15 novembre 2011

Una gazzarra senza coraggio

Le contestazioni
di Aldo Cazzullo
La folla assiepata nella notte romana sotto il Quirinale e Palazzo Grazioli - più quella che ha puntato su Palazzo Chigi deserto - a urlare insulti, invocare le manette e gettare monetine al passaggio del premier dimissionario rappresenta uno spettacolo preoccupante. Preoccupante anche per chi del premier non ha mai condiviso un'idea o una parola. Nell'ora delicatissima in cui tra mille difficoltà potrebbe nascere un governo di solidarietà nazionale, in un momento drammatico in cui il Paese è chiamato al massimo sforzo di unità, nessuno può chiamarsi fuori, ognuno è tenuto a rinunciare alle asprezze polemiche, a cercare un minimo comune denominatore con l'avversario, per percorrere insieme un tratto di strada prima di tornare a dividersi nella competizione elettorale. È un sentiero stretto, quello su cui sta tentando di incamminarsi la politica italiana. Sarebbe stato impensabile, ancora poco tempo fa. Ma è un sentiero reso obbligato dalla crisi e dall'attacco della speculazione internazionale contro il nostro Paese. Inscenare una gazzarra come quella di ieri sera, con le forze dell'ordine costrette a intervenire per l'ennesima volta nel cuore della capitale, è il contrario di ciò che il mondo si aspetta dall'Italia. Soprattutto, è il contrario di ciò di cui l'Italia ha bisogno. È vero che i fischi al leader perdente - non un assedio con il centro di Roma bloccato e momenti di tensione, come quella di ieri - sono una consuetudine delle democrazie. Un gigante come François Mitterrand trovò ad attenderlo all'uscita dall'Eliseo dopo quattordici anni una folla non proprio amichevole, e non se ne adontò. Occorre però ricordare che Berlusconi non è stato battuto da un voto elettorale. Il governo cade a causa della crisi internazionale, e alla propria inadeguatezza a farvi fronte. Ma non va dimenticato che in questi diciassette anni Berlusconi ha sempre avuto un consenso vasto nel Paese, che oggi si è ridotto ma non è certo scomparso. Nel 1996 perse perché non aveva con sé Bossi. Dieci anni dopo per sconfiggerlo si dovette riunire in un'unica coalizione Dini e Cossutta, Mastella e il no global Caruso, la Binetti col cilicio e Luxuria vestito da donna: un'alleanza a malapena capace di vincere le elezioni, ma del tutto incapace di governare. La premessa di una nuova stagione non può prescindere dal rispetto per i sentimenti e le opinioni di chi in Berlusconi ha creduto. Prendersi vendette o rivincite alla fine di un ciclo lascia sempre un retrogusto amaro. Farlo ora, a metà del guado, è un esercizio imprudente oltre che improvvido. Non occorre grande coraggio per andare a urlare sotto casa di Berlusconi, o davanti alla sedi istituzionali. Ne occorre di più per unire le forze nell'emergenza anche con chi ha un sentire diverso dal proprio, nel nome di un interesse e di una responsabilità che mai come oggi sono comuni.
«Corriere della Sera» del 13 novembre 2011

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