Nasceva cent'anni fa Denis de Rougemont. Amico di Mounier, fu autore del fondamentale studio «L'amore e l'Occidente»
Di Franco Cardini
A Parigi, negli anni Trenta, si avvicinò a «Esprit» e al personalismo. Antinazista,
non smise mai di battersi per la libertà in ogni occasione
non smise mai di battersi per la libertà in ogni occasione
È già passato un secolo: e, per fortuna, una volta tanto ci si è ricordati di un centenario davvero degno di esser celebrato. Denis de Rougemont, nato l'8 settembre del 1906 a Couvent nella Svizzera francese, e morto ottantenne a Ginevra nel 1985, fu sul serio un grande scrittore e un grande europeo, al quale dobbiamo tutti - anche i troppi che in Italia non lo hanno mai sentito nominare - ben più di quanto non crediamo.
Europeo sul serio, per vocazione: certo, in ciò la nazionalità svizzera lo aiutò. Studiò a Neuchâtel, a Ginevra, a Vienna; conosceva il francese, il tedesco e il latino; e accompagnava la sua buona formazione letteraria a ottime conoscenze storiche e psicologiche. A Parigi negli anni Trenta, divenne amico di Emmanuel Mounier e si avvicinò alla rivista «Esprit» e al personalismo, combattendo aspramente sia l'individualismo laicistico, sia i totalitarismi. Nel 1940, mobilitato nell'esercito federale svizzero, si dette a un'attività molto energica e intensa di organizzazione della resistenza culturale al nazionalsocialismo, che nella Confederazione Elvetica contava discreti simpatizzanti. Per questo la sua posizione fu giudicata pericolosamente incompatibile con l'ostentata neutralità svizzera: ed egli fu costretto ad emigrare oltre l'Atlantico. Negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, abbracciò un impegno civile per la libertà d'espressione che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Nel 1950 fondò a Ginevra il Centre européen de la culture, una tribuna dalla quale instancabilmente difese le sue convinzioni federaliste. La sua Lettre sur la bombe atomique, del 1946, è un documento esemplare di umanità e di coraggio civile: insospettabile di simpatìe per le sconfitte potenze dell'Asse, de Rougemont non esitò ad ergersi contro il pericolo di disumanizzazione che lo strumento nucleare portava con sé e a sottolineare come esso fosse intrinsecamente opposto a qualunque disegno di difesa della libertà. Allo stesso modo, non si tirò mai in dietro dinanzi a nessuna campagna per la difesa della libertà di pensiero e per la liberazione di chiunque fosse perseguitato per le sue idee, senza riguardo per il contenuto di esse.
Ma la sua personalità di studioso risulta legata per sempre a un capolavoro che, per qualità, fama e densità di conseguenze sul piano culturale, può esser messo a confronto con L'autunno del Medioevo di Huizinga o con I re taumaturghi di Bloch. Alludiamo a L'amore e l'Occidente, redatto in francese nel 1939, ch'è una potente meditazione sulla specificità della cultura occidentale nata in Grecia e sviluppatasi nell'Europa tra medioevo ed età moderna. L'amore-passione, l'amore impossibile che anima i sogni e le fantasie della cultura europea, è stato un'originale concezione del XII secolo, nata dall'incontro fra una rilettura originale delle opere latine (soprattutto Ovidio) e la sublimazione della letteratura cristiana cavalleresca. Nella tesi che l'amore-passione sarebbe nato in Occidente dall'eresia catara, e avrebbe influenzato tutta la successiva letteratura occidentale c'è tutta l'originalità di de Rougemont, che difendeva l'amore coniugale.
Ancora, i suoi scritti storici sull'Europa - che non sacrificano mai il rigore della ricerca alla passione europeistica, tuttavia sempre molto viva -, come Vingt-huit siècles d'Europe, del 1961, e Les chances de l'Europe, del 1962, hanno inaugurato un tipo e un taglio di ricerca che unisce l'attenzione scientifica alla passione civica. Ne L'aventure occidentale de l'homme, del 1957, egli si era posto con forza un problema che ancor oggi è di grande attualità: la sostanza della cultura occidentale, la sua dinamica, il suo rapporto con il mondo europeo e la problematicità d'una identificazione totale tra Europa e Occidente nel mondo contemporaneo.
Nel 1977, ormai passato il traguardo dei settant'anni, de Rougemont indirizzò alla comunità intellettuale europea un nobilissimo manifesto, ch'è anche una specie di testamento culturale: L'avenir est notre affaire (1977), che con lungimiranza, e in tempi non sospetti, denunziava le prospettive della distruzione dell'ambiente, dell'inquinamento, della corsa al profitto, del progresso fine a se stesso e dello spirito nichilista che lo anima. Il magistero di un uomo libero, che non va dimenticato.
«Avvenire» del 7 settembre 2006
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