Jon McGregor: i destini della gente qualsiasi sono il vero romanzo
Di Ranieri Polese
Si può veramente ricostruire il passato, scoprire come sono andate davvero le cose? Il quesito non riguarda solo gli storici di professione, oggi impegnati a discutere fra le diverse opzioni di macro-storia e micro-storia (detto brutalmente: i grandi avvenimenti o il vissuto quotidiano di persone comuni, i documenti o la tradizione orale), ma anche gli scrittori. Che si confrontano con la faticosa raccolta di tracce, segni, prove in grado di spiegare la vita dei loro personaggi, reali o immaginari. William Safran Foer, in Ogni cosa è illuminata, aveva raccontato, romanzandola, la ricerca delle radici della sua famiglia, spingendosi da New York fino in Ucraina. Ora, Vikram Seth, in Due vite, compie uno sforzo analogo per descrivere le esistenze straordinarie dei suoi zii, il dentista Shanti e la moglie Henny, indiano laureato nella Berlino anni Trenta lui, ebrea tedesca riparata a Londra nel ' 39 lei. Lettere, fotografie, note e appunti aiutano molto, ma a volte bastano anche oggetti qualsiasi, biglietti di treno, scatole di sigarette, bottoni, cartoline sbiadite. Il protagonista di Safran Foer, del resto, collezionava e catalogava tutto quello che gli capitava, esponendolo in buste di plastica appese a una grande parete vuota. Qualcosa del genere fa anche David Carter, il personaggio principale di Diversi modi per ricominciare, secondo romanzo di Jon McGregor uscito a luglio in Inghilterra e in questi giorni in Italia (da Neri Pozza). Ossessionato dai resti del passato, Carter fin da bambino aspira a costruire un museo proprio. Vivendo a Coventry, la città rasa al suolo dalle bombe tedesche, diventerà curatore del museo locale, interessato a sentire «la presenza fisica della storia», sia quella maggiore che quella di gente senza importanza. Quando, adulto, scopre di essere stato adottato e non generato dai suoi genitori, Carter decide di rintracciare le sue origini: così si mette sulle tracce di una ragazza irlandese che dopo il parto l' aveva lasciato in un ospedale di Londra dove sua madre faceva l' infermiera. Alla fine la troverà, ma Storia maggiore e storie minori. Già il primo romanzo di Jon McGregor, Se nessuno parla di cose meravigliose (sempre Neri Pozza), proponeva questo dilemma. Raccontava la vita di gente qualunque in una strada di periferia di una qualsiasi città inglese (forse Nottingham, dove McGregor vive) il 31 agosto del 1997: era il giorno della morte di Lady Diana, notizia che riempì giornali e tv di tutto il mondo. Ma lo stesso giorno, un ragazzo viene ucciso in quella strada, e nessuno se ne occupa. «In una prima stesura parlavo espressamente della morte di Lady Diana - ci dice McGregor - poi ho tolto ogni riferimento esplicito, lasciando solo la data». Però c' era già la riflessione su macro e microstoria. «In un certo senso sì: conoscevo il dibattito in corso fra gli storici, ma avevo anche voglia di scrivere un romanzo. E ormai i romanzi non si fanno più su personaggi famosi, celebri, ma su persone qualunque, le cui vite solo raramente vengono sfiorate dagli avvenimenti della storia cosiddetta maggiore». I critici che avevano accolto con grandi elogi il primo romanzo di McGregor (nel 2002 fu selezionato per il Booker Prize) citarono Virginia Woolf che in Mrs Dalloway voleva narrare «la vita dei lunedì, o dei martedì». Insomma, McGregor come nipotino della Musa del modernismo inglese, della scrittrice che, insieme con Joyce, aveva messo al bando la grande tradizione del romanzo storico inglese, quello degli Scott, dei Thackeray. Eppure, in questo Diversi modi per ricominciare, c' è molta storia inglese sullo sfondo: l' immigrazione irlandese dei primi del Novecento, la prima e la seconda Guerra mondiale, Londra sotto le bombe, la ricostruzione di Coventry. Su su fino agli anni della Thatcher, quando per i tagli alla spesa pubblica anche David Carter perde il posto. «Sì, ma serve appunto da fondale lungo il quale si muovono le vite di questi miei personaggi nel tempo. I fatti storici possono certo influenzare le loro vite, ma quello che mi interessa di più sono i fattori individuali. Voglio descrivere le relazioni che si stabiliscono fra di loro, fra David e la moglie Eleanor, tra lui e la madre che non gli ha detto la verità, tra Eleanor e la sua famiglia. Ciascuno dei personaggi ha un rapporto speciale con la memoria: David ossessivamente vuole ricordare tutto, Eleanor rimuove, la zia Julia, colpita da Alzheimer, la perde del tutto. Il mio romanzo vuole raccontare i destini di queste persone, i sogni non realizzati, come cercano di venire a patti con la vita. Io penso che non ci sono persone qualunque, ciascuno ha nella sua vita qualcosa d' importante». Per la struttura dei suoi due romanzi (un mosaico di frammenti ciascuno appartenente a uno dei molti personaggi; nel secondo invece diversi capitoli, ognuno dei quali introdotto da uno dei tanti oggetti collezionati dal protagonista) si è parlato di montaggio cinematografico. Il cinema ha avuto davvero tanta influenza, e quale regista è stato più importante? «Da ragazzo guardavo molti film, in sala e soprattutto in tv. Credo sia stata un' esperienza fondamentale. Il regista, o i film che più mi hanno impressionato? Senz' altro Kieslowski e il suo Decalogo». Anni fa, in un' intervista, Jon McGregor aveva detto che si era messo a fare lo scrittore perché aveva letto su Marie Claire che era uno fra i dieci mestieri più attraenti. «Era una battuta», dice. Già a scuola scriveva, sue cose apparivano in riviste scolastiche o pubblicazioni locali. Dopo le scuole e molti lavori temporanei (lavapiatti in un ristorante vegetariano, per esempio), la rivista Granta gli pubblica un racconto. Lui si cerca un agente e si rivolge all' agenzia più tosta, quella di Andrew Wylie. Il manoscritto del romanzo piace, diventerà un libro, sarà selezionato per il Booker Prize eccetera. Oggi a 30 anni, una moglie e una figlia di 18 mesi, vive del lavoro di scrittore. A Nottingham.
«Corriere della sera» del 18 settembre 2006
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