di Matteo Sacchi
La Storia è ingannevole. La Storia, con la brutale intensità e ferocia di determinati attimi, spesso soggioga la mente dello studioso. L’evento mirabile calamita l’attenzione del ricercatore, la risucchia su un dettaglio o un documento che danno l’illusione di conchiudere in se stessi la vastità di un fatto o, addirittura, di un’epoca.
Allora, se si guarda alla crociata contro gli albigesi (approssimativamente 1208-1229), ecco spiegato il motivo per il quale la storiografia, che raramente è neutra, si è focalizzata su determinate «istantanee», crude e ferocissime. Prima polaroid estratta dalla macchina del tempo: alba del 14 gennaio 1208, il legato papale Pietro di Castelnau si trova a Trinquetaille sul Rodano. Le sue trattative con i nobili che appoggiano l’eresia degli albigesi sono in stallo. Innocenzo III però gli ha dato mandato di mantenere una linea dura, tanto che Raimondo VI di Tolosa (che cataro non è, ma non tollera ingerenze nelle sue terre) l’ha minacciato di morte. E quella minaccia, in una mattina d’inverno, diventa terribilmente reale: un galoppo sfrenato, una lama che brilla e Pietro di Castelnau è a terra, mentre rende l’anima al Signore perdona il suo assalitore. La sua morte, un omicidio feroce, rende però inevitabile al Vicario di Cristo la crociata contro «le volpi piccoline che guastano le nostre vigne», le vigne del Signore.
Seconda polaroid che esce dal bagno di sviluppo delle fonti antiche: la città di Béziers, in tutto forse 20mila abitanti, viene posta sotto assedio dai crociati. I catari dichiarati all’interno delle mura sono al massimo qualche centinaio, i simpatizzanti per l’eresia, invece, chi può dirlo? Quel che certo è che anche i fedeli al credo apostolico romano non hanno alcuna voglia di arrendersi a un esercito invasore. Temono per la loro autonomia politica, hanno l’orgoglio della propria città, anche una sana paura: in casi come questi non si sa come va a finire. Il 22 luglio 1209 l’assalto è immediato e feroce: le mura in poche ore cedono e dentro è una mattanza: catari, cristiani, donne, guerrieri, mercanti, bambini... Nel mezzo del massacro forse qualcuno ha dei dubbi, come può macellare i sacerdoti aggrappati agli altari o dei fanciulli? Chiede conferme e almeno una delle fonti attribuisce al legato pontificio Arnaldo Amalrico, abate di Cîteaux, una tremenda risposta: Cedite eos. Novit enim Deus qui ejus sunt («Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi»). E sulla realtà storica di queste parole, oggi passate sulla bocca dei terroristi islamici, il litigio tra professoroni, colpevolisti e innocentisti, dura da un bel pezzo.
Il saggio di Marco Meschini da poco arrivato in libreria, L’eretica, storia della crociata contro gli albigesi (Laterza, pagg. 376 euro 19), a differenza di molti altri non si lascia invece inviluppare nel «campo magnetico» di questi eventi. Racconta gli albigesi e la crociata con sguardo ampio, non va a caccia di colpevoli o di assoluzioni. Fornisce un quadro e una tesi interpretativa, senza farsi imprigionare dal dettaglio, innova pur essendo costruito sulla tradizione nota degli studi e delle fonti. Tant’è che gli si farebbe un torto tentando di condensare tutti i filoni d’analisi del libro in un articolo di giornale.
Allora basti dire che dal lavoro di Meschini, medievista di vaglia e membro della Society for the Study of the Crusades, escono almeno tre o quattro linee guida ben dimostrate. La prima: l’opposizione tra le dottrine catare e quelle cristiane era, al di là di ogni apparenza, assoluta. Il catarismo era una dottrina molto più affine al manicheismo che al cristianesimo e la sua svalutazione del corpo e della materia (entrambe parto del demonio) totale. Una dottrina che se avesse trionfato avrebbe cambiato di molto i destini di noi europei oggi così «materialisti». Insomma fu Innocenzo III a difendere, e per lungo tempo solo sul piano della discussione teologica, il buon diritto del creato e del contingente a non essere identificato solo col peccato.
La seconda: la crociata aveva preso piede prima dell’uccisione di Pietro di Castelnau, era già in movimento dal 1207 e difficilmente si sarebbe potuto evitarla. La morte del legato consentì a Roma di rafforzare i motivi di procedere a un’azione militare ad vindicandum injuriam Jesu Christi. Una guerra, insomma, in cui il Papa si infilò senza intuire «in quale ginepraio stava per infilare la sua testa tiarata» e che gli sfuggì di mano. Anche perché le sue ragioni erano ben poco politiche e molto legate a concetti etico-filosofici come pacis et fidei (un pessimo punto di partenza per gestire un esercito di baroni).
La terza: a Béziers ci fu un massacro preordinato e legato alle regole della guerra medievale, almeno di una guerra come quella. Niente di legato a una decisione crudele di Arnaldo Amalrico. Il campo dei vincitori parlò a strage finita addirittura di «miracolo», e non perché ignorasse la realtà dei fatti (nel ’900 lo si è fatto per Hiroshima). Non ci sono «cattivi» da giudicare, c’è un mondo da capire, anche nel suo travisare il dettato evangelico...
La quarta: giudicata con il metro del XIII secolo la crociata fu un successo. Ci piaccia oppure no.
Allora, se si guarda alla crociata contro gli albigesi (approssimativamente 1208-1229), ecco spiegato il motivo per il quale la storiografia, che raramente è neutra, si è focalizzata su determinate «istantanee», crude e ferocissime. Prima polaroid estratta dalla macchina del tempo: alba del 14 gennaio 1208, il legato papale Pietro di Castelnau si trova a Trinquetaille sul Rodano. Le sue trattative con i nobili che appoggiano l’eresia degli albigesi sono in stallo. Innocenzo III però gli ha dato mandato di mantenere una linea dura, tanto che Raimondo VI di Tolosa (che cataro non è, ma non tollera ingerenze nelle sue terre) l’ha minacciato di morte. E quella minaccia, in una mattina d’inverno, diventa terribilmente reale: un galoppo sfrenato, una lama che brilla e Pietro di Castelnau è a terra, mentre rende l’anima al Signore perdona il suo assalitore. La sua morte, un omicidio feroce, rende però inevitabile al Vicario di Cristo la crociata contro «le volpi piccoline che guastano le nostre vigne», le vigne del Signore.
Seconda polaroid che esce dal bagno di sviluppo delle fonti antiche: la città di Béziers, in tutto forse 20mila abitanti, viene posta sotto assedio dai crociati. I catari dichiarati all’interno delle mura sono al massimo qualche centinaio, i simpatizzanti per l’eresia, invece, chi può dirlo? Quel che certo è che anche i fedeli al credo apostolico romano non hanno alcuna voglia di arrendersi a un esercito invasore. Temono per la loro autonomia politica, hanno l’orgoglio della propria città, anche una sana paura: in casi come questi non si sa come va a finire. Il 22 luglio 1209 l’assalto è immediato e feroce: le mura in poche ore cedono e dentro è una mattanza: catari, cristiani, donne, guerrieri, mercanti, bambini... Nel mezzo del massacro forse qualcuno ha dei dubbi, come può macellare i sacerdoti aggrappati agli altari o dei fanciulli? Chiede conferme e almeno una delle fonti attribuisce al legato pontificio Arnaldo Amalrico, abate di Cîteaux, una tremenda risposta: Cedite eos. Novit enim Deus qui ejus sunt («Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi»). E sulla realtà storica di queste parole, oggi passate sulla bocca dei terroristi islamici, il litigio tra professoroni, colpevolisti e innocentisti, dura da un bel pezzo.
Il saggio di Marco Meschini da poco arrivato in libreria, L’eretica, storia della crociata contro gli albigesi (Laterza, pagg. 376 euro 19), a differenza di molti altri non si lascia invece inviluppare nel «campo magnetico» di questi eventi. Racconta gli albigesi e la crociata con sguardo ampio, non va a caccia di colpevoli o di assoluzioni. Fornisce un quadro e una tesi interpretativa, senza farsi imprigionare dal dettaglio, innova pur essendo costruito sulla tradizione nota degli studi e delle fonti. Tant’è che gli si farebbe un torto tentando di condensare tutti i filoni d’analisi del libro in un articolo di giornale.
Allora basti dire che dal lavoro di Meschini, medievista di vaglia e membro della Society for the Study of the Crusades, escono almeno tre o quattro linee guida ben dimostrate. La prima: l’opposizione tra le dottrine catare e quelle cristiane era, al di là di ogni apparenza, assoluta. Il catarismo era una dottrina molto più affine al manicheismo che al cristianesimo e la sua svalutazione del corpo e della materia (entrambe parto del demonio) totale. Una dottrina che se avesse trionfato avrebbe cambiato di molto i destini di noi europei oggi così «materialisti». Insomma fu Innocenzo III a difendere, e per lungo tempo solo sul piano della discussione teologica, il buon diritto del creato e del contingente a non essere identificato solo col peccato.
La seconda: la crociata aveva preso piede prima dell’uccisione di Pietro di Castelnau, era già in movimento dal 1207 e difficilmente si sarebbe potuto evitarla. La morte del legato consentì a Roma di rafforzare i motivi di procedere a un’azione militare ad vindicandum injuriam Jesu Christi. Una guerra, insomma, in cui il Papa si infilò senza intuire «in quale ginepraio stava per infilare la sua testa tiarata» e che gli sfuggì di mano. Anche perché le sue ragioni erano ben poco politiche e molto legate a concetti etico-filosofici come pacis et fidei (un pessimo punto di partenza per gestire un esercito di baroni).
La terza: a Béziers ci fu un massacro preordinato e legato alle regole della guerra medievale, almeno di una guerra come quella. Niente di legato a una decisione crudele di Arnaldo Amalrico. Il campo dei vincitori parlò a strage finita addirittura di «miracolo», e non perché ignorasse la realtà dei fatti (nel ’900 lo si è fatto per Hiroshima). Non ci sono «cattivi» da giudicare, c’è un mondo da capire, anche nel suo travisare il dettato evangelico...
La quarta: giudicata con il metro del XIII secolo la crociata fu un successo. Ci piaccia oppure no.
«Il Giornale» del 1 agosto 2010
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