di Roberto Beretta
Bei tempi, quando – invece di litigare – si «disputava». Tra predicatori come accadeva nell’età comunale, a svolgere singolari e accattivanti «omelie dialogate» da due pulpiti contrapposti nelle navate. Tra teologi alla maniera delle università medievali, quando anche san Tommaso faceva trascrivere le sue quaestiones disputatae come libri di testo per gli alunni...
D’altronde, il buon esempio veniva da Gesù Cristo stesso: del quale dodicenne il Vangelo (e poi i misteri del rosario) ricordano il curioso episodio della fuga dai genitori per sgattaiolare nel Tempio a «disputare» con dottori assai più anziani. Che il cristianesimo conservasse il culto della «disputa» – un po’ più dell’accomodante dialogo, un po’ meno della rissosa controversia – ce ne siamo forse dimenticati, in quest’era che si bilancia tra tolleranza acritica e opposizione ideologica. Viene dunque opportunamente a rammentarlo per immagini la mostra dedicata a «La Disputa» e aperta fino al 13 gennaio nel Museo d’Arte e cultura sacra di Romano di Lombardia (Bg). Un tema insolito, defilato come è la sede della rassegna, però ben illustrato grazie a una sfilata di 100 opere – dagli olii alle stampe –, spesso minori ma non solo (ci sono anche Durer, Tintoretto, Pomarancio, Guardi, Rembrandt...), divise in 10 sezioni e comprese tra Cinque e Settecento; ovvero nell’età moderna che pure – grazie a Riforma e Controriforma – fu un periodo cruciale per l’evoluzione della disputa nella tradizione cattolica. Lo spunto all’iniziativa è data dal restauro, nella locale basilica di San Defendente, della Cappella della Dottrina Cristiana, destinata in altri tempi al catechismo. E già qui affiora una curiosità significativa: se la lunetta della cappella ospita infatti una tela del gesuita secentesco Andrea Pozzo, dedicata ovviamente alla «Disputa di Gesù tra i dottori» (1675), sotto il quadro è stato rinvenuto da poco un dipinto a secco di non molto precedente (1642) e che raffigura l’unica «Disputa della Dottrina Cristiana» – in pratica, una scuola di catechismo – conservata in Italia. La circostanza serve a interrogarsi su come, nel volgere di nemmeno mezzo secolo, fosse cambiata la teologia – e la conseguente iconografia – della «disputa» in casa cattolica, dal momento che l’immagine di un Cristo (adulto e barbuto) che funge da maestro per un gruppo di giovinetti «moderni», come accadeva in una scuola di dottrina dell’epoca, venne coperta dalla classica raffigurazione di Gesù adolescente tra i rabbini. Quasi fosse ormai necessario trascorrere da un approccio descrittivo a uno più analogico, dalla sottolineatura di una possibile contemporaneità di Gesù alla rappresentazione più ordinata e «sicura» del Vangelo, del dogma. Ma non è l’unica evoluzione della «disputa», come dimostra il saggio a catalogo di Marco Collareta, che ripercorre il tema nell’arte cristiana fin dagli esordi. Nel V secolo, ad esempio, il modello di Gesù nel Tempio era ancora la scuola romana, con la sola «sorpresa» di trovare un giovanetto quale maestro. Ma non passa molto perché s’affermi l’immagine di Cristo che domina la scena da un’alta cattedra, quanto somigliante a un trono: un’ostentazione della regalità, più che del potere della parola. Gesù torna bambino (anche nella statura) solo con l’arte gotica, Giotto compreso, che di suo aggiunge ai quadri un contorno architettonico grandioso; curioso pure il verismo nel rappresentare i giudei, forse per rispecchiare i dibattiti pubblici dell’epoca tra religiosi cattolici ed ebrei; ma si noti anche il far capolino di Maria: quasi un simbolo della Chiesa, «difesa» dal suo Fondatore-figlio contro l’«eresia» incarnata dai dottori.
Raramente, peraltro, i dipinti mostrano il retaggio di un antisemitismo che sarebbe stato facile enfatizzare con le espressioni ostili o mostruose dei rabbini; Beato Angelico, ad esempio, costruisce la sua «Disputa» a immagine di una rispettosa discussione ecumenica. Al massimo l’allegorismo si spinge a rappresentare il Nazareno che tiene in mano un libro e i dottori mentre svolgono rotoli di papiro, simboli trasparenti dell’opposizione tra Legge nuova e antica. La ritrovata centralità – anche sociale – dell’infanzia continua a esprimersi nei secoli seguenti.
Dunque Correggio dipinge Gesù dodicenne in primissimo piano, e nemmeno Durer se la sente di barare sull’età. D’altra parte, mettere in cattedra un maestro imberbe serve teologicamente a sottolineare la natura divina della sua scienza, contrariamente ai tanti dottori del mondo – più saggi quanto più s’imbianca il pelo. «Per mostrar ch’era huomo – chiosa Landolfo di Sassonia a fine Cinquecento commentando l’episodio evangelico – ascoltava humilmente gli huomini ch’erano maestri; per provar ch’era Dio, rispondeva a loro».
Ed è proprio il XVI secolo l’epoca d’oro della Disputa, almeno in Italia. Non a caso, è pure il periodo di rilancio delle scuole di catechismo e delle «dispute», intese come quiz religiosi a premi tra gli alunni; dunque il tema iconografico di Gesù tra i dottori acquista un valore esortativo aggiunto. Poi il barocco ci mette del suo, accentuando con l’enfasi del gestire il senso allegorico della composizione: e – come nelle celeberrime «Dispute» raffaellesche vaticane, una sacra e una profana, i personaggi significano con la posizione delle mani il centro delle rispettive riflessioni – così, a indicare un’ascesi che coinvolga i cuori e le volontà, Cristo punta invariabilmente il dito in su. Per salvare l’anima, del resto, non serve più interpretare le Scritture (pretesa anzi quanto mai ««protestante»...), basta bensì applicare la devozione e rispettare i precetti della Chiesa. Anche l’adolescente Gesù dunque, deposto il Libro che stava spiegando ai dottori, resterà qualche secolo così, col braccio teso verso il cielo.
D’altronde, il buon esempio veniva da Gesù Cristo stesso: del quale dodicenne il Vangelo (e poi i misteri del rosario) ricordano il curioso episodio della fuga dai genitori per sgattaiolare nel Tempio a «disputare» con dottori assai più anziani. Che il cristianesimo conservasse il culto della «disputa» – un po’ più dell’accomodante dialogo, un po’ meno della rissosa controversia – ce ne siamo forse dimenticati, in quest’era che si bilancia tra tolleranza acritica e opposizione ideologica. Viene dunque opportunamente a rammentarlo per immagini la mostra dedicata a «La Disputa» e aperta fino al 13 gennaio nel Museo d’Arte e cultura sacra di Romano di Lombardia (Bg). Un tema insolito, defilato come è la sede della rassegna, però ben illustrato grazie a una sfilata di 100 opere – dagli olii alle stampe –, spesso minori ma non solo (ci sono anche Durer, Tintoretto, Pomarancio, Guardi, Rembrandt...), divise in 10 sezioni e comprese tra Cinque e Settecento; ovvero nell’età moderna che pure – grazie a Riforma e Controriforma – fu un periodo cruciale per l’evoluzione della disputa nella tradizione cattolica. Lo spunto all’iniziativa è data dal restauro, nella locale basilica di San Defendente, della Cappella della Dottrina Cristiana, destinata in altri tempi al catechismo. E già qui affiora una curiosità significativa: se la lunetta della cappella ospita infatti una tela del gesuita secentesco Andrea Pozzo, dedicata ovviamente alla «Disputa di Gesù tra i dottori» (1675), sotto il quadro è stato rinvenuto da poco un dipinto a secco di non molto precedente (1642) e che raffigura l’unica «Disputa della Dottrina Cristiana» – in pratica, una scuola di catechismo – conservata in Italia. La circostanza serve a interrogarsi su come, nel volgere di nemmeno mezzo secolo, fosse cambiata la teologia – e la conseguente iconografia – della «disputa» in casa cattolica, dal momento che l’immagine di un Cristo (adulto e barbuto) che funge da maestro per un gruppo di giovinetti «moderni», come accadeva in una scuola di dottrina dell’epoca, venne coperta dalla classica raffigurazione di Gesù adolescente tra i rabbini. Quasi fosse ormai necessario trascorrere da un approccio descrittivo a uno più analogico, dalla sottolineatura di una possibile contemporaneità di Gesù alla rappresentazione più ordinata e «sicura» del Vangelo, del dogma. Ma non è l’unica evoluzione della «disputa», come dimostra il saggio a catalogo di Marco Collareta, che ripercorre il tema nell’arte cristiana fin dagli esordi. Nel V secolo, ad esempio, il modello di Gesù nel Tempio era ancora la scuola romana, con la sola «sorpresa» di trovare un giovanetto quale maestro. Ma non passa molto perché s’affermi l’immagine di Cristo che domina la scena da un’alta cattedra, quanto somigliante a un trono: un’ostentazione della regalità, più che del potere della parola. Gesù torna bambino (anche nella statura) solo con l’arte gotica, Giotto compreso, che di suo aggiunge ai quadri un contorno architettonico grandioso; curioso pure il verismo nel rappresentare i giudei, forse per rispecchiare i dibattiti pubblici dell’epoca tra religiosi cattolici ed ebrei; ma si noti anche il far capolino di Maria: quasi un simbolo della Chiesa, «difesa» dal suo Fondatore-figlio contro l’«eresia» incarnata dai dottori.
Raramente, peraltro, i dipinti mostrano il retaggio di un antisemitismo che sarebbe stato facile enfatizzare con le espressioni ostili o mostruose dei rabbini; Beato Angelico, ad esempio, costruisce la sua «Disputa» a immagine di una rispettosa discussione ecumenica. Al massimo l’allegorismo si spinge a rappresentare il Nazareno che tiene in mano un libro e i dottori mentre svolgono rotoli di papiro, simboli trasparenti dell’opposizione tra Legge nuova e antica. La ritrovata centralità – anche sociale – dell’infanzia continua a esprimersi nei secoli seguenti.
Dunque Correggio dipinge Gesù dodicenne in primissimo piano, e nemmeno Durer se la sente di barare sull’età. D’altra parte, mettere in cattedra un maestro imberbe serve teologicamente a sottolineare la natura divina della sua scienza, contrariamente ai tanti dottori del mondo – più saggi quanto più s’imbianca il pelo. «Per mostrar ch’era huomo – chiosa Landolfo di Sassonia a fine Cinquecento commentando l’episodio evangelico – ascoltava humilmente gli huomini ch’erano maestri; per provar ch’era Dio, rispondeva a loro».
Ed è proprio il XVI secolo l’epoca d’oro della Disputa, almeno in Italia. Non a caso, è pure il periodo di rilancio delle scuole di catechismo e delle «dispute», intese come quiz religiosi a premi tra gli alunni; dunque il tema iconografico di Gesù tra i dottori acquista un valore esortativo aggiunto. Poi il barocco ci mette del suo, accentuando con l’enfasi del gestire il senso allegorico della composizione: e – come nelle celeberrime «Dispute» raffaellesche vaticane, una sacra e una profana, i personaggi significano con la posizione delle mani il centro delle rispettive riflessioni – così, a indicare un’ascesi che coinvolga i cuori e le volontà, Cristo punta invariabilmente il dito in su. Per salvare l’anima, del resto, non serve più interpretare le Scritture (pretesa anzi quanto mai ««protestante»...), basta bensì applicare la devozione e rispettare i precetti della Chiesa. Anche l’adolescente Gesù dunque, deposto il Libro che stava spiegando ai dottori, resterà qualche secolo così, col braccio teso verso il cielo.
«Avvenire» del 2 novembre 2007
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