Escono in Germania le lettere inedite di Freud ai figli
di Andrea Affaticati
Un affettuoso patriarca che crede nei legami, nel matrimonio, nelle gravidanze anche non programmate. Altro che demolitore della famiglia
"Da tempo intuivo che, nonostante la tua nota ragionevolezza, fossi preoccupata per il tuo aspetto esteriore e dunque di non trovare un marito. Tutto questo mi ha fatto sorridere, primo perché mi appari bella, secondo perché so che al giorno d’oggi non è più la bellezza della forma a determinare il destino di una ragazza, ma la sua personalità”. A scrivere, non è una madre amorevole alla figlia ventenne in piena crisi di identità, ma un padre. Non un padre qualsiasi, tant’è che lo scrivente ricorda che “il fatto poi che tu sia mia figlia, non ti dovrebbe certo nuocere”. La destinataria di questa e di altre decine di missive è Mathilde, primogenita di Sigmund Freud. Le lettere del padre della psicoanalisi ai suoi figli in carne e ossa sono ora pubblicate in un ponderoso volume, quasi 700 pagine, appena uscito presso l’editore Aufbau Verlag, “Unterdess halten wir zusammen - Briefe an die Kinder” (“Per il momento restiamo uniti - Lettere ai figli”).
La raccolta – curata da Michael Schröter – getta nuova luce su un Freud assolutamente privato. Molto si sa, infatti, del suo rapporto con l’ultimogenita Anna, anche grazie al carteggio pubblicato nel 2006. Ma qual era il rapporto con gli altri figli? Con Mathilde, Martin, Sophie, Oliver, Ernst? Lo raccontano queste lettere, divise per destinatario e in gran parte inedite. Una corrispondenza iniziata tra il 1907 e il 1918, quando i figli hanno tra i 19 e 26 anni. E anche se alcuni critici tedeschi si sono rammaricati dell’assenza delle lettere dei figli, le risposte di Freud lasciano spesso e facilmente intuire il contenuto, le domande, i racconti delle lettere a lui indirizzate. E nonostante la “lacuna della controparte”, questa raccolta getta luce su un aspetto caratteriale di Freud che giustifica pienamente la domanda formulata nell’introduzione al volume: “Quanto l’umanità che traspare da questa corrispondenza è all’origine della psicoanalisi come teoria e, ancora di più, della pratica psicoanalitica?”.
Freud amministrava la propria famiglia nel più classico stile del patriarca. E la cosa stupirà soltanto chi ancora dà credito alla rozza vulgata che ha percorso il secolo breve, che lo ha sempre voluto nemico per antonomasia della famiglia come del matrimonio e, anzi, padre (psichico) della rivoluzione dei costumi. I figli maschi dovevano studiare, le femmine dovevano prepararsi al matrimonio. Sul quando e con chi, necessitavano dell’approvazione del padre. Ciononostante, quando Mathilde decide di fidanzarsi senza prima chiedergli il permesso, Freud mostra una tolleranza rara a quei tempi e in quel ceto sociale: “Non ho un altro pretendente in serbo per te, e trovo sia tuo diritto guardarti intorno da sola. Solo ti ricordo che sei giovane e non c’è fretta per il grande passo”. E’ una famiglia allargata quella di cui Freud si prende cura: oltre alla sorella della moglie, accoglierà e sosterrà via via nuore, generi e nipoti. Un amico del figlio Martin, Hans Lampl, anche lui futuro psicoanalista, annota: “Freud aveva un senso della famiglia molto sviluppato, tipicamente ebreo, direi.
Per lui la famiglia va soccorsa, sostenuta, se necessario anche economicamente”. Proprio per questo senso di unione (il titolo della raccolta “Per il momento restiamo uniti” è una frase che Freud scrive al genero Max, poco prima dell’avvento del nazismo) le lettere di Freud hanno alcuni temi fissi, tutt’altro che scardinatori della tradizione: i soldi, la salute. A Martin, che si trova in un campo di prigionia, nel febbraio del 1919 scrive: “Tutto quello che ora guadagnerò come diritti d’autore lo metto via per te, così quando tornerai a mani vuote, avrai qualcosa”.
Accetta alcune decisioni dei figli anche se vanno contro il suo volere. Per esempio quella di Martin di arruolarsi volontario in guerra. Lo ammonisce, però, di non confonderla “con un soggiorno sportivo”. E’ il punto di riferimento per tutti i familiari “nelle situazioni di crisi”. Rassicura Sophie rimasta incinta per la terza volta, dopo che lui le aveva consigliato di fare più attenzione, viste le ristrettezze economiche in cui vive con il marito e i due figli: “Se pensi che sia turbato dalla notizia ti sbagli di grosso… Accetta il mio consiglio, accogli serenamente questo figlio e non rovinare a te e a Max l’attesa con cattivi pensieri. E anche per il futuro non dovete preoccuparvi. Gli affari, nonostante la guerra e il nostro impoverimento, hanno ripreso ad andare…”.
E quando, meno di un anno dopo, Sophie morirà, Freud troverà parole altrettanto calorose per il genero: “Mio carissimo Max… Ho l’impressione di non aver mai scritto una lettera più superflua di questa… Non provo nemmeno a consolarti, così come tu non puoi fare nulla per noi… Questa tragedia non cambia nulla nei sentimenti per te, resterai nostro figlio, fintanto che tu lo vorrai…”. Era la famiglia il faro attorno al quale si orientava la vita di Freud, come questo volume ha il merito di evidenziare e come lui stesso ha messo nero su bianco qualche giorno prima della sua partenza per Londra. Il 12 maggio del 1938 scriveva al figlio Ernst: “Due idee fisse mi tengono in vita in questi tempi tristi, vedere tutti voi riuniti e – to die in freedom”.
La raccolta – curata da Michael Schröter – getta nuova luce su un Freud assolutamente privato. Molto si sa, infatti, del suo rapporto con l’ultimogenita Anna, anche grazie al carteggio pubblicato nel 2006. Ma qual era il rapporto con gli altri figli? Con Mathilde, Martin, Sophie, Oliver, Ernst? Lo raccontano queste lettere, divise per destinatario e in gran parte inedite. Una corrispondenza iniziata tra il 1907 e il 1918, quando i figli hanno tra i 19 e 26 anni. E anche se alcuni critici tedeschi si sono rammaricati dell’assenza delle lettere dei figli, le risposte di Freud lasciano spesso e facilmente intuire il contenuto, le domande, i racconti delle lettere a lui indirizzate. E nonostante la “lacuna della controparte”, questa raccolta getta luce su un aspetto caratteriale di Freud che giustifica pienamente la domanda formulata nell’introduzione al volume: “Quanto l’umanità che traspare da questa corrispondenza è all’origine della psicoanalisi come teoria e, ancora di più, della pratica psicoanalitica?”.
Freud amministrava la propria famiglia nel più classico stile del patriarca. E la cosa stupirà soltanto chi ancora dà credito alla rozza vulgata che ha percorso il secolo breve, che lo ha sempre voluto nemico per antonomasia della famiglia come del matrimonio e, anzi, padre (psichico) della rivoluzione dei costumi. I figli maschi dovevano studiare, le femmine dovevano prepararsi al matrimonio. Sul quando e con chi, necessitavano dell’approvazione del padre. Ciononostante, quando Mathilde decide di fidanzarsi senza prima chiedergli il permesso, Freud mostra una tolleranza rara a quei tempi e in quel ceto sociale: “Non ho un altro pretendente in serbo per te, e trovo sia tuo diritto guardarti intorno da sola. Solo ti ricordo che sei giovane e non c’è fretta per il grande passo”. E’ una famiglia allargata quella di cui Freud si prende cura: oltre alla sorella della moglie, accoglierà e sosterrà via via nuore, generi e nipoti. Un amico del figlio Martin, Hans Lampl, anche lui futuro psicoanalista, annota: “Freud aveva un senso della famiglia molto sviluppato, tipicamente ebreo, direi.
Per lui la famiglia va soccorsa, sostenuta, se necessario anche economicamente”. Proprio per questo senso di unione (il titolo della raccolta “Per il momento restiamo uniti” è una frase che Freud scrive al genero Max, poco prima dell’avvento del nazismo) le lettere di Freud hanno alcuni temi fissi, tutt’altro che scardinatori della tradizione: i soldi, la salute. A Martin, che si trova in un campo di prigionia, nel febbraio del 1919 scrive: “Tutto quello che ora guadagnerò come diritti d’autore lo metto via per te, così quando tornerai a mani vuote, avrai qualcosa”.
Accetta alcune decisioni dei figli anche se vanno contro il suo volere. Per esempio quella di Martin di arruolarsi volontario in guerra. Lo ammonisce, però, di non confonderla “con un soggiorno sportivo”. E’ il punto di riferimento per tutti i familiari “nelle situazioni di crisi”. Rassicura Sophie rimasta incinta per la terza volta, dopo che lui le aveva consigliato di fare più attenzione, viste le ristrettezze economiche in cui vive con il marito e i due figli: “Se pensi che sia turbato dalla notizia ti sbagli di grosso… Accetta il mio consiglio, accogli serenamente questo figlio e non rovinare a te e a Max l’attesa con cattivi pensieri. E anche per il futuro non dovete preoccuparvi. Gli affari, nonostante la guerra e il nostro impoverimento, hanno ripreso ad andare…”.
E quando, meno di un anno dopo, Sophie morirà, Freud troverà parole altrettanto calorose per il genero: “Mio carissimo Max… Ho l’impressione di non aver mai scritto una lettera più superflua di questa… Non provo nemmeno a consolarti, così come tu non puoi fare nulla per noi… Questa tragedia non cambia nulla nei sentimenti per te, resterai nostro figlio, fintanto che tu lo vorrai…”. Era la famiglia il faro attorno al quale si orientava la vita di Freud, come questo volume ha il merito di evidenziare e come lui stesso ha messo nero su bianco qualche giorno prima della sua partenza per Londra. Il 12 maggio del 1938 scriveva al figlio Ernst: “Due idee fisse mi tengono in vita in questi tempi tristi, vedere tutti voi riuniti e – to die in freedom”.
«Il Foglio» del 5 agosto 2010
Nessun commento:
Posta un commento