di Marcello Pera
Per decidere sul caso Eluana e sui molti altri simili se sia lecito togliere alimentazione a un individuo in coma permanente tutti si sono appellati all’art. 32 della Costituzione. Ho ragione di credere che non sia stato letto con attenzione, perché quell’articolo, assieme a quelli che lo sostengono, porta a concludere esattamente nel senso opposto a ciò che è accaduto. L’art. 32 fissa tre punti. Primo: esiste libertà di scelta della terapia o di rifiuto delle cure: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario». Secondo: la libertà terapeutica può essere regolata per legge: «... se non per disposizione di legge». Terzo: qualunque legge sulla libertà terapeutica o di rifiuto delle cure ha limiti invalicabili: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona». A questi limiti invalicabili la nostra Costituzione dà più di un nome, tutti con significato equipollente: all’art. 32 il nome del limite è la «persona umana», all’art.41 il nome è la «dignità umana». E poi c’è l’art. 2, che apparentemente nessuno legge più. È così lapidariamente bello l’inizio di questo articolo che conviene citarlo: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo».
Sono parole e concetti pesanti. Se la Repubblica questi diritti li «riconosce», allora essa non li crea: esistono prima della Repubblica stessa, indipendentemente dallo Stato, anteriormente allo Stato. Se sono «inviolabili», allora nessuno li può toccare né può disporne: né il malato, né i suoi congiunti, né la magistratura, né il Parlamento. E infine se sono diritti «dell’uomo», allora competono a lui in quanto uomo, sono propri della sua essenza di uomo, innati nella sua natura umana.
Il problema che i casi Eluana ci pongono è: togliere alimentazione a un malato terminale viola il diritto intoccabile alla vita e alla dignità dell’uomo? Alcuni rispondono: no, non lo viola perché quella non è più vita e non ha più dignità. Ma è un errore. Il malato terminale, quell’individuo in coma permanente che non ha più plausibili speranze di riprendersi, è ancora una persona, ha ancora la sua intrinseca dignità. Perché è soggetto dell’attenzione di chi lo cura e assiste, il quale soffre con lui e per lui. Perché emana affetto, chiede pietà, reclama solidarietà, instaura una relazione di comunità fra sé e noi. Perché è un uomo simile a noi, anche se le sue condizioni sono disperate. Ma allora, se costui è un uomo, è protetto dall’art.2 della Costituzione sui diritti dell’uomo: il suo diritto alla vita è intoccabile e non gli si può negare alimentazione.
Altri dicono: togliere alimentazione è sì provocare la morte, ma questo lo si può fare per rispetto alla sua «libertà personale». Anche questo è un errore: togliere alimentazione è togliere la vita e togliere la vita è togliere il presupposto stesso della dignità dell’uomo. Ma questo è proibito proprio dall’art.2 della Costituzione. E poi: che razza di concetto è mai questo della «libertà individuale»? Che cosa vuol dire libertà? Vuol dire arbitrio, discrezionalità sconfinata, licenza capricciosa, gratuita, illimitata? Può esserci libertà senza responsabilità e perciò senza limiti? Ancora un errore.
Ecco allora che la Costituzione ci offre gli strumenti giuridici e culturali per trattare i casi Eluana. Non occorre invocare la religione, né rivolgersi alla Chiesa, né ancor meno occorre la supponenza di insegnare alla Chiesa come essere Chiesa. Ai laici autentici è sufficiente la religione dell’art. 2: tutti gli uomini sono uguali in dignità e hanno gli stessi diritti inviolabili rispetto alla loro dignità. Certo, i laici autentici sanno qual è il nome della religione dell’art.2 della Costituzione. È il cristianesimo. E sanno che senza il cristianesimo non ci sarebbe mai stato l’art.2. I laici anticristiani si dimenticano invece sia il nome che la cosa. Perciò chiedono che sia autorizzata la morte, perciò sollecitano che sia interrotta l’alimentazione, perciò polemizzano contro la Chiesa. Altro grave errore.
Ai laici sinceri, ripeto, basta la religione dell’art.2, la sua intangibilità. Chi vuole disfarsi anche di questa pietra miliare per assecondare la «libertà individuale» non è solo fuori della pietà cristiana, è - e ciò per un Parlamento laico conta assai di più - contrario alla Costituzione italiana.
Sono parole e concetti pesanti. Se la Repubblica questi diritti li «riconosce», allora essa non li crea: esistono prima della Repubblica stessa, indipendentemente dallo Stato, anteriormente allo Stato. Se sono «inviolabili», allora nessuno li può toccare né può disporne: né il malato, né i suoi congiunti, né la magistratura, né il Parlamento. E infine se sono diritti «dell’uomo», allora competono a lui in quanto uomo, sono propri della sua essenza di uomo, innati nella sua natura umana.
Il problema che i casi Eluana ci pongono è: togliere alimentazione a un malato terminale viola il diritto intoccabile alla vita e alla dignità dell’uomo? Alcuni rispondono: no, non lo viola perché quella non è più vita e non ha più dignità. Ma è un errore. Il malato terminale, quell’individuo in coma permanente che non ha più plausibili speranze di riprendersi, è ancora una persona, ha ancora la sua intrinseca dignità. Perché è soggetto dell’attenzione di chi lo cura e assiste, il quale soffre con lui e per lui. Perché emana affetto, chiede pietà, reclama solidarietà, instaura una relazione di comunità fra sé e noi. Perché è un uomo simile a noi, anche se le sue condizioni sono disperate. Ma allora, se costui è un uomo, è protetto dall’art.2 della Costituzione sui diritti dell’uomo: il suo diritto alla vita è intoccabile e non gli si può negare alimentazione.
Altri dicono: togliere alimentazione è sì provocare la morte, ma questo lo si può fare per rispetto alla sua «libertà personale». Anche questo è un errore: togliere alimentazione è togliere la vita e togliere la vita è togliere il presupposto stesso della dignità dell’uomo. Ma questo è proibito proprio dall’art.2 della Costituzione. E poi: che razza di concetto è mai questo della «libertà individuale»? Che cosa vuol dire libertà? Vuol dire arbitrio, discrezionalità sconfinata, licenza capricciosa, gratuita, illimitata? Può esserci libertà senza responsabilità e perciò senza limiti? Ancora un errore.
Ecco allora che la Costituzione ci offre gli strumenti giuridici e culturali per trattare i casi Eluana. Non occorre invocare la religione, né rivolgersi alla Chiesa, né ancor meno occorre la supponenza di insegnare alla Chiesa come essere Chiesa. Ai laici autentici è sufficiente la religione dell’art. 2: tutti gli uomini sono uguali in dignità e hanno gli stessi diritti inviolabili rispetto alla loro dignità. Certo, i laici autentici sanno qual è il nome della religione dell’art.2 della Costituzione. È il cristianesimo. E sanno che senza il cristianesimo non ci sarebbe mai stato l’art.2. I laici anticristiani si dimenticano invece sia il nome che la cosa. Perciò chiedono che sia autorizzata la morte, perciò sollecitano che sia interrotta l’alimentazione, perciò polemizzano contro la Chiesa. Altro grave errore.
Ai laici sinceri, ripeto, basta la religione dell’art.2, la sua intangibilità. Chi vuole disfarsi anche di questa pietra miliare per assecondare la «libertà individuale» non è solo fuori della pietà cristiana, è - e ciò per un Parlamento laico conta assai di più - contrario alla Costituzione italiana.
«La Stampa» dell’11 febbraio 2009
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