di Marco Bussagli
Potrà sembrare irriverente, ma spesso la memoria storica si lega ad aspetti che sono del tutto marginali rispetto alla personalità di questo o quel personaggio. Il caso per antonomasia è quello di uno dei più grandi imperatori romani, Tito Flavio Vespasiano (69-79), il cui nome è legato a quella tassa, in apparenza bislacca e invadente, posta sui luoghi pubblici che, da allora, hanno preso il suo nome: i vespasiani. Svetonio nella sua Vita Caesarum narra in proposito un gustoso episodio, nel quale Tito rimproverò suo padre per aver tassato le urine. Allora l’imperatore prese un gruzzolo di monete, primo risultato della nuova tassa, e postolo sotto il naso del figlio, gli chiese se fosse schifato dall’odore. Al suo diniego, Vespasiano rispose: «Eppure è il prodotto delle urine» ( Divus Vespasianus XXIII). In realtà, la tassa colpiva i fullones, i lavatori di panni a pagamento, che ricavavano dagli orinatoi pubblici l’ammoniaca utile a smacchiare i tessuti. Naturalmente l’opera di Vespasiano va ben oltre questo episodio, come risulta da una splendida mostra, curata da Filippo Coarelli, sull’età dei Flavi, ma che – per vari motivi – s’incentra sulla figura dell’imperatore che di quella dinastia fu il fondatore, emarginando la famiglia dei Giulio-Claudi, ossia quella di Cesare, di Augusto e di Claudio. Il fatto è che quando una classe politica non è più in grado di governare (e abbiamo esempi recenti), finisce per creare un vuoto di potere che, inevitabilmente, viene riempito da qualcun altro. Di sicuro, Vespasiano fu abilissimo e spietato (uccise Vitellio), ma è anche vero che gli ultimi rappresentanti della classe dirigente che lo precedettero fecero di tutto per farsi scalzare dal trono. Basterà, infatti, guardare alle date di successione dei tre sovrani che presero il posto di Nerone (54-68 d.C.) per capire che qualcosa sarebbe dovuto cambiare profondamente. Galba, Otone e Vitellio indossarono la porpora imperiale e la lasciarono bagnata del loro sangue subito dopo, succedendo l’uno all’altro in due soli anni, dal 68 al 69 d.C. Non sarebbe più bastato eleggere un altro imperatore: ce ne voleva uno diverso da tutti quelli che l’avevano preceduto. Infatti, Vespasiano era differente in tutto.
Nato a Falacrinae (Rieti), nel 9 d.C., apparteneva ai ceti popolari e aveva fatto carriera nell’esercito e nell’amministrazione sotto la dinastia dei Giulio-Claudi. Era una persona pratica e concreta, come potevano esserlo, con le dovute differenze, i contadini della sua terra. Fu quasi una rivoluzione. Quest’appartenenza alla plebe e la mancanza di una particolare eccellenza (che non significa inettitudine, ma piuttosto normalità, mediocritas oraziana) rendevano il personaggio assai gradito alla gente, in netto contrasto con l’arroganza, per esempio, di un Galba che aveva affermato – almeno così si narra – essere l’impero una sorta di possedimento ereditario della famiglia. Quando cinse la corona imperiale, Vespasiano aveva ormai sessant’anni, tutti segnati sul suo viso, come appare dal bel ritratto di Copenaghen che apre la mostra. Un ritratto impietoso che lascia intuire l’assenza degli incisivi, ma pure la forza e l’arguzia di chi sa governare con decisione e intelligenza. Quando prese il potere, Vespasiano si trovò dinanzi a una Roma umiliata dagli incendi e dalle devastazioni di Nerone che non era neppure riuscito a ultimare la Domus Aurea. Per questo Svetonio ( Divus Vespasianus, VIII, IX) scrive: «…per tutta la durata del suo impero, non ritenne nulla più importante del consolidare lo Stato quasi umiliato e vacillante, e poi di abbellirlo (…) Realizzò anche nuove opere: il Tempio della Pace vicino al Foro e quello del divino Claudio sul Celio (…) inoltre l’Anfiteatro al centro della città…», il Colosseo. Nata per celebrare i duemila anni dalla nascita dell’imperatore, l’esposizione «Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi», che inaugura il 27 marzo e resterà aperta fino al 10 gennaio 2010, corredata da un ricchissimo catalogo Electa, raccoglie più di cento pezzi provenienti dai principali musei del mondo che permettono di ricostruire le gesta e le vicende della dinastia Flavia che annovera anche gli imperatori Tito (79-81), il distruttore del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. primogenito di Vespasiano, e Domiziano (81-96) suo fratello minore. Anche le sedi espositive della mostra sono straordinarie e valgono, da sole, una visita: il Colosseo, la Curia, ossia il Senato al Foro, e il Criptoportico neroniano sul Palatino, riaperto per l’occasione.
Nato a Falacrinae (Rieti), nel 9 d.C., apparteneva ai ceti popolari e aveva fatto carriera nell’esercito e nell’amministrazione sotto la dinastia dei Giulio-Claudi. Era una persona pratica e concreta, come potevano esserlo, con le dovute differenze, i contadini della sua terra. Fu quasi una rivoluzione. Quest’appartenenza alla plebe e la mancanza di una particolare eccellenza (che non significa inettitudine, ma piuttosto normalità, mediocritas oraziana) rendevano il personaggio assai gradito alla gente, in netto contrasto con l’arroganza, per esempio, di un Galba che aveva affermato – almeno così si narra – essere l’impero una sorta di possedimento ereditario della famiglia. Quando cinse la corona imperiale, Vespasiano aveva ormai sessant’anni, tutti segnati sul suo viso, come appare dal bel ritratto di Copenaghen che apre la mostra. Un ritratto impietoso che lascia intuire l’assenza degli incisivi, ma pure la forza e l’arguzia di chi sa governare con decisione e intelligenza. Quando prese il potere, Vespasiano si trovò dinanzi a una Roma umiliata dagli incendi e dalle devastazioni di Nerone che non era neppure riuscito a ultimare la Domus Aurea. Per questo Svetonio ( Divus Vespasianus, VIII, IX) scrive: «…per tutta la durata del suo impero, non ritenne nulla più importante del consolidare lo Stato quasi umiliato e vacillante, e poi di abbellirlo (…) Realizzò anche nuove opere: il Tempio della Pace vicino al Foro e quello del divino Claudio sul Celio (…) inoltre l’Anfiteatro al centro della città…», il Colosseo. Nata per celebrare i duemila anni dalla nascita dell’imperatore, l’esposizione «Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi», che inaugura il 27 marzo e resterà aperta fino al 10 gennaio 2010, corredata da un ricchissimo catalogo Electa, raccoglie più di cento pezzi provenienti dai principali musei del mondo che permettono di ricostruire le gesta e le vicende della dinastia Flavia che annovera anche gli imperatori Tito (79-81), il distruttore del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. primogenito di Vespasiano, e Domiziano (81-96) suo fratello minore. Anche le sedi espositive della mostra sono straordinarie e valgono, da sole, una visita: il Colosseo, la Curia, ossia il Senato al Foro, e il Criptoportico neroniano sul Palatino, riaperto per l’occasione.
"Avvenire" del 18 marzo 2009
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