Le terribili violenze familiari fra immigrati ci interrogano
di Lucetta Scaraffia
di Lucetta Scaraffia
Non è facile cambiare di colpo cultura, società di riferimento: ce l'abbiamo sotto gli occhi in questi giorni, ce lo dicono le donne uccise o suicide - o, nella migliore delle ipotesi, fuggite dalla famiglia perché segregate e picchiate - che appartengono alle diverse comunità immigrate nel nostro Paese. Gli uomini in apparenza si inseriscono bene nei nostri ritmi di lavoro, imparano le tecnologie, si muovono con disinvoltura nelle nostre strade. Le donne possono sì avere il telefonino, e magari vestirsi all'occidentale, ma nel fondo devono restare quelle che erano in Pakistan, in India, in Marocco. Invece, vivere tra noi, vedere come si comportano le loro coetanee, guardare la televisione, rende loro difficilissimo accettare un destino obbligato. Le stesse vicende che un tempo erano ritenute normali, come i matrimoni combinati e imposti, ora sono intollerabili agli occhi di donne immerse in un contesto socio culturale che spinge in direzione della valorizzazione delle libertà individuali.Noi proviamo un brivido di orrore per un tipo di imposizione che solo poco più di un secolo fa - ma in certe regioni anche meno - era presente anche nella nostra società. Una condizione - è bene ricordarlo - percepita come insostenibile dalle donne occidentali solo a partire dal XIX secolo. A queste donne immigrate abbiamo di fatto insegnato che non c'è niente di peggio del non essere padrone del proprio destino, del non poter scegliere, e che proprio in questo sta la felicità. Neppure noi sappiamo se in realtà questo è vero, ma quel che è certo è che non possiamo più sopportare alcuna restrizione, e soprattutto nessuna restrizione diseguale, che colpisce solo una parte della popolazione, quella più debole, di solito le donne.Ma è un dramma che travolge anche gli uomini: vorrebbero mantenere fuori della porta di casa la modernità e si ritrovano invece assassini o bruti davanti a una ribellione che non riescono a spiegarsi. Per loro è molto difficile accettare una trasformazion e che significa perdita di potere, e soprattutto perdita di "onore" nei confronti della comunità di riferimento.Bisognerebbe farli crescere insieme, donne e uomini, fare accettare a entrambi la necessità di rispettare la dignità di ogni essere umano, facendo capire loro - e comprendendo davvero anche noi - che pure in queste nuove condizioni si può mantenere la famiglia unita e il rispetto di sé. Facendo capire loro - e comprendendo anche noi - che la modernità non è soltanto disgregazione e disordine nelle relazioni umane.
«Avvenire» del 6 settembre 2006
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