Il romanzo di Paola Mastrocola
di Giorgio De Rienzo
Lidia, protagonista narrante del nuovo libro di Paola Mastrocola Più lontana della luna (Guanda, pagine 296, 16), abita in un ex podere reale di Stupinigi, con il padre operaio alla Fiat e la madre che vende al mercato frutta e verdura. Nel «niente» della sua vita la ragazzina attende qualcosa che la ravvivi da quel «cadavere» che è. Ha solo la terza media, ma un giorno le capita di leggere la poesia di un antico «trovatore», di cui viene a sapere che per tutta l’esistenza amò una principessa da lontano, senza averla vista mai. Quell’«amore da lontano» diventa per lei un’idea fissa, che non mette bene a fuoco, ma l’affascina. Inizia così la ricerca. Vuole «trovare» questo amore a ogni costo, perché lei si sente un «trovatore» come il poeta. Parte il 25 ottobre del 1970 all’avventura: può andare intanto a cercare a Milano Diego, un ragazzo conosciuto al mare, che le ha mandato una cartolina. Ma non sarà lui di certo l’uomo della vita: potrebbe un «trovatore» vivere i suoi sogni con «uno dei tanti, grigio e con l’aria di lavoro»? No, che non può. Lidia perciò torna a casa e avrà altre esperienze fallimentari: immagina d’amare un pittore che è invece un avvocato; si fidanza con un ingegnere e sta per sposarsi, ma, presa dal panico, scappa di nuovo. Parte ora in sella a un cavallo: da «trovatore» si trasforma in «cavaliere» e vaga per l’Italia fino a quando, galoppando in un «immenso prato verde», vede la figura di un uomo vestito di bianco che lei si figura come un «guerriero». Ma scopre presto che è un impiegato alla posta con la passione dell’aikido: un uomo banale che non si può amare da lontano. Risale allora in sella e va a Pisa dove, per puro caso, incontra un grande illusionista, da cui è attratta magneticamente. Forse è la volta buona. L’uomo che fa sparire e ricomparire cose e persone dal nulla è un giramondo. Si chiama Micael ed è molto vecchio. Le insegna che «vedere e non vedere le cose» (nonché la vita) è «solo questione di luce» e prospettiva. Lidia trascorre qualche giorno con lui «infelicemente felice». Ha la «sensazione vaga» di «aver trovato finalmente un amore perfetto: appena nato e già finito, ma anche non finito, perché era come se non fosse mai cominciato. Un amore fermo, che non aveva un tempo e dunque non nasceva e non moriva, da tenere soltanto nella mente, da coltivare intatto come un sempreverde». La Mastrocola è una scrittrice così: allegramente strampalata, narra storie sognanti che piacciono ai lettori, con un linguaggio minimale sempre a rischio di cadute, appena si sposta dalla sua semplificazione estrema: «Il tempo, andando a cavallo, si sfilaccia, diventa lungo e un po’bianchiccio». Così capita che nel dire si possano mettere «mille puntini di sospensione nella voce». Non solo. La Mastrocola non costruisce una struttura narrativa, va avanti e indietro un po’a caso, riempie le pagine con diversivi. E qui, giacché il racconto è ambientato negli anni Settanta e Ottanta, infila notizie di cronaca tremende (Calabresi e Pinochet, Pasolini e Moro), solo per dire che a tutto ciò la sua stralunata protagonista è indifferente.
«Corriere della sera» del 31 ottobre 2007
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