Un pamphlet tratta con coraggio un tema sgradevole come la superiorità dell’uomo bianco sin dall’Illuminismo
Di Andrea Galli
Da Kant a Voltaire fino a Montesquieu, «negri» e «primitivi» sono equiparati agli animali. Storia di un pensiero atroce che ha fatto proseliti
Non è simpatico che qualcuno ricordi che Kant pensava che «i negri puzzassero» e che la nazione è tale «per comune discendenza di stirpe», mentre Voltaire era convinto che le africane si accoppiassero con gli scimpanzé dando vita a mostri sterili, o che «ancora oggi in Calabria si uccide qualche mostro generato dalle donne. Non è improbabile che, nei paesi caldi, delle scimmie abbiano soggiogato delle fanciulle». Del resto, sempre Voltaire notava «che i negri e le negre, trasportati nei paesi più freddi, continuano a produrvi animali della stessa specie» e che «i mulatti sono semplicemente una razza bastarda». Mentre il suo collega britannico David Hume era sicuro che sempre «i negri, e in generale tutte le altre specie di uomini siano per natura inferiori ai bianchi». E per Montesquieu «non ci si può convincere che Dio, il quale è un essere molto saggio, abbia posto un'anima, e soprattutto un'anima buona, in un corpo tanto nero». Così si legge nella prefazione a Razzismo, un'origine illuminista di Marco Marsilio, un libro effettivamente sgradevole e impertinente, quanto salutare e meritevole di una segnalazione. Si tratta di un volo radente lungo la storia delle teorie razziali, dalla loro genesi alla loro maturazione - dall'Histoire Naturelle del Buffon, al lavoro degli enciclopedisti francesi, alle Idee per una filosofia della storia dell'umanità di Herder, alla frenologia, al darwinismo e ai suoi derivati sociologici, all'eugenetica svedese, all'antisemitismo nazista, al superomismo sovietico - il cui passaggio più significativo rimane quello sul lato oscuro del cuore della modernità, cioè l'illuminismo.
I dati e le fonti citate sono noti da tempo, ma la loro raccolta in una sintesi di 190 pagine torna più che utile per scardinare certi luoghi comuni duri a morire, per esibire fatti ampiamente documentati ma che continuano ad essere relegati in un angolino polveroso della divulgazione culturale. Ancora non molto tempo fa, per citare un esempio banale, un insospettabile Giuliano Ferrara (insospettabile di filo-voltairismo) invitava a Otto e Mezzo un focoso interlocutore (Antonio Socci) a non scadere in esagerazioni come il sostenere che Voltaire coltivasse e diffondesse idee pesantemente razziste e antisemite. Il libro di Marsilio avrebbe apportato qualche elemento di chiarezza al dibattito. Ricordando per esempio, oltre ai passi di cui sopra, pagine del Trattato di Metafisica o dei Dialoghi tra A, B, C tradotto dall'inglese dal signor Huet. Qui François Marie Arouet sostiene che la possibilità di evolversi verso la perfezione dei popoli civili è presente nei selvaggi nella misura in cui ciò è permesso dalla predisposizione dei loro organi, predestinati a ciò da un Dio «razionale». Il brasiliano «è un animale la cui specie non è ancora giunta al suo compimento», «anche lui avrà forse un giorno dei Newton e dei Locke», una prospettiva tuttavia possibile solo «nell'ipotesi che i suoi organi siano abbastanza duttili e vigorosi da giungere a quel termine: perché tutto dipende dagli organi». Nella loro condizione attuale, al di fuori della prospettiva evolutiva, i popoli primitivi non meritano quindi alcun apprezzamento, «gli uomini non socievoli corrompono l'istinto della natura umana», tanto che Voltaire si chiede: «Il selvaggio isolato e bruto (ammesso che sulla terra esistano simili animali, cosa di cui dubito), che cosa fa se non pervertire da mane a sera la legge naturale, col vivere inutile a sé e a tutti gli uomini?». Con queste premesse, scrive Marsilio, si giunge fatalmente a sposare e teorizzare un ideale colonialista di «civilizzazione» a sfondo razziale.Marsilio non cita nella sua panoramica il libro di Eric Voegelin Razza, storia di un'idea, da poco pubblicato in italiano, ma ne condivide in buona misura la tesi di fondo. Ovvero, che la perdita di una visione antropologica classica - segnata dall'idea rivoluzionaria di dignità dell'uomo, di ogni uomo, introdotta dal cristianesimo - abbia aperto le porte, assi eme alla nascita delle scienze empiriche, ad un riduzionismo biologico dell'umano. Il sogno di liberare l'uomo dai vincoli e dalle rigidità di una gerarchia metafisica, ha finito per sottoporre quest'ultimo a metri di valutazione e classificazione degradanti.Emblematico di tale scivolamento il caso di John Locke. Descrivendo come si può spiegare ad un bambino inglese cosa sia l'idea di uomo, e notando che «il bianco o il colore carne fa parte di questa idea», Locke poteva concludere che «il bambino può dimostrarvi che il negro non è un uomo». Colui che è tutt'oggi considerato un maestro del pensiero liberale, un campione della tolleranza, era allo stesso tempo il sostenitore di un pregiudizio tanto brutale da negare l'appartenenza al genere umano in virtù del colore della pelle. Oltre che beneficiario diretto dei proventi della tratta degli schiavi, con i suoi oculati investimenti azionari nella Royal African Company, monopolista del settore.
Il libro: Marco Marsilio, Razzismo, un'origine illuminata, Vallecchi, pp. 188; € 18,00
«Avvenire» del 2 settembre 2006
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