Le tracce della maturità
di Pierluigi Battista
L’esame di maturità è rito nazionale, ricordo collettivo, terra di rimpianti, di incubi, di emozioni, di notti prima, di attese, di ricostituenti, di pregiudizi. Le tracce della prova scritta di italiano, poi, attirano sempre invettive, sarcasmi, conformismi, psicodrammi a sfondo ideologico. Ogni anno la polemica divampa. Ogni anno è esclusa l’unanimità di giudizio, la scuola essendo il luogo cruciale di un’identità italiana divisa e controversa. Neanche quest’anno avremo l’unanimità. E quindi non tutti saranno d'accordo se consideriamo le tracce su cui si sono cimentati ieri gli studenti maturandi una salutare sferzata di aria fresca. Innovativa e moderna, ma senza l’ansia ridicola di chi vuole stare al passo con i tempi. Rispettosa della nostra storia, ma senza squillanti retoriche autocelebrative. Articolata su temi e problemi interessanti, ma senza l’assillo del ringiovanimento coatto che attanaglia una scuola incerta su se stessa, e dunque più vulnerabile ai richiami corrivi dell’attualità a tutti i costi.
Innovativa nelle forme, con tracce stringate e, nel caso di quella sulla cultura giovanile, accompagnata dalle fotografie e dalle icone che hanno scandito un’epoca. Più propensa, nella traccia più propriamente storica, a lasciare agli studenti un giudizio meno ingessato e pedestre sulla vicenda storica nazionale che si snoda lungo centocinquant’anni di unità statuale italiana. Persino nella traccia dedicata all’amore, dove, accanto a Catullo e Dante, compare il più tenace studioso italiano e contemporaneo del fenomeno dell’innamoramento come Francesco Alberoni, la materia esistenzialmente incandescente si sposa a una concettualizzazione culturale di cui la scuola dovrebbe essere maestra (e non sempre, anzi troppo di rado, lo è). Qualche vaghezza sulla traccia d’economia, e qualche concessione allo spirito del tempo, come il riferimento troppo esplicito a un fenomeno attualissimo come Facebook, non macchiano l’impressione generale di un passo in avanti.
Il merito va ai docenti e ai consulenti che, assieme al ministro Gelmini, hanno messo a punto uno schema di lavoro riflessivo di livello finalmente dignitoso. Ma il risultato finale è anche il sintomo di una generale consapevolezza che un’era si è chiusa. E che la scuola deve uscire da quell’atmosfera di rassegnata irrilevanza culturale e formativa che si perpetua oramai da troppi anni, con gli esiti comparativamente non esaltanti rispetto ad altre esperienze nazionali. La liturgia degli esami di maturità si era trasformata in un rito stanco. Il supertecnicismo ha dato un’impronta insicura alla quantità troppo elevata di «riforme », aggiustamenti, ribaltamenti, riorientamenti che hanno terremotato la scuola con un ritmo frenetico. Ma dalle tracce della maturità di italiano sembra trasparire un nuovo equilibrio, una serietà non seriosa e un’attenzione meno convenzionale al lascito culturale di cui la scuola dovrebbe essere tramite, sebbene insidiata da altre e sempre più potenti «agenzie» educative. Un segno ancora debole e su cui non è il caso di investire un ottimismo eccessivo. Un segno controverso, ma che indica una direzione. E la speranza che la scuola italiana riconquisti una funzione essenziale, da tempo smarrita.
Innovativa nelle forme, con tracce stringate e, nel caso di quella sulla cultura giovanile, accompagnata dalle fotografie e dalle icone che hanno scandito un’epoca. Più propensa, nella traccia più propriamente storica, a lasciare agli studenti un giudizio meno ingessato e pedestre sulla vicenda storica nazionale che si snoda lungo centocinquant’anni di unità statuale italiana. Persino nella traccia dedicata all’amore, dove, accanto a Catullo e Dante, compare il più tenace studioso italiano e contemporaneo del fenomeno dell’innamoramento come Francesco Alberoni, la materia esistenzialmente incandescente si sposa a una concettualizzazione culturale di cui la scuola dovrebbe essere maestra (e non sempre, anzi troppo di rado, lo è). Qualche vaghezza sulla traccia d’economia, e qualche concessione allo spirito del tempo, come il riferimento troppo esplicito a un fenomeno attualissimo come Facebook, non macchiano l’impressione generale di un passo in avanti.
Il merito va ai docenti e ai consulenti che, assieme al ministro Gelmini, hanno messo a punto uno schema di lavoro riflessivo di livello finalmente dignitoso. Ma il risultato finale è anche il sintomo di una generale consapevolezza che un’era si è chiusa. E che la scuola deve uscire da quell’atmosfera di rassegnata irrilevanza culturale e formativa che si perpetua oramai da troppi anni, con gli esiti comparativamente non esaltanti rispetto ad altre esperienze nazionali. La liturgia degli esami di maturità si era trasformata in un rito stanco. Il supertecnicismo ha dato un’impronta insicura alla quantità troppo elevata di «riforme », aggiustamenti, ribaltamenti, riorientamenti che hanno terremotato la scuola con un ritmo frenetico. Ma dalle tracce della maturità di italiano sembra trasparire un nuovo equilibrio, una serietà non seriosa e un’attenzione meno convenzionale al lascito culturale di cui la scuola dovrebbe essere tramite, sebbene insidiata da altre e sempre più potenti «agenzie» educative. Un segno ancora debole e su cui non è il caso di investire un ottimismo eccessivo. Un segno controverso, ma che indica una direzione. E la speranza che la scuola italiana riconquisti una funzione essenziale, da tempo smarrita.
«Corriere della sera» del 26 giugno 2009
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