Riflessivi, diplomatici, poco conformisti. E innamorati di padri, insegnanti e sacerdoti, se sono stati coerenti con i loro insegnamenti. È questo il ritratto della generazione «flessibile»: una ricerca dei sociologi Franco Garelli, Augusto Palmonari, Loredana Sciolla
di Laura Silvia Battaglia
Sono figli della tregua tra generazioni e la praticano senza paure. Operando tutte le forme di negoziazione possibile. È questo un ritratto inedito dei giovani italiani, così come si evince dallo studio di Franco Garelli, Augusto Palmonari e Loredana Sciolla, che esce oggi in libreria per i tipi del Mulino col titolo La socializzazione flessibile. Identità e trasmissione dei valori tra i giovani (pagine 370, euro 26,50).
In sostanza, i giovani contemporanei sono caratterizzati da un rapporto di mancanza di conflittualità nei confronti dei padri che risolvono in forme di identificazione quando riconoscano in loro comportamenti coerenti con i valori trasmessi. «Un risultato sorprendente – commenta Loredana Sciolla, uno degli autori, docente in Sociologia nella facoltà di lettere e filosofia dell’università di Torino – e che sfata la convinzione diffusa che questa sia una generazione senza valori, caratterizzata da un vuoto di pensiero o, peggio, confusa». Di sicuro c’è che i giovani italiani non sono conformisti: fortemente riflessivi, hanno una certa capacità di distacco nella valutazione, e sono cauti nell’esprimere giudizi, specie quando riguardano dilemmi morali (come nel caso dell’eutanasia, uno degli argomenti oggetto dei focus group). Gli studiosi definiscono la socializzazione giovanile di questi anni «flessibile». Loredana Sciolla:«Flessibile perché desideriamo porre l’accento sul fatto che la socializzazione giovanile non è più un processo unidirezionale, cioè una forma di addestramento, ma presenta aspetti molto più interattivi. Non solo in famiglia ma anche a scuola, prevale una sorta di modello negoziale rispetto a chi rappresenta l’autorità. Si potrebbe definire anche "socializzazione morbida"».
Meccanismi di socializzazione
Cambiano i meccanismi di socializzazione, dunque, ma con delle differenze tra le principali agenzie educative (famiglia e scuola), da una parte, e con dei risultati di socializzazione differenti lungo tale processo. «I m eccanismi che governano le nuove famiglie dimostrano come ormai prevalgano modelli impostati sulla reciprocità e sul dialogo piuttosto che sull’autorità, almeno nel 65% dei casi – chiarisce Sciolla – . Questo non è sintomo di permissività, tenuto conto che le famiglie si dotano di regole interne, con delle differenze sensibili nella loro applicazione sui figli, a seconda i sessi, e che tendono ad uniformarsi solo man mano che si sale nella scala sociale». Vale a dire che, se alle figlie i genitori italiani chiedono in massima parte di rispettare gli orari e di informarli sulle frequentazioni; ai figli maschi richiedono il rispetto degli impegni presi e una certa oculatezza nella gestione del denaro. «Abbiamo potuto rilevare come i figli, in genere, tendono a identificarsi con i loro genitori. Divergono maggiormente nella scelta dell’orientamento politico e nella costruzione di un loro modello ideale nel rapporto di coppia», puntualizza Loredana Sciolla.
Una generazione, dunque, che tende a uniformarsi alla tradizione, che gradisce conformarsi a norme codificate? Sembra comunque di no, nella misura in cui i figli degli italiani si identificano con i valori dei loro padri, quando li vedono incarnati in loro. Sciolla:«Se i genitori sono coerenti con gli insegnamenti trasmessi, il percorso di socializzazione si configura lungo un asse di ereditarietà».Proprio questo aspetto è il più sorprendente nella sezione della ricerca (finanziata dal Miur, realizzata nel triennio 2001-2003 e condotta dll’Istituto Eurisko di Milano, che si è riferito a un campione di 2.000 casi, rappresentativo degli individui di età compresa tra i 16 e i 29 anni), relativa a «giovani e religione».
Socializzazione religiosa
Pur in una società pluralista. che privilegia la ricerca religiosa secondo tratti personali, la socializzazione religiosa è ancora assai diffusa tra i giovani italiani, e attecchisce soprattutto dove «il patrimonio religioso familiare» è vissuto, non solo come trad izione, ma come convinzione, specie se attiva. In Italia, il 27,7% dei giovani che dichiarano di avere avuto nel corso della loro esistenza una o più esperienze religiose positive (48%), dichiarano di avere almeno uno dei due genitori convinto e attivo nel campo religioso.
«Solitamente questa "ereditarietà" è tanto più forte quanto più è il padre il genitore attivo»: lo sottolinea Franco Garelli, docente in Sociologia dei processi culturali e in Sociologia della religione nella facoltà di Scienze politiche dell’università di Torino. Inoltre, i dati più interessanti sono soprattutto tre: oltre l’80% dei giovani intervistati dichiara di aver frequentato gli ambienti religiosi, almeno nell’età della preadolescenza o in quelli immediatamente successivi; la metà di loro ammette di avere incontrato una o più figure religiose particolarmente significative, capaci di rappresentare un punto di riferimento nella loro vita futura; il 30% tra questi dichiara di essere coinvolto in una esperienza associativa, gruppo o movimento cattolico che opera su raggio nazionale o su base locale. E se, per il 20% di loro, si tratta di un’esperienza conclusa, il 10% anche da "giovane adulto" (più che trentenne) si dichiara impegnato ancora in atto. Garelli:«Da questo quadro risulta che la rete delle parrocchie è ancora molto attiva; che scopre delle forme di associazionismo molto gradite ai giovani e in cui il percorso di socializzazione ha un incidenza non epidermica sul singolo; infine che, anche se per molti di loro si tratta di un esperienza destinata a concludersi nel tempo, ha comunque una funzione positiva nella scelta dell’orientamento religioso». È stato esposto a momenti di incertezza e dubbio circa l’opzione di fede, il 37% dei giovani coinvolti nell’associazionismo ecclesiale. Per i ricercatori questo è «segno, nel Paese, di un clima religioso più libero e meno costrittivo rispetto al passato».
«Avvenire» del 6 settembre 2006
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