di Flavio Felice
In un recente saggio Rodney Stark sostiene che la tesi secondo la quale il capitalismo sarebbe nato nel mondo protestante è stata da tempo abbandonata dagli storici del pensiero economico; anzi, va molto oltre le critiche correnti che anche in Italia molti studiosi rivolgono alle tesi di Max Weber. Da una parte, sostiene che il cattolicesimo è alle origini non solo del capitalismo, ma anche della scienza e della nozione di libertà personale, e dall’altra, semmai il protestantesimo avrebbe danneggiato l’economia moderna nascente e ne avrebbe ritardato il progresso. Se le analisi di Stark rivoluzionano le spiegazioni più comuni su un Medioevo come periodo di decadenza o di stasi, la ricerca di Oreste Bazzichi: Oltre l’usura. L’etica economica della Scuola francescana, dimostra, documenti alla mano, che non è stata la contrapposizione tra la società laica e quella religiosa, ma la teologia cristiana, che ha aperto la strada alla libertà, alle innovazioni intellettuali, antropologiche, economiche, politiche e sociali. È stata una felice intuizione di Lord Acton quella di ascrivere al cristianesimo il merito di aver introdotto nella storia quel dualismo tra stato e Chiesa che costituì un’autentica garanzia di libertà, che si manifestò in modo particolare durante il Medioevo. Nel suo più recente lavoro, il Bazzichi analizza l’ampia serie di fonti della Scuola francescana medievale e tardo-medievale, sottolineandone la modernità della visione economica: circolazione e produttività del denaro, regolamenta- zione del mercato, legittimità della mercatura, investimento sociale della ricchezza, accumulazione produttiva. La figura del mercante operoso è valutata positivamente nella misura in cui contribuisce alla crescita del bene comune cittadino, mentre la ricchezza o l’accumulazione infruttuosa - le rendite parassitarie - è sterile e negativa.
Ciò comporta che i mercanti, secondo il frate francescano Pietro di Giovanni Olivi, provvedono «indiscutibili vantaggi e cose necessarie che provengono alla comunità dalle azioni e dal mestiere del mercante e, insieme con ciò, dal peso delle fatiche, dai rischi, spese, inene dustrie e dalle attenzioni sollecite e insonni che tale ufficio esige». A questo proposito, c’è stato chi – da De Roover, Schumpeter, Rothbard, Chafuen a Antiseri – ha inteso leggere negli scritti del frate provenzale il tentativo di una embrionale descrizione analitica dei processi di mercato che, a partire da una teoria soggettiva del valore che anticipa di circa seicento anni la rivoluzione marginalista, lo condurrà ad affermare che il prezzo corrente (di mercato) corrisponderebbe al 'bene comune'. È un fatto che l’Olivi condanna il prezzo di monopolio e le esazioni dei prezzi effettuate approfittando di eventuali stati di necessità e lega la nozione di 'prezzo giusto' all’utilità oggettiva: virtuositas, alla scarsità del bene: raritas e alla sua desiderabilità, ossia all’utilità soggettiva: complacibilitas, oltre che ad altri elementi riconducibili al costo di produzione.
Non mancano coloro che hanno evidenziato il paradosso: il francescano distingue il necessario dal superfluo, ma valorizza il denaro fruttuoso; apre un acceso dibattito sulla povertà assoluta di Cristo e gli Apostoli, ma considera i mercanti onesti 'esperti di ricchezza' e 'benefattori' del benessere della comunità; sottolinea la distinzione del credito cristiano, in quanto orientato alla produzione, dall’usura che sfrutta e uccide i bisognosi; differenzia il concetto tra 'usura' e 'interesse', dove l’interesse diventa un profitto moderato ma necessario, e il prezzo di mercato diventa la base di riferimento per il 'giusto prezzo' del prestito; condanna il prestito usurario (esoso), ma fonda la 'reciprocità economica solidale' con la geniale intuizione dei Monti di Pietà, promuovendo la circolazione del denaro; chiarisce la differenza fra lusso e giusto uso dei beni, nell’orizzonte del bene comune, che richiede non una mera enunciazione di intenzioni, ma una organizzazione politicosociale che lo sostenga e lo renda concretamente possibile. Insomma, i francescani, fautori della povertà volontaria, diventano, paradossalmente, i 'teorici' dell’ordine di mercato. Merito di Oreste Bazzichi è stato di avere sottolineato il nesso tra società civile e sistema economico, evidenziando come il collegamento tra competizione e società civile non sia stata una degenerazione della cultura occidentale post-fordista, quanto un elemento imprescindibile della tradizione e della cultura romano-cristiana.
Oreste Bazzichi, Oltre l’usura. L’etica economica della Scuola francescana, Effatà, pp. 144, € 13,00
Ciò comporta che i mercanti, secondo il frate francescano Pietro di Giovanni Olivi, provvedono «indiscutibili vantaggi e cose necessarie che provengono alla comunità dalle azioni e dal mestiere del mercante e, insieme con ciò, dal peso delle fatiche, dai rischi, spese, inene dustrie e dalle attenzioni sollecite e insonni che tale ufficio esige». A questo proposito, c’è stato chi – da De Roover, Schumpeter, Rothbard, Chafuen a Antiseri – ha inteso leggere negli scritti del frate provenzale il tentativo di una embrionale descrizione analitica dei processi di mercato che, a partire da una teoria soggettiva del valore che anticipa di circa seicento anni la rivoluzione marginalista, lo condurrà ad affermare che il prezzo corrente (di mercato) corrisponderebbe al 'bene comune'. È un fatto che l’Olivi condanna il prezzo di monopolio e le esazioni dei prezzi effettuate approfittando di eventuali stati di necessità e lega la nozione di 'prezzo giusto' all’utilità oggettiva: virtuositas, alla scarsità del bene: raritas e alla sua desiderabilità, ossia all’utilità soggettiva: complacibilitas, oltre che ad altri elementi riconducibili al costo di produzione.
Non mancano coloro che hanno evidenziato il paradosso: il francescano distingue il necessario dal superfluo, ma valorizza il denaro fruttuoso; apre un acceso dibattito sulla povertà assoluta di Cristo e gli Apostoli, ma considera i mercanti onesti 'esperti di ricchezza' e 'benefattori' del benessere della comunità; sottolinea la distinzione del credito cristiano, in quanto orientato alla produzione, dall’usura che sfrutta e uccide i bisognosi; differenzia il concetto tra 'usura' e 'interesse', dove l’interesse diventa un profitto moderato ma necessario, e il prezzo di mercato diventa la base di riferimento per il 'giusto prezzo' del prestito; condanna il prestito usurario (esoso), ma fonda la 'reciprocità economica solidale' con la geniale intuizione dei Monti di Pietà, promuovendo la circolazione del denaro; chiarisce la differenza fra lusso e giusto uso dei beni, nell’orizzonte del bene comune, che richiede non una mera enunciazione di intenzioni, ma una organizzazione politicosociale che lo sostenga e lo renda concretamente possibile. Insomma, i francescani, fautori della povertà volontaria, diventano, paradossalmente, i 'teorici' dell’ordine di mercato. Merito di Oreste Bazzichi è stato di avere sottolineato il nesso tra società civile e sistema economico, evidenziando come il collegamento tra competizione e società civile non sia stata una degenerazione della cultura occidentale post-fordista, quanto un elemento imprescindibile della tradizione e della cultura romano-cristiana.
Oreste Bazzichi, Oltre l’usura. L’etica economica della Scuola francescana, Effatà, pp. 144, € 13,00
«Avvenire» del 21 giugno 2008
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