotenza all’analisi» riducendosi a «mera tautologia». Come se non bastasse, il Bruto è «vuoto di contenuto filosofico». Conclusione affidata a un interrogativo retorico: «Come poteva questo Leopardi accostarsi al Manzoni dei P. Sposi, della quale opera è centro un pensiero caldamente sociale, una fede sociale? Lasciamo il fatto che il Manzoni sia cattolico, piuttosto che luterano o greco. Ma la sua opera dice qualche cosa». Sottinteso: quella di Leopardi no. Gli Abbozzi di temi per tesi di laurea, come si vede, sono di grande interesse. Nel maggio del ‘29 Gadda darà inizio alla stesura della sua dissertazione filosofica. Titolo: La teoria della conoscenza nei «Nuovi saggi» di G. W. Leibniz. I quaderni dell’Ingegnere la pubblicano ora sempre a cura di Riccardo Stracuzzi. Ma resterà incompiuta.
«Corriere della sera» dell’11 luglio 2006
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