Oggi respira sicuramente meglio rispetto a quando fungeva da spartitraffico, nero di fumi, in mezzo a piazza di Porta Capena a Roma. Ma ancora a pezzettini e impacchettato, l’epico obelisco restituito dall’Italia all’Etiopia nel 2005 aspetta ancora di trovare il suo «ubi consistam»
di Giulio Albanese
L’Italia ha indubbiamente sciolto un obbligo di carattere internazionale che gioverà alle relazioni con l’Etiopia. Ha suscitato commozione ed entusiasmo l’annuncio di un funzionario dell’Unesco, Awad Elhassan, secondo cui è ormai tutto pronto per l’installazione del monumento, che verrà collocato di fianco agli altri obelischi presenti nell’area archeologica. Se le condizioni meteorologiche lo consentiranno la delicata operazione potrebbe essere avviata nel corso di questo mese, con l’arrivo della stagione secca
Fa davvero un certo effetto vederla distesa al suolo, sezionata in tre tronconi, circondata da una palizzata col filo spinato, sotto le apposite pensiline che hanno il compito di proteggere l'imballaggio dalle piogge, in questa stagione molto abbondanti anche nell'Etiopia settentrionale. Stiamo parlando della stele restituita dall'Italia alle autorità etiopiche che per la gente del posto è diventata una sorta di ritrovo, anche se ogni tanto qualche animale, capra, cane o asino che sia, ne approfitta per soddisfare i propri bisogni, proprio a ridosso delle recinzioni del celebre monumento. A pensarci bene, quanto alle garanzie di preservazione ambientale, l'epico obelisco, oggetto di tante contese, sta sicuramente meglio così, tutto impacchettato, che quando fungeva da spartitraffico, nero di fumi, in mezzo a piazza di Porta Capena, tra miriadi di macchine che solitamente fluiscono a ondate nelle quattro direzioni dell'Urbe. Sebbene il flusso turistico sia alquanto modesto, nella città axumita è ancora viva l'euforia che si respirava nel quartiere ecclesiastico di Nefas, sulla necropoli di Mai Heggià, quando lo scorso anno si concluse con una toccante cerimonia l'arrivo dall'Italia dei tre tronconi che compongono l'obelisco. E proprio qualche settimane fa ha suscitato grande commozione in tutta l'Etiopia l'annuncio di un funzionario dell'Unesco, Awad Elhassan, secondo cui è ormai tutto pronto per la rierezione del monumento, il quale, secondo i piani elaborati da un'apposita commissione d'esperti, verrà collocato di fianco agli altri obelischi presenti nell'area archeologica. Se le condizioni meteorologiche lo consentiranno, sempre secondo la stessa fonte, la delicata operazione potrebbe essere avviata addirittura nel corso di questo mese, con l'arrivo della stagione secca. Com'è noto, il rimpatrio dell'obelisco, simbolo del patriottismo etiopico, imposto all'Italia dall'articolo 37 del Trattato di pace di Parigi, nel lontano 1947, ha posto fine ad una lunga e penos a attesa, scandita da rinvii e polemiche che rischiavano addirittura di compromettere le relazioni diplomatiche tra l'Etiopia e il nostro Paese. Sta di fatto che l'operazione tecnica, attraverso cui è avvenuta la restituzione, è stata un autentico capolavoro dell'ingegno umano, messo appunto da un personaggio del calibro di Giorgio Croci, ordinario di Tecnica delle Costruzioni presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma. Essendo l'Etiopia priva di sbocco al mare, l'unica soluzione fattibile è stata il trasporto aereo attraverso uno dei due soli velivoli in grado di sostenere un simile peso: il jet russo Antonov 124. Inoltre, le piste degli aeroporti di transito (Addis Abeba) e scalo finale (Axum) si trovano a quote elevate in cui l'aria è più rarefatta creando problemi in fase di atterraggio: l'Antonov, che in condizioni normali è abilitato al trasporto massimo di 120 tonnellate di carico, nel caso specifico, era stato calcolato che non potesse superare le 60, mentre i tronconi della stele pesavano 75 tonnellate ciascuno. È stato dunque necessario rimuovere le protezioni d'acciaio dell'imbracatura, sostituendole con altre in leghe più leggere, visto che il blocco più consistente pesava circa 56 tonnellate. Come se non bastasse, il rischio peggiore riguardava la sicurezza nell'arco dell'intera navigazione in quanto vi era il rischio che l'aereo potesse spezzarsi in volo a causa dei vuoti d'aria. L'equipe del professor Croci ha pertanto elaborato un monitoraggio permanente computerizzato, basato su sensori che trasmettevano le informazioni a una centralina di raccolta dati la quale, ad ogni minima corrente ascendente o discendente, attraverso un'invasatura elastica, attivava un sistema che compensava le possibile forze vettoriali in grado di danneggiare il velivolo. Purtroppo, una volta giunto a destinazione l'obelisco, i problemi tecnici non sono terminati; si è infatti aperto un dibattito tra i fautori del piano originale che prevede l'istallazione dell'o belisco accanto agli altri reperti presenti nell'area monumentale (particolarmente caldeggiata dagli etiopici) e alcuni archeologi i quali avrebbero preferito che la stele rimanesse distesa sul terreno, proprio come l'aveva rinvenuta negli anni '30 l'archeologo italiano Ugo Monneret di Villard, il quale stava conducendo degli scavi nella zona di Axum: un monolito alto 24 metri e del peso di 160 tonnellate, che giaceva a terra spezzato in tre parti. In effetti, la necropoli di Axum, collocata sotto gli obelischi, è soggetta a crolli e smottamenti del terreno che potrebbero mettere a repentaglio praticamente tutte le strutture monumentali e i reperti archeologici presenti nel sottosuolo. Per questa ragione una missione Unesco ha stabilito, d'intesa con gli esperti e le autorità etiopiche, che prima delle operazioni di riassemblaggio, da attuare con l'aiuto dei tecnici italiani, si dovrà provvedere al consolidamento del terreno con sofisticate tecniche che dovrebbero immettere nelle viscere del terreno sostanze resinose in grado di dare consistenza all'intera area archeologica. Con la restituzione e il finanziamento delle complesse operazioni di trasporto dell'obelisco di Axum, l'Italia ha indubbiamente sciolto un obbligo di carattere internazionale che gioverà alle relazioni con l'Etiopia. Resta aperto invece il problema della valorizzazione turistica e culturale del complesso monumentale, penalizzato dalla mancanza d'infrastrutture adeguate ad un patrimonio incommensurabile di civiltà.
«Avvenire» del 10 settembre 2006
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