Avevano vinto! Dopo tutti quegli anni, estenuanti duelli, battaglie campali, notti insonni, cavalcate, boschi selvaggi e radure, castelli, anelli fatati, maghe e orche assassine, finalmente la guerra era finita, Orlando aveva appena ucciso in duello il re Agramante e ora si godeva il meritato riposo. Giusto un aperitivo e due olive. In silenzio, beato, contemplando tutto quel viavai frenetico di gente, auto, vélo che chiassosamente gli brulicavano intorno. A un certo punto, vide da lontano una giovane donna che correva e si sbracciava proprio nella sua direzione.
Aveva lunghi capelli biondi, un po’ scarmigliati, e un vestitino corto attillato, color fragola. Prima che lui potesse fare o dire alcunché, la donna si era già accomodata al suo tavolino e lo salutava ora con grande trasporto, informandosi della sua salute e mostrandosi molto felice di rivederlo.
Anzi, dicendo che lo aveva cercato per mari e per monti, per prati e per colline, per valli e per foreste e per tutte le strade di Francia, Inghilterra, Albracca, Alamagna e Demogir, e adesso non le pareva vero, era per lei una fortuna insperata averlo finalmente ritrovato.
Orlando strabiliò. Non riusciva a capire chi mai fosse quella donna, se l’avesse mai incontrata e dove. Se ne rimaneva quindi in silenzio, basito, la bocca spalancata che non riusciva a richiudere, come un pesce appena pescato, boccheggiante. Gli ricordava pur vagamente qualcuno, ma non sapeva chi.
Gli sembrava come d’averla conosciuta tanto tempo fa, e gli pareva di sentire, dentro di sé, la spina di una qualche nostalgia mista ad un accorato, soffuso dolore. Come una ferita che, nonostante ormai rimarginata, ora tornasse seppur lieve a bruciacchiargli un po’. «Ci conosciamo dunque, signora?», le chiese.
La donna a una siffatta domanda rimase col bicchiere a mezz’aria, incerta, sgomenta. Come poteva accadere che Orlando…? «Sono Angelica!» disse. E Orlando, carezzandosi la barba e guardando in cielo come a trovar lassù qualche barlume di verità e non trovandolo affatto, andava dicendo come tra sé e sé: «Angelica… Angelica… Angelica chi?». Incredibile!
Dunque Orlando aveva dimenticato…!
Angelica non se ne capacitava.
Quell’uomo che l’aveva inseguita ovunque, che sbavava per lei, che aveva sostenuto i più terribili duelli… Ma non sapeva niente Angelica, e come avrebbe potuto?
Se n’era tornata nel Catai con quel suo Medoro, come poteva sapere quali pazzie Orlando combinò nel mondo a causa sua?
Né poteva sapere che poi recuperò il senno, annusandolo da un’ampolla, e di lì divenne un uomo… assennato. Ah, meraviglioso caso! Era bastato appropinquare il naso al vaso, tirar su d’un fiato… ed ecco il senno ritrovato!
Orlando, insomma, era diventato così assennato che s’era dimenticato!
D’altronde, sia detto qui tra di noi, cosa può mai essere il senno se non l’oblio delle nostre passioni? Come potrebbe altrimenti albergare in noi amore e assennattezza insieme, se non trionfasse a un certo punto la seconda a scapito del primo? Angelica non si perdette d’animo.
Ora che aveva ritrovato il suo Orlando, non voleva certo riperderlo. Andò un attimo in toilette, si rassettò il vestitino, tirò fuori dalla borsetta la busta dei trucchi e cominciò a incipriarsi, pettinarsi, passarsi il rossetto sulle labbra e il rimmel blu sulle ciglia, e tornò al tavolino, più decisa che mai a riprendersi quel cavaliere che chissà perché non s’era preso allora… Come diavolo aveva fatto a innamorarsi di quel mentecatto di Medoro, un semplice soldato semplice che poi, una volta diventato re del Catai, guarda come l’aveva trattata, da un giorno all’altro scaricata per quella sciacquetta diciottenne… Ah, quante sere aveva passato a piangere, e rimpiangere tutti quei bei cavalieri armati che le venivano dietro come mosche, e lei sdegnosa ingrata e presuntuosa peggio di una diva di Holliwood! Ma adesso basta, aveva ritrovato Orlando, il migliore di tutti, e non se lo sarebbe fatto scappare mai più. Ticchettando sui tacchi a spillo, tornò a sedersi al tavolino, sorrise, sbatacchiò le ciglia un po’ di volte e… fatta! Orlando ci ricascò come un salame.
Senza ricordare d’averla amata tanto, al punto da diventare pazzo furioso per amore, né d’essersi imbestiato tanto da correre nudo per il mondo, attaversare a nuoto il mare fino in Africa, uccidere passanti con la sola colpa di trovarsi sul suo cammino. Non ricordava. E per questo le sorrideva, estasiato di tanta bellezza e anche un poco fiero che una donna tale s’interessasse a lui. Ah, gran bontà de’cavalieri antiqui! Ché non si cade mai una volta sola imbelli negli stessi tranelli... e, gira gira, i desideri son sempre quelli. E così fu che Orlando e Angelica si sposarono una domenica mattina a Parigi. Presero in affitto un alloggetto, ebbero subito un figlio, e poi un altro. E per mantenerli, presero a lavorare dodici ore al giorno, Angelica come barista e Orlando come commesso viaggiatore. Tutto andò piuttosto bene, all’inizio. Poi vennero altri otto figli, così che in tutto faceva dieci. Dieci figli da portare all’asilo, a scuola, al liceo, ai corsi di recupero, a inglese, a danza, in piscina, a cavallo… Fu così che diventarono pazzi. Tutti e due, ma soprattutto lui. Orlando divenne veramente furioso. Cominciò a essere intrattabile, tirava piatti addosso a tutti in cucina, sferrava padellate a destra e a manca, usciva nudo sul balcone, rubava nei supermercati senza accorgersene, entrava nei cinema e si metteva a urlare, si sdraiava sulla linea di mezzeria dei boulevards in pieno traffico. Un giorno, più disperata che mai, Angelica chiamò il famoso cugino Astolfo. Gli spiegò tutto per bene, gli disse che non era colpa sua questa volta, che lei non ci poteva niente, che era la vita, la società, il progresso, chi lo sa … Gli chiese, per carità, aiuto! E come? chiese Astolfo, che era andato in pensione e si godeva la vita a Sharm-el-Sheik. Be’ ecco, se tu potessi ancora una volta per favore andare sulla Luna… sai, a riprendergli quel famoso senno… Astolfo la lasciò parlare. Sì, certo che si ricordava. Come no… la Luna, gran bel posto! Anche un bellissimo viaggio! L’avrebbe rifatto volentieri. E poi, per quel suo simpatico cugino, questo e altro. Solo che… Solo che, per far tutte quelle vacanze lì, hotel, gite nel deserto, snorkeling e cene a lume di candela… sì, insomma, si era venduto l’Ippogrifo! E come si può arrivare sulla Luna d’un sol fiato… senza cavallo alato? Fu così che gentilmente Astolfo si defilò, e suo cugino Orlando pazzo furioso restò.
«Angelica chiamò in soccorso Astolfo perché tornasse sulla luna a prendere il senno del marito. Ma lui, pensionato a Sharm-el-Sheik, aveva ormai già venduto l’Ippogrifo»
_____________________________________________
L’«Orlando Furioso» di Ludovico Ariosto si situa nella tradizione cavalleresca medioevale.
Pubblicato nel 1532, composto da 46 canti in ottave, in una trama dai destini incrociati fa ruotare intorno a Orlando, colui «che per amor venne in furore e matto», vari personaggi:
Angelica, Bradamante, Ruggiero, Astolfo. È un poema del movimento e dello spazio, il racconto di un sogno che diventa percorso iniziatico di conoscenza. Negli ultimi quarant’anni è stato riscoperto nella sua modernità da scrittori e registi che ne hanno tratto importanti interpretazioni. Calvino nel 1968 gli dedica alcune trasmissioni radiofoniche, il cui testo diventa nel 1970 l’«Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino». Edoardo Sanguineti collabora col regista Luca Ronconi per la «mascheratura» teatrale dello spettacolo che debutta nel 1969 e avrà successo in tutt’Europa, compreso il «travestimento/tradimento» tv in 5 puntate dell’Orlando che Ronconi dirige per la Rai per il quinto centenario della nascita di Ariosto.Avvenire» del 29 agosto 2010
Nessun commento:
Posta un commento